Il testo di legge sulla tutela del risparmio approvato al Senato non affronta i veri nodi del sistema finanziario italiano. Non ha un disegno efficiente delle autorità di vigilanza, in campo bancario non scalfisce una disciplina assolutamente discrezionale e nemica del mercato, non uniforma il modus operandi della Banca d’Italia al modello europeo. Il centrosinistra ha buone idee in proposito. Se vincerà le elezioni, dovrà essere capace di metterle in pratica, incidendo su problemi delicati che sul piano politico hanno costi certi e vantaggi aleatori.

L’ultima versione della legge che viene pomposamente battezzata riforma per la tutela del risparmio, e già approvata dal Senato, è una risposta assai parziale alle questioni che sono drammaticamente emerse negli ultimi anni. La struttura complessiva rivela, da un lato, l’affanno di varare sul filo di lana un provvedimento che consenta ai partiti della maggioranza di presentarsi fra qualche mese agli elettori dicendo “qualcosa abbiamo fatto”. Dall’altro, porta chiari i segni delle lacerazioni che si sono manifestate a partire dalla proposta di legge del ministro Tremonti (nella sua prima incarnazione).

Quattro gravi difetti

Il testo ha quattro inconvenienti gravi. In primo luogo, non affronta alcune questioni fondamentali. È privo di un disegno efficiente delle autorità di vigilanza, non scalfisce in alcun modo la disciplina assolutamente discrezionale e nemica del mercato in campo bancario e non uniforma il modus operandi della Banca d’Italia al modello europeo basato su trasparenza, collegialità, accountability.
Il secondo difetto è nella parte relativa ai controlli societari, quella per intenderci che dovrebbe evitare nuove truffe come Parmalat: soluzioni valide e innovative si alternano ad altre che paiono troppo blande oppure tanto dirigistiche nella forma quanto prive di reale efficacia. Il terzo limite concerne la Banca d’Italia. Almeno quattro dei vari aspetti critici sono stati chiaramente indicati nel parere della Banca centrale europea che (il particolare non è irrilevante) ne ha fatto oggetto di interventi sia in seminari specializzati sia sulla stampa da parte di Lorenzo Bini Smaghi, membro del direttivo di Francoforte. (1)
Il quarto è il pericolo, concreto viste le recenti dichiarazioni all’interno della maggioranza, che venga cancellato il ritorno a norme un po’ più severe in materia di falso di bilancio che in un sussulto di dignità il Senato aveva finalmente varato.
In sostanza, il testo di legge attuale è poco più di una foglia di fico che copre due vergogne: quella di non aver finora fatto nulla dopo i gravissimi scandali societari degli ultimi anni; quella di non essere riusciti a scalfire i poteri del Governatore, al centro di asperrime polemiche negli ultimi mesi. Su quest’ultimo punto, si limita a introdurre il mandato a termine e a trasformare la struttura proprietaria della Banca d’Italia in un modo molto criticato e, guarda caso, favorevole al Tesoro.

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Una pessima riforma da rivedere subito

A questo punto il Parlamento, avendo ormai rinunciato a varare la riforma ambiziosa che il ministro Tremonti aveva presentato nel 2004, ha solo due possibilità: o licenziare questo testo nella versione già approvata dal Senato oppure introdurre modifiche. Non a caso, si era inizialmente cercato un accordo bipartisan sulle questioni più delicate, come quelle relative alla Banca d’Italia.
La prima via condurrebbe a una pessima riforma. E, quel che più conta, sarebbe sonoramente bocciata dai mercati, che capirebbero l’inefficacia di molte delle soluzioni faticosamente architettate, e soprattutto dall’Europa, perché la parte sulla Banca d’Italia non resisterebbe a un ricorso alla Corte europea. Se si vuole fare davvero qualcosa di concreto, occorrerebbe concentrare gli sforzi sull’obiettivo di introdurre sul corpo di questo testo tutti i miglioramenti possibili, resistendo alle pressioni per tornare alla versione edulcorata del falso in bilancio.
Tuttavia, la probabilità che ciò accada appare praticamente nulla, anche a chi crede ciecamente in Babbo Natale, che come è noto nulla può rispetto alla potenza di fuoco del partito pro-Fazio. Ciò significa che il prossimo Governo erediterà una riforma che dovrà essere riscritta da capo, o almeno completata, affrontando i nodi veri del sistema finanziario italiano.
Le idee per realizzare questo ambizioso obiettivo non mancano certo.
In materia di architettura delle autorità di vigilanza, in un’intervista della scorsa estate Romano Prodi ha indicato come linee guida da seguire la ripartizione di competenze per finalità: alla Banca d’Italia solo la vigilanza di stabilità (ma su tutte le categorie di intermediari, comprese le assicurazioni); alla Consob la vigilanza di trasparenza; all’antitrust le competenze in materia di concorrenza. Per quanto riguarda la Banca d’Italia, su questo numero di lavoce.info, Luigi Spaventa richiama i punti principali di una proposta elaborata dal gruppo Astrid, che ha il doppio merito di toccare tutti i punti cruciali e di proporre soluzioni dettagliate ed efficaci. In campo societario il dibattito ha portato a elaborare molte proposte capaci di coniugare l’efficacia al rispetto delle regole di mercato. Anche su questo lavoce.info ha dato un contributo concreto.
La risorsa di cui paventare la scarsità nella prossima legislatura non sono le idee, ma la volontà di incidere su problemi delicati come l’assetto delle autorità di vigilanza che sul piano politico portano costi certi e vantaggi aleatori. La riforma nella sua versione meno indecente potrebbe costituire un ottimo alibi per un rinvio che rischierebbe di diventare definitivo. Forse i tentativi bipartisan cui abbiamo assistito sono anche frutto di qualche arrière-pensée opportunistica.
Deve invece essere chiaro che ormai questo Governo può approvare o una riformaccia o una riformicchia e che il prossimo, auspicabilmente diverso, dovrà affrontare subito il problema e tradurre in pratica i progetti che dai banchi dell’opposizione ha già elaborato.

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(1) “Il Sole-24 Ore” dell’11 novembre 2005.

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