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Il futuro della Banca d’Italia

L’articolo 19 del disegno di legge per la tutela del risparmio contiene disposizioni sull’organizzazione della Banca d’Italia. Ma non rimuove le cause delle degenerazioni dell’operato dell’autorità di vigilanza e si presta a obiezioni di merito. Modifiche incisive sono indispensabili. Se anche le approvasse la Camera, difficilmente passerebbero l’esame del Senato. Meglio allora stralciare l’articolo e rinviare alla prossima legislatura una riforma più organica, che comprenda anche una revisione della legislazione sui poteri e sulle competenze dell’Istituto.

Continua stancamente la recita parlamentare sulla legge per la tutela del risparmio. La Camera, se basteranno i tre giorni di cui dispone, modificherà il testo ricevuto dal Senato.
In almeno un caso si tratterà di una modifica fortemente peggiorativa: la restaurazione del regime sanzionatorio per false comunicazioni sociali del 2002, con il ritorno alla “modica quantità”, alla querela di parte e a tutte le clausole che degradano il falso in bilancio a un peccadillo minore.
Altre e più desiderabili modifiche, quali un ritorno al testo della Camera per le disposizioni in materia di operazioni con parti correlate, opportunamente riscritte, e per la divisione di poteri fra Consob e Banca d’Italia, sono invece improbabili. È comunque indispensabile la revisione dell’articolo 19 sull’organizzazione della Banca d’Italia, aggiunto al Senato dal Governo, nella vana speranza che tanto bastasse a far dimettere il governatore.
Le disposizioni contenute in quell’articolo non rimuovono le cause delle degenerazioni che si sono manifestate nell’operato dell’autorità di vigilanza e prestano il fianco a obiezioni di merito, sollevate anche dalla Banca centrale europea nel suo parere. Non sarà un caso se il Senato, ove si arrocca il nucleo duro dei difensori dello status quo, ha approvato quel testo senza discussioni.

Poteri e assetto della Banca d’Italia

Un rapporto dell’associazione Astrid, già presentato in bozza (www.astridonline.it) e di prossima pubblicazione in versione definitiva, elenca due insiemi di questioni che dovrebbero essere affrontate: poteri della Banca d’Italia; assetto e governance dell’istituto.
Il primo insieme (che, per ragioni procedurali, non può essere affrontato nel disegno di legge ora in discussione) include due temi. In caso di fusioni e acquisizioni la disciplina comunitaria considera l’autorizzazione un atto dovuto quando ricorrano i requisiti previsti. Il Testo unico bancario e ancor più le istruzioni di vigilanza sono stati invece scritti in modo da consentire alla Banca massima discrezionalità e da estendere l’ambito di intervento ben oltre il perimetro della vigilanza di stabilità. Anche ad ammettere che i comportamenti del governatore fossero tutti legittimi, proprio da ciò discenderebbe la necessità di modificare le legge che li hanno consentiti, come ci chiederà la Commissione europea, in un’annunciata procedura d’infrazione. Occorre pertanto intervenire sul Testo unico per trasformare il potere di approvazione in potere di opposizione (come già proposto su
www.lavoce.info); per ricondurre il criterio di sana e prudente gestione nei limiti del diritto comunitario; per disciplinare il potere regolamentare.
Il secondo tema riguarda le competenze in materia di concorrenza. È questione delicata, che non può essere risolta con il semplice trasferimento di tutta la materia all’Autorità garante della concorrenza, poiché nel caso di fusioni e acquisizioni si pongono problemi sia di concorrenza sia di stabilità. Astrid prevede di assegnare le competenze all’Autorità, ma di consentire alla Banca d’Italia di opporsi con provvedimento motivato a un’operazione ritenuta pregiudizievole per la stabilità.
Per la sua governance la Banca d’Italia rappresenta un unicum. È tempo di renderla normale, anche perché tanto ci chiede la Bce. In luogo dell’accentramento di tutti i poteri nelle mani del governatore, occorre dunque prevedere collegialità delle decisioni nell’ambito del direttorio, auspicabilmente con tre vicedirettori generali, per avere un collegio di cinque membri. Ad evitare tentazioni lottizzatorie, converrebbe che questi fossero scelti fra i funzionari generali della Banca. Se vi è collegialità di decisioni, occorre poi introdurre un termine di mandato non solo per il governatore, ma per tutti i componenti del direttorio, con modalità iniziali atte a evitare una scadenza contemporanea.

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L’assetto proprietario

La questione della procedura di nomina, sia del governatore sia degli altri membri del direttorio, si intreccia con quella dell’assetto proprietario.
Oggi le quote del capitale di Banca d’Italia sono di proprietà delle banche. Queste designano un Consiglio superiore, che, oltre ad avere competenza formale su alcune materie di amministrazione interna, è uno dei tre soggetti (con il presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica) coinvolti nella nomina e revoca del governatore e dei membri del direttorio. Vi sono in questo disegno due anomalie: la prima, più di forma che di sostanza, si rinviene nel possesso da parte dei controllati del capitale del controllante; la seconda è la competenza del Consiglio nella procedura di nomina e revoca, che in ogni altro ordinamento appartiene al potere politico.
L’articolo 19 risolve malamente il problema, trasferendo le partecipazioni allo Stato o ad altri enti pubblici e non occupandosi del Consiglio superiore. In tal modo si creano le condizioni per una più sostanziosa lesione dell’autonomia della Banca: il Consiglio superiore sarebbe designato dal ministero dell’Economia, il quale, come partecipante, interverrebbe anche nella ripartizione degli utili. Si apre inoltre uno spinoso problema di valutazione delle quote da trasferire dalle banche allo Stato. Quella disposizione dell’articolo 19 deve essere certamente soppressa, anche per evitare la altrimenti certa censura della Bce.
Le soluzioni alternative sono tre: Banca d’Italia riacquista (o converte in obbligazioni) le quote delle banche, sostituendo il Consiglio superiore con un organo simile, ma di nomina esterna (proposta Agostini – Ds); le partecipazioni restano in mano delle banche, ma si elimina l’inutile architettura del Consiglio superiore (proposta Astrid); le cose restano come stanno (probabile proposta governativa in sostituzione della precedente).
Una previsione? Se su Banca d’Italia la Camera approverà modifiche incisive, è improbabile che l’intero disegno di legge veda la luce, a motivo dell’opposizione del Senato: una disastrosa brutta figura del legislatore e del Governo. Un’alternativa? Approvare il disegno di legge stralciando l’articolo su Banca d’Italia; rinviare perciò alla prossima legislatura una riforma più organica, che comprenda anche una revisione della legislazione sui poteri e sulle competenze dell’autorità di vigilanza.

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Sommario 5 dicembre 2005

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Per chi vota il risparmiatore

  1. Massimo GIANNINI

    Dell’assetto proprietario della Banca d’Italia non si é più parlato. Mi chiedo se alla luce dei trasferimenti dei pacchetti azionari, di comando, di banche e assicurazioni in mani straniere anche la proprietà della Banca d’Italia non sia sostanzialmente in mano straniera. Magari facendo i calcoli delle quote di comando si scopre che una bella quota di comando della Banca d’Italia é di fatto in mano straniera…

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