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Ricordo di Paolo Sylos Labini

Paolo Sylos Labini è stato un ostinato economista quantitativo. Più di trent’anni fa produsse uno dei primi modelli econometrici dell’economia italiana. L’accademia ufficiale gli frappose pesanti barriere perché era considerato non omogeneo col sistema. Non sopportava l’opportunismo perbenista ed era ragionato nemico di monopolisti protetti e di piccoli e grandi percettori di rendite private garantite dal potere pubblico. Da “onesto riformista”, come si definiva, passò tanto tempo a cercare problemi specifici a cui proporre specifiche soluzioni.

Senza memoria un nome, anche conosciuto, è un guscio vuoto. Vorrei cercare di riempire con un po’ di memoria il nome di Paolo Sylos Labini, morto una decina di giorni fa, affinché i tanto più giovani possano averne un ricordo.

Un economista. E un uomo vero

Jean Tirole nel suo Theory of Inustrial Organization, al capitolo 8, scrive: “il modello più famoso di barriere all’entrata è il limit-pricing model (Bain 1956; Sylos Labini 1962; Modigliani 1958)”. Tirole ha ragione, ma non è accurato nelle date. Oligopolio e progresso tecnico esce in edizione provvisoria nel 1956 (prima del libro di Bain) e nel 1957 nella versione definitiva italiana, che sarà tradotta con qualche revisione e qualche aggiunta negli Harvard Economic Studies nel 1962. L’articolo di Franco Modigliani (JPE, 1958) offre una formalizzazione dei risultati di Sylos Labini (e di Bain), che, come usa dire, furono path breaking nella teoria dell’oligopolio.
Sylos Labini fu un ostinato economista quantitativo. Certo, non Var e Svar, non Garch e quant’altro. Ma raramente si muoveva senza raccogliere, elaborare, ordinare dati, a conforto e ispirazione delle sue elaborazioni. Più di trent’anni fa produsse un modello econometrico dell’economia italiana: un paleo-modello, oggi, ma uno dei primi allora, con quello bolognese di Nino Andreatta e quello anconetano di Giorgio Fuà.
Sylos Labini colloquiava incessantemente con i più giovani, anche quando accademicamente non era nessuno e lo si andava a trovare a casa di sua madre, e li incoraggiava ad andare fuori d’Italia, a nutrirsi di quello che egli chiamava il brodo di cultura e di dibattito che un’università anglosassone poteva offrire. L’accademia ufficiale gli frappose pesanti barriere all’entrata (che solo Federico Caffè e pochissimi altri cercarono di rimuovere). Era considerato, Sylos Labini, non omogeneo col sistema, quasi un rivoluzionario.
Rivoluzionario? Bisogna intendersi. Dell’ideologia, di ogni ideologia, da quella dei marxisti puri e duri a quella, più misera, degli studenti del ’68, era nemico insofferente; si ispirava agli economisti classici, ma non incoraggiò il programma della lost generation della disputa sulla teoria del capitale. Ma, per discendenza salveminiana e per fratellanza con Ernesto Rossi, non sopportava l’opportunismo perbenista ed era ragionato nemico di monopolisti protetti e di piccoli e grandi percettori di rendite private garantite dal potere pubblico: dei “padroni del vapore”, come li chiamava Rossi, degli incumbents, come si direbbe oggi; dei “topi nel formaggio”, come diceva lui. Da “onesto riformista”, come si definiva, voleva (come voleva Ernesto Rossi) “salvare il capitalismo dai capitalisti”, e anche l’Italia dagli italiani: un vaste programme, avrebbe detto Charles De Gaulle; ma un programma al quale Sylos Labini dedicò le sue energie, per comprendere mali e per suggerire rimedi.
Servono alla comprensione i suoi saggi, del tutto innovativi, sulle classi sociali in Italia, ove, con uno sforzo straordinario di raccolta e classificazione di dati, dimostrava “l’ubiquità della piccola borghesia” – di una piccola borghesia ambigua e instabile, spalmata fra destra e sinistra – come carattere peculiare della realtà italiana. Fece scandalo, a sinistra, questo abbandono delle partizioni tradizionali. E tuttavia quel contributo si rivelò uno strumento potente per comprendere tante caratteristiche, sovente degenerative, della storia recente e della politica del nostro paese.
Sylos Labini praticò incessantemente un riformismo di marca fabiana: quello che, se piove, cerca di trovare un ombrello invece di rinviare, bagnandosi, ai “ben altri” problemi che sono “a monte”. Rifiutò prebende e incarichi – semmai era incline a sbattere porte – ma passò tanto tempo a cercare problemi specifici a cui proporre specifiche soluzioni, di cui sollecitava l’accoglimento con ansia quasi missionaria.
Fu un economista vero; soprattutto – il che non necessariamente segue – fu un uomo vero, a tutto tondo. Paolo Sylos Labini merita memoria, e non solo il ricordo di un nome.

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Sommario 15 dicembre 2005

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Un terzo trimestre triste per le forze lavoro

  1. Andrea

    Vorrei aggiungere alle bellissime parole del Prof. Spaventa, legato a Sylos Labini da un solidissimo rapporto umano e professionale, il bel ricordo che ho di Sylos da quando, all’epoca studente e borsista, ero spesso al dipartimento di Scienze Economiche della facoltà di Statistica alla Sapienza, che Sylos ha continuato a frequentare anche negli scorsi anni. Spesso si fermava anche a lungo a parlare con noi, giovani studenti, di politica, esortandoci a non dare nulla per scontato, a non rassegnarci. E ci parlava di economia, spingendoci a proseguire gli studi al di là dei libri di testo, a leggere articoli, dicendoci cose che non sempre capivamo e che negli anni sempre più mi si disvelano nella loro dirompente attualità e validità. Ricordo una persona brusca, ma anche dolcissima e soprattutto schietta. E simpatica, che non guasta mai. Apprezzerei moltissimo che il Dipartimento di Scienze Economiche, dove fanno ricerca tanti tra i suoi figli e nipoti professionali, potesse essere intitolato alla sua memoria.

    P.S. per la redazione. Perdonate l’indirizzo falso. Spero vorrete pubblicare comunque questo mio ricordo. E, se lo legge, un saluto al Prof. Spaventa, che ho avuto l’onore di avere come docente in due distinti corsi e al quale è legato il ricordo più bello e gratificante della mia carriera studentesca.

  2. G. Cantisani

    Ormai non lontano alla laurea in scienze statistiche e demografiche, ho seguito le lezioni di Istituzioni di economia politica del Prof. Sylos Labini nell’ultimo anno di insegnamento (1989/1990 ?), in un gruppo limitato di studenti, godendo delle sue spiegazioni ma anche dei suoi continui riferimenti a fatti politici e di altra natura. Sylos Labini riferiva del passato, generalmente di quando ha dovuto inevitabilmente sbattere le porte, come dice il Prof Spaventa, davanti alla nomina di un “capobastone” in qualche gruppo di lavoro (“… o lui o io …”), o del presente, per esempio le piccole ed inutili intimidazioni che gli venivano in quelle setttimane dal movimento della Pantera.
    Tra le tante cose un pò perse e confuse nella memoria adesso, ricordo la sua enorme disponibilità, l’invito ad autoinvitarci a casa sua per capire meglio qcosa, annunciando anche la possibilità di un tè che credo che avrebbe certamente garantito. Purtroppo io non ne ho approfittato, e devo dire che sarebbe stato utile, al di là di un piano di studi comunque distante.
    Bello ricordare pure l’arrivo di una dozzina di ex-allievi, futuri ministri compresi, alla sua ultima lezione (poteva averlo previsto ma l’ha certamente apprezzato moltissimo) e, per me, l’incontro più tardi, casuale nella notte di sciopero dei mezzi pubblici, alternandoci nello stesso taxi.

  3. Giorgio Fano

    Sono anche io uno studente di Scienze Statistiche ed Economiche, e devo ammettere che la scelta del corso di laurea è stato dettato da due incontri che ho effettuato da perfetto sconosciuto: Sylos Labini e Luigi Spaventa. Paolo non era il mio professore, e da studente ho seguito solamente la sua “ultima lezione”, che fu una sorpresa organizzata dal fedele Alessandro Roncaglia, e le lezioni del club del Sabato mattina a cui ho avuto l’onore di partecipare. Il prof. Sylos Labini, è stato “costretto” dall’età alla pensione, ma non ne aveva assolutamente voglia. Per questo motivo ha invitato chiunque a partecipare a lezioni private organizzate da lui stesso nella facoltà di scienze statistiche a Via Nomentana. Non era ben organizzato e non aveva certo Power Point, ma una cosa ho capito da quelle lezioni: il suo modello (al quale faceva sempre riferimento) non era certo sofisticato, ma dalla sua semplicità emergevano concetti base che sono stati almeno per me una solidissima base per capire l’economia, soprattutto la micro. Un peccato che i suoi studenti non lo abbiano capito alla fine della carriera, e che addirittura si siano “fiondati” in massa a presentare l’esame durante un suo anno sabatico per evitare il tiranno. A frunte di un apprezzamento didattico non proprio corale, il suo contributo di commentatore sulla carta stampata è sempre stato univocamente accettato come una delle più oggettive analisi della realtà.

  4. Italo Nobile

    Non sono stato un allievo di Sylos Labini, ma ho seguito le sue lezioni all’Istituto di studi filosofici di Gerardo Marotta, mi pare nel 2004 o nel 2005. In quella sede il professore ipotizzava una crisi economica mondiale legata al debito privato negli Usa, tesi da lui elaborata almeno 3 anni prima. Con la sua serietà scientifica, egli ogni tanto diceva "Può darsi che mi sbaglio…". A quanto pare non si sbagliava.

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