Molti commentatori ritengono che George Bush abbia vinto le elezioni presidenziali del 2004 sul campo dei valori morali e che i cittadini statunitensi siano sempre più polarizzati su argomenti come l’aborto e il matrimonio tra omosessuali. Le preferenze economiche, invece, conterebbero ormai poco nello spiegare le loro scelte di voto. Una teoria direttamente applicabile anche all’Italia e all’Europa, secondo alcuni politici. Ma un recente studio statistico mostra quanto l’analisi sia lontana dal vero.

Sono in molti a ritenere che George W. Bush abbia vinto le elezioni presidenziali del 2004 sul terreno dei valori morali.

Una guerra culturale negli Usa?

La storia suona all’incirca così: Bush avrebbe convinto la maggioranza dei cittadini a votarlo, in quanto la sua posizione su argomenti come aborto, matrimonio tra omosessuali, separazione tra Stato e Chiesa era senz’altro più vicina a quella preferita da tale maggioranza, rispetto alla posizione di John F. Kerry. D’altro lato, le piattaforme economiche dei due candidati non avrebbero avuto effetti rilevanti sul voto, appunto perché gli elettori ritenevano più importanti le questioni di tipo morale.
Non solo. Secondo questa interpretazione, le preferenze dei cittadini statunitensi sulle questioni morali sono sempre più polarizzate. In altri termini, vi sarebbero due gruppi distinti e consistenti di cittadini che hanno posizioni fortemente conservatrici o fortemente progressiste su questi temi, mentre i moderati rappresentano un gruppo piccolo e sostanzialmente destinato all’estinzione.
La “guerra culturale” tra conservatori e progressisti morali sarebbe dunque il dato fondamentale per capire il panorama politico statunitense, molto più che la tradizionale contrapposizione tra fautori e avversari dell’intervento dello Stato nell’economia. Agli elettori moralmente conservatori che vivono nei Red States e votano per Bush, si contrapporrebbero gli elettori moralmente progressisti dei Blue States del Nordest e della costa Ovest, che votano in maggioranza per Kerry.
In Italia un gruppo nutrito di politici e giornalisti, da Giuliano Ferrara a Rocco Buttiglione e Marcello Pera, non solo ha sposato questa interpretazione del caso statunitense, ma l’ha altresì ritenuta del tutto applicabile, senza particolari adattamenti, alla situazione italiana ed europea.

Che cosa raccontano i dati

Tuttavia, l’ipotesi della “guerra culturale” non è assolutamente supportata dai dati. In particolare, un articolo di Stephen Ansolabehere, Jonathan Rodden e James Snyder, Jr.(Mit), e un recente libro di Morris Fiorina (Stanford) smentiscono la validità dei tre argomenti su cui si basa.
Innanzi tutto, i cittadini statunitensi hanno tipicamente posizioni moderate sia sulle questioni morali che su quelle economiche. All’interno dei dati demoscopici raccolti dall’American National Election Study (Anes) e dal General Social Survey (Gss), Ansolabehere e coautori costruiscono – tramite aggregazione delle risposte alla batteria di domande sull’argomento – un indice della collocazione ideologica degli intervistati rispetto alle questioni morali e a quelle economiche. Sia per l’economia che per i valori morali la distribuzione di questi due indici di preferenza è a forma di campana, cioè in entrambi i casi il gruppo più ampio è quello dei moderati. Esattamente il contrario della distribuzione a U che si avrebbe con una popolazione polarizzata.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle preferenze, è vero che nel campo dei temi morali gli abitanti dei Red States sono tipicamente a destra dei cittadini dei Blue States, ma la stessa cosa accade per le preferenze in campo economico. Non è perciò chiaro se il diverso risultato elettorale tra Stati rossi e Stati blu dipenda dalla diversa posizione sulle questioni morali, oppure su quelle economiche.

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È l’economia (non l’aborto), stupido!

Last but not least, qual è il peso relativo che il singolo elettore al momento del voto attribuisce alle proprie preferenze in campo morale e in campo economico? Qualsiasi differenziazione sulle questioni morali potrebbe rivelarsi elettoralmente ininfluente, se i cittadini pensano ad altro (ad esempio alle questioni economiche) quando votano.
Per rispondere a questa domanda, Ansolabehere e coautori effettuano un’analisi di regressione probit, in cui la variabile dipendente è il voto dei singoli cittadini alle elezioni presidenziali (dal 1992 al 2004 per i dati Anes e dal 1980 al 2000 per i dati Gss), e le variabili esplicative sono i due indici di preferenza sulle questioni morali ed economiche. Da questa analisi risulta in modo chiaro come le preferenze in campo economico siano più importanti di quelle in campo morale nello spiegare il voto. In particolare, prendendo in considerazione i dati Gss dal 1993 al 2002, la probabilità che un conservatore in campo morale voti per il candidato repubblicano alla presidenza è del 14 per cento più alta rispetto a quella di un progressista nello stesso campo. Al contrario, la probabilità che un conservatore in campo economico voti per il candidato repubblicano è del 33 per cento più alta di quella di un progressista nello stesso campo. Differenze analoghe emergono considerando i dati Anes e il voto per il Senato o per la Camera dei rappresentanti. In secondo luogo, se è vero che nel tempo l’importanza assoluta delle preferenze morali è aumentata, lo stesso trend vale per le preferenze economiche, e in ogni periodo il peso relativo di queste ultime risulta comunque maggiore di quello delle preferenze in campo morale.
Per quanto concerne le elezioni del 2004, Fiorina cita un recente studio econometrico di S. Hillygus (Harvard) e T. Shields (Università dell’Arkansas), secondo cui, insieme alle questioni economiche, il problema del terrorismo e la guerra in Iraq sono stati i temi determinanti nello spiegare il voto. Al contrario, le preferenze sulle questioni morali come l’aborto e i matrimoni tra omosessuali hanno rivestito un ruolo assolutamente meno rilevante, e confinato in termini geografici agli elettori del Sud. Che molto probabilmente avrebbero votato Bush in ogni caso.
Già di per sé sarebbe buona cosa essere scettici di fronte all’idea di ritenere direttamente applicabile al caso italiano ed europeo una teoria nata per descrivere una situazione assai diversa, come quella statunitense. Lo scetticismo non può che aumentare quando analisi econometriche serie mostrano che la teoria stessa è molto probabilmente sbagliata.

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Per saperne di più

Stephen Ansolabehere, Jonathan Rodden e James Snyder, Jr. [2006]. “Purple America”. Journal of Economic Perspectives, in corso di pubblicazione.
Morris P. Fiorina, con Samuel J. Abrams e Jeremy C. Pope [2005] Culture War? The Myth of a Polarized America. New York, Pearson Longman.
D. Sunshine Hillygus e Todd G. Shields [2005]. “Moral Issues and Voter Decision Making in the 2004 Elections”. PS: Political Science and Politics, 38.

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