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Il fisco à la carte dei distretti

Le nuove agevolazioni fiscali sui distretti industriali rischiano di rivelarsi controproducenti invece di sostenere il rafforzamento delle imprese che vi operano. La norma sui distretti industriali contenuta nella Legge Finanziaria 2006 è stata presentata dal governo come una norma “fondamentale in termini di politica industriale”. In realtà, dopo i primi entusiasmi , la norma in questione sta suscitando dubbi e perplessità, soprattutto per la parte relativa alle agevolazioni fiscali. Sono leciti i dubbi che iniziano ad emergere? O le norme di agevolazione fiscale, al di là delle evidenti difficoltà di applicazione, potrebbero essere utili per risolvere i problemi dei distretti?

La norma sui distretti industriali contenuta nella LF 2006 (commi 366-372) è stata presentata dal governo come una norma “fondamentale in termini di politica industriale”, su cui sarebbe auspicabile, in quanto nell’interesse del paese, “un consenso che andasse oltre la maggioranza” (audizione del Ministro Tremonti alla Camera, 11.10.2005). In realtà, dopo i primi entusiasmi , la norma in questione sta suscitando dubbi e perplessità, soprattutto per la parte relativa alle agevolazioni fiscali. Sono leciti i dubbi che iniziano ad emergere? O le norme di agevolazione fiscale, al di là delle loro evidenti difficoltà di applicazione, potrebbero essere utili per risolvere i problemi dei distretti, stimolare il consolidamento delle imprese e l’aggregazione in filiere industriali?

Le agevolazioni fiscali ai distretti

Premesso che la norma è tanto flessibile, quanto così generica e poco chiara da sollecitare interpretazioni diverse e dubbi che dovranno essere sciolti con i previsti decreti di attuazione, l’agevolazione fiscale consiste sostanzialmente nella possibilità di determinare un imponibile di distretto, e trasformare quest’ultimo in un soggetto passivo di imposta, a cui competono obblighi di dichiarazione e versamento. Più precisamente, ai distretti sarà consentito di:

a) optare per una forma consolidata di tassazione (somma degli utili e delle perdite) delle imprese appartenenti al distretto, secondo le regole, in quanto applicabili, riservate ai gruppi di società residenti (consolidato nazionale);

b) optare per una tassazione unitaria di distretto definita su base concordataria per almeno un triennio. In sostanza il distretto concorda con l’Agenzia delle entrate l’imponibile e dunque le imposte dirette dovute dal distretto nel suo complesso, oppure sempre su opzione, singolarmente per ciascuna impresa ad esso appartenente. Il distretto può inoltre concordare con gli enti locali, sempre in via preventiva per almeno un triennio e in modo vincolante, i tributi, i contributi e le altre somme dovute a livello locale.

Le norme in questione presentano molteplici difficoltà applicative, che molto probabilmente ne impediranno il decollo e che vanno dalla possibilità di bocciatura in sede europea (per incompatibilità con le norme sugli aiuti di stato), alle sovrapposizioni con gli interventi di competenza regionale e, soprattutto, alla definizione stessa del distretto. Quest’ultimo si basa infatti sulla libera aggregazione di imprese industriali, di servizi, turistiche, agricole e della pesca articolate sul piano territoriale e funzionale. L’individuazione delle imprese appartenenti al distretto dovrà inoltre avvenire per decreto, con il concorso di ben cinque ministeri. E’ poi difficile quantificare le perdite di gettito, che potrebbero derivare dalla nuova normativa. Il timore che esse possano essere di rilievo ha indotto il legislatore a fissare un tetto massimo di 50 milioni di euro annui di oneri. La norma, come esplicitamente previsto dalla finanziaria, si applicherà dunque in via sperimentale solo a uno o pochi distretti.

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A cosa serve il consolidato fiscale?

Il principale vantaggio di una tassazione unitaria di distretto consiste nella possibilità di compensare utili e perdite delle imprese che vi appartengono, riducendo così il carico fiscale complessivo. Al contempo, tuttavia, viene tolta alle imprese in perdita la possibilità di riporto in avanti, sicché se queste saranno in utile negli esercizi successivi pagheranno più imposte. La ripartizione del carico fiscale tra le imprese, e dunque il riconoscimento del risparmio fiscale, che dovrà essere basato su “criteri di trasparenza e parità di trattamento, sulla base di principi di mutualità” (c. 368), non sarà facile da definire, in quanto dipenderà anche dalle caratteristiche delle società in perdita e dalle loro prospettive future. (1)
In termini di policy, si tratta di una norma statica e poco utile per il futuro dei distretti perché non modifica gli incentivi delle imprese a ristrutturarsi e crescere. Conserva l’esistente e concede un “sollievo” temporaneo invece di aiutare la soluzione dinamica dei problemi delle imprese distrettuali: rafforzarsi nelle tipologie di prodotto a domanda rigida e irrobustire la struttura produttiva e di marketing.
La dimensione troppo piccola delle imprese dei distretti, infatti, anche se non impedisce loro di diventare leader in una nicchia, rende difficile difendere la leadership quando “il gioco si fa duro” e le concorrenti nella nicchia hanno alle spalle gruppi diversificati e multinazionali. Per combattere queste sfide, alcune, non poche, imprese distrettuali sono riuscite a crescere e a mantenersi competitive attraverso una serie di comportamenti “virtuosi”: nuovi assetti organizzativi e ampliamento delle competenze interne, utilizzo di nuovi canali di distribuzione e di comunicazione, ricerca sui materiali e sul design. Il consolidato fiscale di distretto, invece di premiare questi comportamenti virtuosi e stimolare aggregazioni per sfruttare economie di scala di filiera, mette sullo stesso piano, attraverso il principio della mutualità, le imprese più meritevoli e quelle che non hanno saputo cambiare, impedendo di fatto il processo naturale di selezione. Inoltre, poiché il valore fiscale delle perdite diminuisce mano a mano che si avvicina la scadenza del periodo di riporto, vi sarà un vantaggio a includere nella tassazione unitaria di distretto società strutturalmente in perdita.

A cosa serve il concordato di distretto?

Nel caso di opzione per la tassazione unitaria su base concordataria, si possono aggiungere altri vantaggi, ma anche nuove perplessità.
Si introduce, seppure in via solo sperimentale, una forma di concordato preventivo addizionale e diversa dalla “programmazione fiscale” di cui ai commi 499-520, a sua volta ennesima riedizione del concordato preventivo già previsto nella legge finanziaria per il 2003 . Da un lato, si allarga la platea dei soggetti potenzialmente interessati a forme di accordo preventivo con l’amministrazione finanziaria, che non sarebbero solo i contribuenti assoggettati agli studi di settore (anche una grande società di capitali sembrerebbe poter accedere all’istituto se decide liberamente, assieme ad altre, di costituirsi in distretto). Si allarga anche la tipologia dei tributi che possono essere determinati su base concordataria, estendendo l’applicazione dell’istituto a somme e tributi dovuti a livello locale. Dall’altro, il principale vantaggio, nel caso del distretto, sembra risiedere nel fatto che “in caso di osservanza del concordato i controlli sono eseguiti solo a scopo di monitoraggio, prevenzione ed elaborazione dei dati…” (comma 368 numeri 10 e 15), piuttosto che in uno sconto sulle imposte dovute sui redditi eccedenti l’ammontare programmato. Si giungerebbe così ad una sorta di determinazione “catastale” dei redditi e delle imposte di distretto, definiti sulla base di criteri oggetti, peraltro al momento inesistenti, determinati dall’Agenzia delle Entrate, “previa consultazione delle categorie interessate e degli organismi rappresentativi dei distretti” (c. 368, numero 9). Un criterio ben diverso da quello di “capacità contributiva” di cui all’art. 53 della Costituzione!
In sintesi, le norme di agevolazione fiscale sui distretti appaiono vaghe, di difficile applicazione e dubbia costituzionalità, poco razionali sul piano normativo e soprattutto poco utili, o addirittura dannose, ai fini di sostenere quel processo, in parte già in atto, di cambiamento dei distretti che passa soprattutto per una capacità di crescita e rafforzamento delle imprese. A questo e non ad introdurre nuovi e discutibili modi di ridurre il carico fiscale di tutte le imprese, indipendentemente dai loro meriti, dovrebbero prioritariamente essere rivolti eventuali incentivi fiscali.

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(1) Alle problematiche che riguardano i gruppi strutturati di imprese che optano per la tassazione consolidata, si aggiungono in questo caso quelle dovute al fatto che la tassazione di distretto riguarderebbe imprese non legate fra loro da precisi rapporti di partecipazione e controllo.

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  1. Alessandro

    Se non mi sbaglio (forse faccio riferimento a un testo vecchio, non a quello approvato) a proposito della tassazione di distretto si prevede che poi siano le imprese facenti parte il singolo distretto a determinare autonomamente la ripartizione interna dell’onere fiscale. Mi chiedevo allora se ci fossero già adesso sistemi di governance dei distretti così sofisticati da permettere tale ripartizione o se si prefigurano seri problemi a questo riguardo. Grazie.

    • La redazione

      Caro lettore,
      lei ha perfettamente ragione. Come recita il comma 368, numero 7 della legge finanziaria, “la ripartizione del carico tributario tra le imprese interessate è rimessa la distretto, che vi provvede in base a criteri di trasparenza e parità di trattamento, sulla base di principi di mutualità”. I criteri non saranno affatto facili da definire, come ricordiamo nell’articolo, sia per il diverso valore che le perdite hanno, in funzione della “loro età”, sia per il fatto che le imprese del distretto non sono solitamente legate (a differenza delle imprese appartenenti a un gruppo) da rapporti di controllo e neppure di partecipazione.
      Cordiali saluti e grazie del commento
      Silvia Giannini e Laura Rondi

  2. saila

    Buongiorno,
    mi sembra che la tesi degli Autori sia riassumbile nel classico “sono ben altre le misure necessarie”.
    Io invece darei, quantomeno, il beneficio del dubbio alla proposta di legge sui distretti, così come abbozzata dalla finanziaria. L’origine della proposta è, infatti, bi-partisanamente (CNEL/Sylos Labini) documentabile in rete, e prevede la costituzione di un “organo di distretto,, ovvero di un vero e proprio nuovo soggetto giuridico, con poteri di decisione strategica e di rappresentanza nei confronti del fisco, e anche dei percettori di tributi locali. Sostituirebbe così la pletora di organismi che attualmente metton becco nella politica economica locale (associazioni di categoria, enti locali, pubblica amministrazione, sindacati, imprenditori, artigiani banche consorzi camere di commercio e quant’altri). Spesso i legami tra imprese distrettuali, pur non essendo istituzionalizzati, sono basati su sub-committenza e fornitura reciproca; in questo senso, le imprese distrettuali dispongono, per definizione, di migliori informazioni di quante si pensi, informazioni che potrebbero ben utilizzare nello stabilire una strategia cooperativa comune, a cominciare dal fisco. Errore della finanziaria è proprio non istituire garantire questo nuovo organo (forse toglierebbe ruoli e spazi agli altri che ho citato …)
    Altrimenti, temo che appelli generici alla crescita dimensionale e all’integrazione-innovazione delle imprese rischiano di restare lettera morta, se non si cercano proposte un pò più pragmatiche e, diciamolo, eterodosse…

  3. Francesco

    A luglio è stata approvata la Legge 99 (23/7/2009) che riguarda anche le reti di imprese: sapete dirmi in pratica qual è il sunto di quanto approvato? Qual è, dunque, la attuale normativa vigente?

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