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Programmi elettorali su privatizzazioni e liberalizzazioni

A privatizzazioni e liberalizzazioni sono dedicate poche righe nel programma della Casa delle libertà, molte pagine in quello dell’Unione. Con una premessa comune: privatizzare senza liberalizzare è stato un errore. Una tesi che negli anni Novanta servì a ritardare l’avvio del processo di privatizzazione. La Cdl sottolinea l’importanza delle liberalizzazioni. Tema trattato in modo molto esteso dall’Unione. Che tuttavia per le professioni non si spinge fino al punto di proporre l’abolizione degli ordini

Vi è molta simmetria tra i due programmi: poche righe in quello della Casa delle libertà, molte pagine in quello dell’Unione. Ma vi è anche una premessa comune: privatizzare senza liberalizzare è stato un errore. Nessuno ricorda che negli anni Novanta proprio questa fu la tesi di chi voleva ritardare l’avvio del processo di privatizzazione: “Prima bisogna liberalizzare i mercati” dicevano e intanto per un decennio né si liberalizzò, né si privatizzò. Il ritorno di questa tesi è preoccupante: temo che nella prossima legislatura si privatizzerà pochino.

Programma della Cdl

Il programma non parla di privatizzazioni (tranne per l’accenno ricordato sopra) e sottolinea invece l’importanza delle liberalizzazioni. Tra queste è indicata quella del mercato del gas dove, si dice, è necessario introdurre più concorrenza. L’impegno è tuttavia poco credibile avendo il governo Berlusconi spostato dal 2007 al 2008 l’obbligo per Eni di cedere Snam Rete Gas: finché Eni possiederà “il tubo” non vi potrà essere vera concorrenza.

Programma dell’Unione

Anche qui poco e nulla sulle privatizzazioni, in particolare nulla (sorprendentemente) sul tema della Cassa depositi e prestiti, lo strumento che il ministro Tremonti vorrebbe utilizzare per “privatizzare” seguendo il modello delle super-holding di Guariniana memoria, sebbene il progetto di Tremonti non appaia nel programma della Cdl.

Il tema delle liberalizzazioni è trattato in modo molto esteso, soprattutto, ma non solo, per quanto riguarda le professioni e attività quali taxi e farmacie. Per le professioni tuttavia, il programma non si spinge fino al punto di proporre l’abolizione degli ordini.

A mio parere il documento finora più chiaro che l’Unione ha prodotto su questi temi non è nel programma, bensì nell’intervista che Romano Prodi rilasciò al Sole 24Ore in agosto e nella quale delineò un progetto molto articolato e assolutamente condivisibile di riforma delle Autorità.

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16 commenti

  1. Gianluca Cocco

    Gli ordini professionali rappresentano una vergona. Il centro sinistra non intaccherà le lobbies di avvocati, notai, farmacisti, commercialisti, dentisti e tanti altri. Io vorrei poter comprare l’acetilsalicidico nel supermarket; vorrei comprare l’auto di mio padre senza che un notaio debba lucrare sulla comparvendita; vorrei scegliere il dentista anche sulla base del minor prezzo delle prestazioni e non subire un prezzo imposto dall’ordine. Vorrei tante altre cose, ma ho paura che il prossimo governo di centro sinistra consentirà il ritorno del nostro nano fra 5 anni.
    Saluti

  2. Stefano Micossi

    A me non sembra una buona idea quella di proporre l’abolizione degli ordini professionali (a) per ragioni di merito: gli ordini possono svolgere utili funzioni di formazione e difesa dell’etica professionale; e (b) per ragioni politiche: perché scatenare una guerra di religione su istituti che sono profondamente radicati nella tradizione?
    Naturalmente, penso anch’io che occorra liberalizzare l’esercizio delle professioni: ma per fare questo basta eliminare le tariffe minime e massime, riformulare i divieti di pubblicità e consetire l’organizzazione degli stuidi professionli come società di capitali, anche con soci non professionisti.

  3. edo vassallo

    Non riesco a capire come si riesca a tradurre lo slogan dell’abolizione degli ordini professionali nella realtà concreta del mercato attuale; ci sono diversi ordini professionali (l’ordine degli avvocati, tanto per fare un esempio) ormai sovraffollati; la loro abolizione e la completa liberalizzazione della professione comporterebbe solo un ulteriore proliferare di professionisti dequalificati, e non soggetti neanche ai minimi controli oggi esistenti, ed al conseguente “autogenerarsi” di offerta di prestazioni professionali inutili a tutto, se non ad assicurare un minimo reddito a chi le offre, e ad aumentare ulteriormente il già enorme ruolo delle cause pendenti ingolfando i tribunali ancora più di quello che già sono.

  4. Gianluca Ricozzi

    Per quanto riguarda gli avvocati, il problema è evidentemente nell’accesso, oggi legato ad un esame assolutamente inutile e iniquo. Chiunque abbia mai affrontato le prove scritte sa bene che si tratta di una farsa, con le correzioni del tutto arbitrarie. In secondo luogo, una volta entrati, per i giovani avvocati, che non abbiano uno studio familiare avviato, si scontrano con le rendite di posizione dei professionisti già affermati. L’impossibilità di poter pubblicizzare la propria attività rende difficile procurarsi nuovi clienti. Io abolirei l’esame di Stato, e intridurrei piuttosto un sistema di formazione postlauream molto impegnativo, che avrebbe lo scopo di garantire una adeguata preparazione minima ai nuovi professionisti, e scoraggerebbe coloro che non sono molto motivati. Sostituirei poi l’ordine con dele associazioni sul modello anglosassone: il compito di queste associazioni dovrebbe essere quello di vigilare sull’etica professionale. Abolirei naturalmente i divieti di pubblicità e l’attuale sistema delle tariffe.

  5. FRANCESCA

    Mi trovo d’accordo con il professore, pero’ io vedrei meglio una riforma graduale con una rivisitazione al ribasso delle tariffe, un controllo più efficace e nel contempo sottolinerei anche il fatto che i professionisti sono aiutati da circa 1.500.000 di impiegati maltrattati, malpagati e che mandano avanti la maggior parte del lavoro degli studi, di solito il capo fa public relation e parcellizza, mentre gli impiegati senza sindacato, senza ticket, senza pausa dalle 9:00 alle 20:00 gli portano avanti il lavoro.
    Il contratto viene rinnovato sempre in ritardo, senza una piattaforma con un piccolo obolo di 30 euro circa, mentre per gran parte di loro il passaggio dalla lira all’euro è stato molto vantaggioso!

  6. Fabrizio Grandi

    Condivido quello che scrive il Professore. Credo che al Paese serva più concorrenza, non soltanto negli ordini professionali: ci sono delle tracce di vecchi monopoli statali che vanno assolutamente estirpate perchè infettano pericolosamente la nostra economia. E soprattutto che prima della privatizzazione vada attuato un processo di liberalizzazione: l’unico settore dove la liberalizzazione sia avvenuta, a mia memoria, è quello della telefonia, e mi sembra che i benefici siano evidenti e sotto gli occhi di tutti.

  7. danilo

    Gli ordini professionali vanno aboliti innanzitutto in quanto non servono. parlo dell’ordine degli avvocati, che conosco. è superfluo, eccede, non ha una ragione di essere che si fondi sull’utilità, semplicemente c’è e rimane. Allora, prima ancora di analizzare ed interrogarsi sulle conseguenze dell’abolizione, occorre, a mio parere, impostare il discorso a partire da questo presupposto, e cioè: andrebbe abolito perchè ha una funzione nulla. Avere e tenersi stretta la regolamentazione di una professione, ancorchè falsata fittizia antieconomica gerontocratica ecc., in luogo di non averla non è un valore in sè. Pertanto, ragioniamo in maniera semplice. Aboliamo gli ordini professionali perchè non servono e siamo fiduciosi che l’assetto migliore di una professione lo si troverà strada facendo, avvalendosi certo dell’ausilio di modelli già esistenti, vedi quello anglosassone da cui trarre idee e spunti, debitamente da adattare al nostro tessuto. La situazione la ritengo già insostenibile ora.

  8. Enrico Gallina

    Sono pienamente d’accordo col Prof. Giavazzi ma domandiamoci cosa faremmo noi se fossimo il prossimo Presidente del Consiglio per instillare un po’ di concorrenza negli ordini professionali e non solo. Gli esempi esteri non mancano: dal modello anglosassone richiamato da Gianluca Ricozzi all’eccellente modello francese della concorrenza pubblico-privato nel settore sanitario. C’è un motivo per il quale un notaio italiano deve essere un esoso libero professionista e non un normale funzionario pubblico? Sono sicuro che tutti siamo d’accordo (tranne i notai e le loro famiglie) ma la potenza delle lobbies in questa debole democrazia italiana è tale da lasciar poco sperare.
    Purtroppo la politica è prigioniera del consenso che la esprime (non è che i governi non ci provano ma -proprio come dimostra il tentativo di sottrarre la compravendita di auto usate ai notai – non ci riescono). L’unica speranza sembra una soluzione Europea. Domandiamoci dove sarebbe oggi il nostro Deficit se non fossimo stati costretti a ridurlo per rientrare nei criteri di Maastricht. Allo stesso modo credo che solo una Direttiva Europea possa costringere a una politica di liberalizzazioni che al momento sembra tanto temuta dalle categorie privilegiate quanto da un elettorato che non ha ancora la coscienza del valore della concorrenza e che non è disposto a premiare col consenso chi si assume la responsabilità di abolire i privilegi. Ma quanto dovremmo ancora aspettare per una Direttiva Europea decente nel settore delle professioni liberali? E soprattutto chi la vuole? Gli studenti francesi sembrano chiedere tutt’altro. . .

  9. Michele Giardino

    Sembra difficile dar torto al prof. Giavazzi. In astratto. In concreto, ragioni non del tutto futili, anche da altri ricordate, di radicamento nella tradizione, consegnano a chi difende lo status quo argomenti tali da rendere il costo politico dell’abolizione insostenibile, per ragioni diverse, per qualunque schieramento.
    Mi chiedo allora se non si possa tentare una riflessione in direzione opposta: sulla possibilità cioè di attribuire agli Ordini poteri molto più pesanti degli attuali di controllo sugli iscritti, cui corrispondano responsabilità non meno pesanti e debitamente sanzionate, a livello personale, a carico di coloro cui fanno capo gli uni e le altre. Una specie di CSM, meno castale e ben collegato all’opinione pubblica. Non se ne può più di medici incompetenti, avvocati pasticcioni e ingegneri temerari. Se qualcuno avesse davvero l’obbligo di occuparsene, credo non sarebbe un male. Sottrarrei invece agli Ordini prerogative come la distribuzione di incarichi e privilegi vari. Ci sarebbero meno candidati e mnore agitazione per l’elezione dei Consigli, cui sarebbe meglio ammettere solo anziani di chiara e sperimentata fama. Il problema delle barriere all’entrata è fondamentale, ma è altra cosa. Possono essere abbassate o eliminate, certo, ma solo se c’è qualcuno – e perché non gli Ordini? – obbligato ad accertarsi che i professionisti sono veramente tali e non solo ciarlatani; e che curano costantemente comportamento e aggiornamento. E a farlo PRIMA che facciano vittime che nessuno mai risarcirà. E’ più di una qestione di mercato. Perché mai la collettività, ben tutelata contro i vari abusi della TV, non potrebbe esserlo contro la ben più pericolosa incompetenza dei medici? Ovviamente, occorre pensare bene al come, ma soccorre la sterminata casisitica di esperienze gravi e dolorose.
    Mi sembra non impossibile e sarebbe incomparabilmente più popolare. Magari, in astratto.

  10. Flavio

    Difficilmente una riforma liberalizzatrice, soprattutto rispetto agli ordini professionali, potrebbe andare in porto, poiché in questo caso i riformatori e i riformati coinciderebbero in buona parte. Per rendersene conto è sufficiente verificare quali sono le categorie professionali più rappresentate nel nostro Parlamento. Eppure, per quanto impopolare, un potenziale governo che avesse il coraggio di adottare una politica effettivamente liberale avrebbe il mio voto e quello di tantissimi altri giovani che hanno voglia di crescere e confrontarsi con il mercato, in base al proprio merito ed al proprio valore; giovani che non hanno alcuna intenzione di portare il fardello di questa repubblica gerontocratica e clientelare; giovani che vogliono fare gli avvocati, i farmacisti, i notai o i ricercatori universitari perché sono capaci e meritevoli e non perché “ereditano” il titolo..

  11. Luca Marcon

    Lavorando da più di vent’anni nell’ex colosso monopolista della telefonia, qualche idea sulle privatizzazioni me la sono fatta. Un conto è collocare sul mercato banche, assicurazioni e quant’altro (beni immateriali, sedi a parte), ben altra questione è cedere l’energia (Enel e Snam), i servizi (Telecom, Tim) e altri soggetti (le Autostrade). Nel secondo caso, ad essere privatizzate sono anche le infrastrutture: ovvero beni materiali, che sono altra cosa rispetto a licenze, marchi e analoghi. A mio parere, peraltro maturato dallesperienza personale e da una profonda conoscenza del settore, le privatizzazioni debbono essere concesse salvaguardando la proprietà e titolarità dello stato nelle infrastrutture: nel caso dell’energia, lo Stato mantiene la proprietà della rete di distribuzione (sia di Enel che di Snam) ma liberalizza la produzione e la commercializzazione. Quanto fatto in merito a Telecom e Autostrade, entrambe acquistate con il metodo del leveraged buyout e riempite di debiti che sono poi stati “scaricati” sugli utenti, credo sia esempio chiaro di cosa non si sarebbe dovuto fare. In sintesi, le infrastrutture sono beni primari artificiali, così definiti per distinguerli dai naturali: una strada o un’autostrada (o una via ferrata) non possono essere privatizzate “perchè tanto il nuovo competitor ne potrà costruire delle altre”. E’ un’idea sbagliata, che non funziona e un tantino in malafede. Non mi resta che sperare nella sufficiente chiarezza del mio pensiero.

  12. Carlo

    Vorei consigliare a tutti l’ottima inchiesta di report sull’argomento: “Vivere di Rendita”. http://www.report.rai.it/2liv.asp?s=206

  13. Luigi Rosi

    Tralascio la questione dell’accesso dei giovani alla professioni per assumere il punto di vista dei cittadini che si avvalgono dell’opera dei professionisti. Credo che in un paese ben governato gli ordini professionali sono tutt’al più una sorta di associazione di categoria che ne difende i legittimi interessi. I cittadini sono tutelati dal codice civile e da quello penale, da un quadro di norme chiaro e coerente e da un sistema efficiente dell’amministrazione della giustizia. Sostenere che gli ordini professionali servano a tutelare i cittadini dalla incopetenza e dalla disonestà dei professionisti è semplicemente ridicolo. Forse basterebbe una riforma semplicissima: liberalizzare gli onorari dei professionisti (tutti) ed affidarli alla libera contrattazione tra il cliente e il professionista.
    Cordiali saluti.

  14. Michele Napolitano

    Sono d’accordo con il Professor Giavazzi. Ritengo inoltre che una seria liberalizzazione degli ordini professionali avrebbe un impatto immediato e concreto sul livello di occupazione giovanile. Liberalizzare e dare incentivi a chi assume con contratti permanenti rappresenterebbe una svolta per il sistema Italia e darebbe un impulso senza precedenti all’occupazione nel mercato dei servizi. Ma sono pronti i nostri vari Avvocati, Notai, Farmacisti ad affrontare una sana concorrenza di mercato? Sono pronti ad investire seriamente in risorse umane rinunciando alla comoda logica del praticantato?
    E soprattutto e’ realistico pensare che un Parlamento della Repubblica i cui membri sono, in gran parte, iscritti agli ordini votino per diminuirsi i privilegi indecenti di cui godono?
    Dubito.

  15. ROX

    Premetto sono un giovane neoprofessionista, commercialista, quindi in linea di principio dovrei essere favorevole a mantenere alte le barriere d’ingresso al’ordine che ho appena superato. Sono invece in piena sintonia con il professore: se questi sono gli ordini, meglio l’abolizione e sostituzione con il modello anglossassone. Tuttavia ritengo inpraticabile in Italia tale provvedimento. Allora perchè non affidare agli ordini come, per esempio è già stato fatto indirettamente con l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi e le comunicazioni al registro imprese, compiti di connettori tra i cittadini e lo stato, in questo esplicando in parte la funzione pubblica che li dovrebbe contraddistinduere? Via al processo civile telematico, alla borsa del lavoro, al catasto urbano e terreni adeguando i valori e dati, alle procedure della sanità, ai beni mobili registrati, il tutto aggiornato quotidianamente dal il lavoro di milioni di professionisti, con tecnologie già disponibili e a relativo basso costo ( poche migliaia di euro per le dotazioni informatiche).

  16. Carlo Cervasi

    Rispondo al messaggio di Flavio del 28-03-2006 e in particolare, alla parte in cui si parla di “giovani che vogliono fare gli avvocati, i farmacisti, i notai o i ricercatori universitari perché sono capaci e meritevoli e non perché “ereditano” il titolo..”. io ho appena superato il concorso da notaio, non sono affatto vecchio e, soprattutto, non ho ereditato alcunchè. Non voglio entrare nel merito della discussione sugli ordini professionali, che richiede una competenza che non ho, ma sono stufo di sentire la solita panzana per cui si diventa notai solo se si è figli di notai ed avvocati idem… Io il concorso da notaio l’ho superato al primo tentativo e l’esame da avvocato pure (e quest’ultimo era pure incredibilmente facile) e non sono figlio o nipote di nessuno, così come tanti altri amici o colleghi. D’altra parte vedo amici figli di notai ancora sui libri al terzo o quarto concorso, il che mi pare smentire questa storia della successione nello studio.
    Piuttosto, sarebbe il caso di cominciare a chiedersi come si diventa professori universitari o come si assegnano i dottorati di ricerca: a me è capitato personalmente di non essere minimamente seguito durante la mia carriera universitaria e di vedere più di qualche collega (non raccomandato) superare gli scritti di dottorato come primo in graduatoria ed essere spostato all’orale alla prima posizione inutile. Per questo tremo quando penso ad un accesso alle professioni con selezione da parte delle università (d’altra parte la selezione, a me pare, è meglio farla a monte che non a valle, sulla pelle dei consumatori).

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