Più lavoro per gli anziani uguale meno lavoro per i giovani? Un vecchio luogo comune della vulgata economico-sindacale torna a far capolino nel dibattito sulla proposta di riforma della previdenza avanzata dal Governo Berlusconi. Cosa afferma questo luogo comune? Che il prolungamento della vita lavorativa delle persone più anziane impedisce l’accesso all’occupazione ai più giovani, perché non libera posti di lavoro. In altre parole i padri tolgono lavoro ai figli. Da questa convinzione discende la ricetta delle pensioni di anzianità come strumento di creazione di occupazione giovanile.
Ciò sarebbe vero se il numero di posti di lavoro fosse fisso e immutabile nel tempo. Quasi fosse una stanza tanto stipata di persone che per farne entrare un’altra occorrerebbe che qualcuna uscisse. (Il che può accadere per alcune categorie professionali altamente protette). Questa visione ha il fascino discreto della semplicità e a ciò deve la sua popolarità.
Quanto tale visione sia però errata lo dimostra il confronto internazionale: l’occupazione tra gli anziani è maggiore negli stessi Paesi in cui c’è minore disoccupazione giovanile (vedere grafico). Ciò perché in realtà non vi è nessuna legge di natura che predetermina un numero costante di posti di lavoro. In un sistema economico esistono invece condizioni di domanda e offerta. Condizioni che cambiano, aumentando o diminuendo l’occupabilità delle persone. E l’aspetto dinamico è quello più difficile da inglobare nelle analisi. Ma è l’aspetto più rilevante, perché non solo varia la dimensione dell’occupazione ma anche e soprattutto la sua composizione tra settori produttivi, tra imprese e, all’interno di una stessa impresa, tra figure professionali. Perciò è ben difficile, e comunque rappresenta un caso particolare, che al pensionamento di una persona corrisponda l’assunzione di un’altra.
Proprio a questo caso particolare, che può essere anche importante per una singola impresa, pare si riferisca una critica, elaborata da Pietro Garibaldi su lavoce.info e ripresa da Tito Boeri su Il Sole 24 Ore, al nuovo progetto di riforma previdenziale. Sostenendo che “l’aumento della vita lavorativa determina un aumento del costo del lavoro” (per unità di prodotto, aggiungiamo) e dunque riduce la domanda di lavoro, a scapito dei giovani, essendo gli anziani “bloccati” nel lavoro dal progetto di riforma previdenziale o da qualunque intervento determini l’allungamento della vita lavorativa.
Questa critica sollecita due osservazioni. Prima osservazione. Delle due l’una: se si ritiene che le misure proposte di incentivazione al rinvio del ritiro dal lavoro siano efficaci allora porteranno a un risparmio nella spesa previdenziale, e ciò implica una riduzione del costo del lavoro via abbassamento delle aliquote fiscal-contributive (o un loro mancato aumento). Se invece si ritiene che non saranno efficaci (e vi è più di una ragione per pensarlo) allora non ci sarà “ingabbiamento” di persone anziane nell’occupazione. In ogni caso quel che rileva è il costo del lavoro e ogni riforma che, abbassando la spesa, riduca la pressione fiscal-contributiva accresce l’occupabilità delle persone di ogni generazione.
Seconda osservazione. Se anche i meccanismi di spiazzamento descritti da Boeri-Garibaldi funzionassero, e non c’è da dubitare che in alcuni casi funzionino (ma l’evidenza aneddotica evidenzia anche casi contrari: la produttività di alcune figure professionali è più alta negli ultimi anni di vita lavorativa e le imprese si lamentano di perdere per pensionamento d’anzianità lavoratori preziosi), credo che per contrastarlo occorrerebbe usare strumenti diversi dal sistema previdenziale (che incide sulla sfera della libertà personale nel suddividere la vita in tempo di lavoro e in tempo libero). Per esempio, facendo ricorso a una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, alla formazione e riqualificazione, al sostegno integrativo delle retribuzioni.
Non mi pare invece molto formativo, nella già scarsa cultura economica italiana, risvegliare antichi luoghi comuni in un paese che negli ultimi anni ha imparato finalmente che si possono aumentare assieme l’occupazione degli anziani e l’occupazione dei giovani.

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