Lavoce.info

Il Doha Round gira su se stesso

Lo sviluppo straordinario dell’economia mondiale negli ultimi 50 anni è stato in larga misura sostenuto dalla crescita degli scambi internazionali di beni e servizi. Lo sradicamento della povertà in Cina, il miracolo economico in Italia e in Spagna, l’industrializzazione delle tigri asiatiche, il balzo dell’economia dell’India non si sarebbero verificati se questi paesi non avessero potuto contare sulla rapida crescita delle proprie esportazioni.
A sua volta, l’aumento del commercio internazionale deve molto alla riduzione delle barriere agli scambi sponsorizzata prima dal GATT e, a partire dal 1994, dall’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Anche la crescita degli investimenti diretti all’estero, che ha contribuito non poco a stimolare l’economia mondiale, è in buona parte attribuibile alla riduzione dei costi del commercio.

Lo sviluppo straordinario dell’economia mondiale negli ultimi 50 anni è stato in larga misura sostenuto dalla crescita degli scambi internazionali di beni e servizi. Lo sradicamento della povertà in Cina, il miracolo economico in Italia e in Spagna, l’industrializzazione delle tigri asiatiche, il balzo dell’economia dell’India non si sarebbero verificati se questi paesi non avessero potuto contare sulla rapida crescita delle proprie esportazioni.
A sua volta, l’aumento del commercio internazionale deve molto alla riduzione delle barriere agli scambisponsorizzata prima dal GATT e, a partire dal 1994, dall’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Anche la crescita degli investimenti diretti all’estero, che ha contribuito non poco a stimolare l’economia mondiale, è in buona parte attribuibile alla riduzione dei costi del commercio.

IL FALLIMENTO

Date queste premesse, si potrebbe pensare che i governi di tutto il mondo, dalle democrazie del G7 ai paesi emergenti, si sarebbero strenuamente impegnati per garantire il pieno successo della nuova tornata di negoziati commerciali. Così non è stato. La complessità stessa dei temi trattati, l’incapacità dei governi di far fronte alle lobbies settorialiche si opponevano a nuove concessioni, l’indebolimento dei gruppi di pressione a favore della liberalizzazione (come ben rilevava Giorgio Barba Navaretti in un suo intervento sulle colonne del Sole 24 Ore qualche giorno fa) sono tutti fattori che hanno reso assai più difficile il negoziato del Doha Round e avrebbero richiesto un impegno ben maggiore da parte dei governi per garantirne il successo. E’ accaduto invece il contrario. I negoziati si sono trascinati stancamente nel colpevole disinteresse dei capi di governo, alimentato forse dalla convinzione che, come era sempre successo nel passato, si sarebbe raggiunto un accordo all’ultima ora. Così non è stato. E oggi i governi si ritrovano a dovere raccogliere i cocci di un negoziato frantumato da troppi egoismi e troppa miopia, che molto probabilmente neppure la meritevole ma tardiva iniziativa di Bush e Blair riuscirà a ricomporre.

Leggi anche:  Harris-Trump: l'economia Usa nei prossimi quattro anni

I RISCHI

I pericoli per il sistema multilaterale degli scambi sono numerosi. I negoziati commerciali sono stati giustamente paragonati a una bicicletta. Una volta in sella è necessario continuare a correre. E’ vero, ci si potrebbe fermare, come alcuni sostengono, ponendo un piede a terra e facendo tesoro dei risultati già acquisiti. Ma non è possibile o, perlomeno, è molto pericoloso farlo. Il problema non è solo, come osservano giustamente Fabrizio Onida e Renato Ruggiero sul Sole 24 Ore, la diffusione a macchia degli accordi regionali che minerebbero il principio ispiratore dell’OMC, il multilateralismo. Vi è un altro rischio, altrettanto grave: l’aumento delle controversie e l’indebolimento del sistema di risoluzione delle dispute commerciali. Grazie a quest’ultimo meccanismo, le controversie commerciali trovano oggi una soluzione, efficace nei tempi e condivisa nelle procedure, in grado di frenare una crescita incontrollata di ritorsioni e contro ritorsioni. Ogni anno però insorgono in campo commerciale nuovi problemi, che si cumulano a quelli irrisolti; si creano nuovi contenziosi su materie non sempre previste dagli accordi esistenti. I negoziati commerciali servono per evitare che questi problemi, vecchi o nuovi che siano, causino un aumento delle controversie fra paesi che rallenterebbe, e non di poco, la crescita degli scambi e finirebbe per ingolfare proprio il sistema di risoluzione delle dispute commerciali.

LE OPPORTUNITA’ MANCATE

Per l’Italia, il costo di un fallimento del Doha Round ricadrebbe soprattutto sul settore industriale. Si spegnerebbero anzitutto le speranze di riforma del bilancio comunitario. Una riduzione più decisa del peso del settore agricolo nel bilancio europeo, come proposto a suo tempo dal Rapporto Sapir, avrebbe aperto spazi rilevanti per politiche di sostegno all’industria in attività cruciali quali la ricerca e lo sviluppo e la formazione. Soprattutto, la mancata apertura dei mercati dei paesi emergenti danneggerà le nostre esportazioni che saranno meno in grado, in assenza di una liberalizzazione degli scambi, di trarre vantaggio dalla domanda crescente in quei paesi sia per beni di investimento sia per beni di qualità nei cosiddetti settori tradizionali, tessile, abbigliamento, calzaturiero, mobilifici.
Un rilancio della competitività del settore industriale passa quindi anche attraverso un’azione più decisa a favore del processo di liberalizzazione degli scambi internazionali.

Leggi anche:  Per il governo Labour il conto salato del Qe britannico

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Taiwan: la libertà garantita dai semiconduttori

Precedente

Autostrade – Abertis: non s’ha da fare?

Successivo

Vivere più a lungo, lavorare più a lungo?

  1. m. gomellini

    Caro professore,
    imparo sempre molto dai suoi interventi.
    Il tema del multilateralismo mi convinve, come anche la necessità per l’economia europea e italiana, di un mutamento strutturale “market induced”: liberalizziamo gli scambi, paghiamo meno alcuni prodotti e ridirezioniamo risorse verso altri settori. Lei, tra le altre cose, afferma che l’aumento degli scambi deve molto al Gatt/Wto. Un’affermazione apparentemente condivisibile, messa tuttavia in dubbio da recenti studi che si interrogano sulla reale efficacia del Gatt/wto nella promozione di maggiori flussi commerciali, che avrebbero beneficiato maggiormente di accordi men che multilaterali (e il caso dell’Italia, almeno fino agli anni 70, mi sembra confermare: molto OECE, molta CEE, poco GATT…)
    Inltre, e questa è una vecchia questione, tali studi riaffermano che se ci sono vantaggi dal multilateralismo, essi hanno avuto una distribuzione altamente concentrata e iniqua, cosa che oggi nel mondo globalizzato dove anche la periferia è al centro, non è più sostenibile.
    Questa è forse una delle ragioni del fallimento di Doha: non solo il multilateralismo è purtroppo “fuori moda” e alcuni governi ne sottovalutano l’importanza sistemica, ma forse il meccanismo non riesce a comporre gli innumerevoli interessi.
    Riformare le istituzioni internazionali è cosa ardua, e questo chiaro. Ma mi pare che il tema debba essere messo all’ordine del giorno perché contribuisce al fallimento del negoziato multilaterale. Lei ha suggerimenti sulla direzione di marcia?
    Con stima,
    m. gomellini

  2. Massimiliano Claps

    Caro Professor Faini,
    condivido a pieno il suo intervento, però ritengo sia importante sottolineare un punto che lei giustamente ha messo in grassetto, ovvero quello delle lobbies settoriali.
    Penso sia importante chiedersi perché il round di negoziati è giunto al fallimento e penso che il problema delle lobbies settoriali sia fondamentale e strettamente legato alla perdita di “trendiness” del multilateralismo. Per essere più specifici vorrei fare un esempio e legarmi ad un interessante articolo di un paio di giorni fa apparso sul Financial Times. L’articolo citava la questione dei medicinali generici e le continue pressioni del governo americano (ma probabilmente anche di altri G7) per indurre paesi piccoli a siglare accordi che estendano i brevetti oltre i limiti esistenti. L’articolo in particolare parlava di accordi già raggiunti con paesi minori del Medio-Oriente e di crescenti pressioni in Thailandia, Malaysia e South Korea. Tali pressioni non vengono esercitate direttamente dalle multinazionali del farmaco, ma da esponenti del governo federale americano incaricati di tutelare le lobbies farmaceutiche. Senza voler entrare nel merito della questione farmaci generici, che peraltro ha ricadute umanitarie che vanno ben al di là dei vantaggi di prezzo per il consumatore, mi pare che l’esempio serva a dimostrare che sempre più i vari istituti governativi che si occupano di commercio ed investimenti internazionali siano preoccupati di soddisfare queste lobbies e non si occupino invece di valutare i vantaggi del multilateralismo per i consumatori finali… Sarà che le lobbies finanziano le campagne elettorali (di qualsiasi schieramento politico) a piene mani, mentre il cittadino medio non cambia certo il suo voto per il fallimento del Doha Round… Di più, la tutela delle lobbies settoriali (farmaci, sementi GM, etc.) ritengo abbia un impatto negativo anche sullo squilibrio della distribuzione dei benefici della globalizzazione, giustamente citato nel precedente commento.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén