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Verso le nuove partecipazioni statali?

Una sommaria analisi della politica industriale del Governo mostra come ancora manchi una guida unitaria. Ma il rapporto con “il mercato” resta problematico e gli interventi effettuati non indicano che si voglia alleggerire la presenza pubblica nell’economia. Non è certo con proposte di nazionalizzazione e interferenze con l’operato di imprese private che si può caratterizzare una discontinuità col passato.

Non so se il vituperato documento di Rovati (consigliere di Romano Prodi) sia uno scandalo, ma senza dubbio è un pasticcio che testimonia di una grande confusione nel Governo su chi debba dettare gli indirizzi di politica industriale, e su quali debbano essere tali indirizzi.
Al momento della costituzione del Governo avevamo già rilevato  come fosse in atto un tentativo di unificare le strategie industriali del Governo (direttamente sotto il controllo della Presidenza del Consiglio) ma come tale tentativo fosse ricco di contraddizioni. Queste contraddizioni oggi puntualmente esplodono, arricchite dalla evidente eterogeneità della maggioranza e della stessa compagine governativa.
Riassumiamo alcuni dei passi compiuti in questi pochi mesi del nuovo Governo.

Mercati “frammentati”: Il ministro Bersani riesce a far passare un decreto sulla liberalizzazione di libere professioni, sulla vendita di farmaci, ecc. (sui taxi, lasciamo perdere…).

Mercato energetico: Sono stati annunciati alcuni provvedimenti per aumentare la concorrenza per energia elettrica e gas sono ma tali interventi non ancora stati esplicitati. Per contro, si è cercato di aiutare Enel nel suo tentativo di entrare oltr’Alpe, ed Eni sul mercato russo (e fin qui niente di male), ma sempre (a quanto si è letto) offrendo alle controparti dei pezzi di mercato italiano in cambio di aperture a questi “campioni nazionali”.
Dopo mesi (forse anni) di trattative fallite, pare andare in porto la fusione tra Aem Milano e Asm Brescia con un accordo tra i sindaci di Milano (destra) e Brescia (sinistra). Il fatto che questo potrebbe limitare sostanzialmente la concorrenza nel mercato elettrico – già dominato da Enel – non sembra preoccupare nessuno.

Trasporti: Si cerca di bloccare – con argomentazioni formali del tutto speciose e argomentazioni sostanziali di difesa dell’italianità dell’impresa – l’operazione di fusione tra Autostrade e la spagnola Abertis .
Si rinnovano i vertici di pezzi importanti della presenza statale nel settore, o confermando chi ha guidato i disastri degli ultimi anni, o promuovendo ex sindacalisti e altri.
Spicca tra questi un ex dirigente IRI che negli ultimi anni ha condotto la Stretto di Messina S.p.A., massima fautrice del discusso progetto del ponte sullo stretto, che è stato posto ai vertici di Anas. Due dettagli: il primo, è che il Ponte sullo Stretto era l’unica opera esplicitamente menzionata nel Programma dell’Unione per dire che non andava fatta. Il secondo, che il neo presidente di Anas non si è ancora dimesso dalla Stretto di Messina, che dovrebbe essere quanto meno un promoter di un’opera data in concessione dalla stessa Anas. Meno male che la maggioranza vuole riprendere in mano il tema del conflitto di interessi…
Alitalia resta nei guai, ma per fortuna sulle sue alleanze interviene anche il vice-presidente del Consiglio, come se il management (appena rinnovato) dovesse agire sotto tutela e senza la fiducia del Governo.
Ma nel programma dell’Ulivo non c’era scritto che si voleva un’Autorità indipendente per il settore dei trasporti? Pare in realtà che la presenza pubblica sia in aumento, non in diminuzione…

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Telecomunicazioni. Un consigliere del Presidente del Consiglio immagina un piano di pesante ristrutturazione di un’impresa privata (Telecom), lo comunica su carta intestata della Presidenza ai vertici di questa impresa, ma il Presidente del Consiglio (a quanto pare) non ne sa nulla. All’interno di questo piano si prefigura una ri-nazionalizzazione della rete telefonica tramite la Cassa Depositi e Prestiti, che già da diversi anni (soprattutto sotto Tremonti e Siniscalco) è tornata al centro delle “nuove partecipazioni statali”.
Da più parti della maggioranza si reclama l’utilizzo dei poteri speciali associati alla golden share, che dovrebbe essere riservata a casi in cui siano lesi gli “interessi vitali” del paese.
Cosa emerge da questo mosaico, a parte alcuni curiosi elementi di dilettantismo? Forse effettivamente alcune regolarità, alcune linee guida si possono dedurre.

1. Il Governo crede (ma certo senza estremismi) nella deregulation dei settori che potenzialmente sono concorrenziali (professioni, commercio), ma le lobby (taxi) restano molto ascoltate;

2. Il Governo cerca di dire la sua su ogni grande operazione e su ogni grande impresa, che sia all’interno del portafoglio del Tesoro (Alitalia) o meno (Telecom);

3. Le grandi imprese (autostrade, Enel, Eni, …) vengono in primo luogo difese, soprattutto nella loro italianità;

4. La presenza politica nell’industria non sembra destinata a diminuire, e talvolta appare in aumento;

5. La smania di protagonismo dei diversi membri del Governo e della maggioranza prevale sul tentativo di avere una “cabina di regia” della politica industriale.

Alcune di queste cose sono del tutto legittime, per carità, e se è vero che l’Italia non ha mai avuto governi liberisti, anche questo non fa eccezione. In questo e in altri sensi, non si può certo dire che i segnali di discontinuità siano molto forti. Se al vertice di Bankitalia il cambiamento è stato marcato (e benvenuto!), al vertice del paese forse servirebbe lo stesso rispetto dei ruoli tra autorità pubblica e imprese che oggi contraddistingue il comportamento del Governatore Draghi.
Speriamo che eventuali discontinuità non provengano dalla nazionalizzazione delle reti: non si sente proprio il bisogno di aumentare il numero di reti in mano pubblica. Si pensi alla qualità della rete ferroviaria, alla rete idrica che perde circa il 35% dell’acqua immessa, alle infrastrutture del sistema energetico, che 3 anni fa ci ha dato il black-out e che l’anno scorso ci ha costretto ad abbassare la temperatura delle case. Vogliamo altre reti pubbliche? Per carità…
E nessuno sente veramente il bisogno che sia Palazzo Chigi a dettare i comportamenti a Telecom Italia. Le preoccupazioni sono legittime, il resto (i toni, il documento Rovati, …) lascia perplessi. Quello che veramente servirebbe, sarebbe più chiarezza per i piccoli azionisti (che ogni anno si trovano di fronte a piani industriali sempre meno credibili) e maggiore capacità degli stessi azionisti di minoranza (inclusi i fondi di investimento) di intervenire a difesa del valore dell’impresa.
Che lo Stato si occupi delle regole e di fare funzionare i mercati (e le autorità di regolazione ove strettamente necessario). Al resto dovrà pensare la responsabilità degli azionisti. Forse la riunione del CdA di Telecom che ha condotto alle dimissioni di Tronchetti Provera è un buon segno; lo vedremo nei prossimi giorni.

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*Poichè molti lettori insistono sul tema della separazione delle reti e della proprietà pubblica v. privata, e poichè il tema è complesso, rinvio la risposta a un pezzo che lavoce.info pubblicherà tra breve. Le risposte riguarderanno quindi solo gli altri punti eventualmente sollevati da ciascun lettore.

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Un test per il preside

  1. giuseppe

    Nel citato decreto Bersani ci sono degli importanti indizi del dirigismo statalista di questo governo.E’ quantomeno singolare che in un decreto per le liberalizzazioni vengano disposte per legge le modalità di pagamento delle parcelle dei professionisti escludendo di fatto il pagamento in contanti,limitando il valore legale della carta moneta e complicando i rapporti con i clienti,e,cosa ancora più grave,viene imposto ai titolari di partita IVA il pagamento per via telematica di imposte e contributi ( Mod. F24),aggravando e complicando i già pesanti adempimenti burocratici che incombono sui lavoratori autonomi,tanto che pure i commercialisti si sono ribellati.Certo non è stato un concetto di libertà a ispirare questo decreto!

    • La redazione

      Caro lettore, noti che anche se si trova all’interno di un provvedimento di liberalizzazione, la norma a cui si riferisce è di carattere fiscale. E come è noto in campo fiscale senza coercizione non si va molto lontano… o no?

  2. Davide De Bacco

    In Italia la privatizzazione di aziende statali non ha fatto altro che trasformare monopoli di stato inefficenti in monopoli privati inefficitenti. Tutto ciò per due motivi:1)gli organismi di controllo non hanno potere sanzionatorio e azione regolatrice causa intrecci politici/finanziari 2)le infrastrutture di rete molto spesso non sono separate dai fornitori di servizi; Sicchè tutte le deficenze del sistema si scaricano inevitabilmente in costi per il cittadino. Lo scorporo della rete fissa da telecom è una soluzione auspicata da tutti i provider (esclusa telecom) sul modello inglese. In definitiva manca una vera apertura dei mercati ma soprattutto una vera autorità garante del libero mercato e degli interessi dei cittadini.
    Per quanto ancora autostrade dovrà fare extra profitti? Quando potrò cambiare operatore telefonico senza dover incorrere in mille disagi? e l’operatore del gas? e della luce?

    • La redazione

      Caro lettore,
      quali reti private? la rete gas è controllata dal Tesoro, quella elettrica da Enel (quindi dal Tesoro) e dalla Cassa depositi e prestiti, quelle idriche sono in massima parte di imprese pubbliche locali. Le uniche reti private sono quella autostradale e quella delle tlc, e su queste risponderò
      poi con un pezzo un po’ più articolato.

  3. Marco

    Buongiorno,
    si continua a non spiegare perchè dei monopoli “naturali” dovrebbero essere in mano privata anzichè pubblica:
    1. non sono monopoli? Ma quante reti telefoniche o elettriche o ferroviarie possono costruire i mitici “privati” garantendo un servizio universale senza perdere soldi?
    2. non sono “naturali”? A Milano un forte concorrente di Telecom non mi da la linea perché il mio palazzo è isolato, vedete voi…
    3. Bisogna distinguere tra produzione, trasmissione, fornitura, ecc. ecc.? E allora distinguiamo…
    4. Il “privato” gestisce meglio del pubblico? Possibile, anche se in Italia sempre con soldi pubblici, ma dove sta scritto che il pubblico gestisce per forza peggio? Non possiamo farlo migliorare? E il privato gestisce veramente meglio? Mi ricorda il caso delle ferrovie inglesi? O dell’energia californiana?
    Attendo illuminanti considerazioni in merito.
    Cordialmente,
    Marco

    • La redazione

      Caro lettore,
      sul pubblico v. privato risponderò altrove. Ma su alcuni dei suoi punti – sollevati in con tanto garbo e buon senso da rendere obbligatoria una risposta – vorrei osservare alcune cose.
      La rete gas è in mani pubbliche per quanto riguarda la rete nazionale, in mani spesso pubbliche per le reti locali. Lei lamenta giustamente le difficoltà di accesso alla rete telecom per cambiare fornitore. Crede che nel gas sia più facile? ha idea di quante cause siano state intentate contro imprese del gruppo Eni o municipalizzate perchè rifiutavano di
      cedere un cliente…? decine… questo è uno dei paradossi di questo paese, ovvero imprese pubbliche che abusano della loro posizione per ostacolare la concorrenza. Siamo un paese curioso…
      Quanto alle ferrovie inglesi, il problema non credo fosse la proprietà, ma una pessima regolazione, che non forniva incentivi a investire, che ha reso terribilmente complesso il coordinamento tra i diversi gestori, ecc.
      Per finire con la California, non capisco che c’entrano le reti. Non hanno costruito impianti per restrizioni ambientali molto severe, hanno impedito alle imprese distributrici di coprirsi dal rischio di un aumento dei prezzi
      all’ingrosso, e la mancanza di coordinamento tra Stati (Stati! non imprese…), che ha fatto sì che le interconnessioni tra California e altri Stati fossero limitatissime, ha fatto il resto.
      Una cosa credo resti vera. Che creare un mercato dal nulla non è facile, e se commetti errori (come in California) il rischio di combinare un pasticcio è elevato. Ma se fai le cose bene, il mercato può essere uno strumento prezioso (uno strumento, noti: non un fine…).

  4. Luca Marcon - Italia dei Valori - Dipartimento Politiche Sindacali

    Non entro nel merito della vicenda Rovati. Ma vorrei precisare alcuni punti riguardo alla questione Telecom in generale. Le difficoltà quasi insormontabili tra le quali si dibattte il gigante delle comunicazioni non hanno origine da mani statali più o meno pesanti, ma sorgono proprio da quel mercato che si vorrebbe panacea di tutti i mali. O meglio, da quelle regole fondamentali che il mercato, nella sua formulazione tutta italiana, viola in continuazione. Tra queste violazioni, il meccanismo delle scatole cinesi attraverso il quale, con una percentuale irrisoria, si può ottenere il controllo delle società (e si elide la doppia tassazione degli utili), la presenza di consiglieri di amministrazione e di sindaci in più consigli di amministrazione con potenziali e talvolta palesi conflitti di interessi, la possibilità di attribuire in bilancio valori azionari non rispondenti al mercato come è avvenuto per Olimpia, società controllante di Telecom, che valorizza le azioni Telecom al doppio del valore di Borsa e, soprattutto, la possibilità, in fase di acquisto, di indebitare le aziende a livelli insopportabili per la gestione (leverage buy out).
    Per causa di due scalate (la prima ostile, la seconda no) e di forsennate manovre finanziarie atte a proteggere la società da altre scalate, Telecom si ritrova con 41.3 miliardi di euro di debiti (più i miliardi necessari agli investimenti) e si appresta a scorporare TIM al fine di fare cassa: capovolgendo del tutto la precedente strategia dell’integrazione fisso-mobile varata non più di qualche anno fa.
    Dall’IRI in poi, sono quasi ottant’anni che lo Stato, con le risorse dei suoi contribuenti, si affanna a salvare le aziende del sistema Italia dopo che i capitalisti le hanno spremute come limoni a fini di interesse esclusivamente personale. Il problema è essenzialmente questo e non, come detto, un eccesso di statalismo a comprimere un liberismo che si vorrebbe virtuoso: un pò come scambiare la cura con la malattia.

  5. giovanni ruberti

    i business connessi con le infrastrutture (energetiche, di comunicazione o di tlc) richiedono progettualità (investitorie, di risorse e di continuità politica) e quindi prospettive di medio lungo termine.
    Questo approccio è in chiara contraddizione con un sistema politico che ragiona in termini di breve, anzi brevissimo respiro, e con un sistema manageriale delle imprese che gestiscono le infrastrutture che analogamente sono chiamati a misurarsi con obiettivi economici, di relazioni sindacali e priorità operative sempre orientate al breve, anzi al giorno dopo.
    è difficile immaginare, in un paese come il nostro, iniziative di grande respiro imprenditoriale e sociale come quelle che si sono viste negli anni 50/60 e 70 le uniche che hanno generato la vera modernizzazione del paese. le vicende del ponte sullo stretto, della tav, del mose, ora dei rigassificatori sono la dimostrazione di quanto non sia possibile richiedere alla classe politica nazionale e locale di trovare una progettualità che generi valore aggiunto per il sistema paese.

  6. Marco Palmieri

    Egregio Professore,
    pur vivamente apprezzando l’interessante analisi da Lei proposta, mi permetta di rilevare una apparente incongruenza al Suo pensiero liberale. Mi riferisco in particolare alla critica mossa circa lo scorporo della rete a favore della C.D.P.. Benchè non conosca il contenuto del “Documento Rovati” punto per punto, riengo che se tale ipotesi si fosse rivelata temporanea a favore di una successiva cessione nei confronti di una public company costituenda tramite pubblica sottoscrizione, il dimissionario consigliere, più che criticato, avrebbe dovuto essere lodato da noi tutti quale esempio di liberismo. Non solo perchè si sarebbe in questo modo incrementato l’esiguo numero di società italiane ad azionariato diffuso e perchè si sarebbe potuto contenere la debordante espozione debitoria di Telecom ad un costo zero per lo Stato, ma anche, e soprattutto, perchè si sarebbe finalmente attuata una vera concorrenza fra gli operatori della telefonia fissa, ad ora rimasta in buona parte solo sulla carta (del tutto significativa, a riguardo, mi pare la multa erogata dall’antitrust per abuso di posizione dominante nel 2004, confermata nel febbraio di quest’anno dal Consiglio di Stato). A fronte di un mercato così sbilanciato, non credo che l’auspicio di nuove leggi, di un miglior funzionamento delle Authorities o di una più attenta governance di Telecom possano costituire dei rimedi efficaci. I primi due appaiono infatti troppo deboli per un Paese profondamente lobbista come il nostro, mentre l’ultimo non può certo essere invocato nella speranza che i soci partecipi dell’impresa premano affinchè la società rinunci ai privilegi legati alla posizione assunta nel mercato.
    D’altra parte, ed infine, occorre a mio avviso considerare che la proposta avanzata di un intervento pubblico nell’erogazione dei servizi che vanno a beneficio di tutti i cittadini, non sembra davvero rappresentare una idea dirigista, nè tantomeno originale (Adam Smith, Wealth of Nations, 1776).

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