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In Usa va bene anche la demografia

Il 17 ottobre 2006 la popolazione degli Usa tocca quota 300 milioni. Un risultato dovuto all’azione congiunta di una natalità elevata e di una forte ripresa delle immigrazioni, che vanno a occupare gradini diversi della scala sociale. In Europa la situazione non è omogenea. Francia e paesi nordici hanno risposto meglio all’esigenza di coniugare vita lavorativa e familiare e hanno una tendenza demografica favorevole. Anche in Italia la recente crescita della fecondità si è verificata nelle aree dove più alti sono i flussi migratori e il numero di asili nido.

La popolazione degli Usa toccherà quota 300 milioni il 17 ottobre 2006. L’annuncio dello US Census Bureau ha un’enfasi senza dubbio positiva. Preoccupata, forse, se analizzata attraverso gli occhi dell’Europa. Natalità e immigrazione sostenute contribuiscono a una demografia che sembra “favorevole” anche alla crescita economica. Quali sono le caratteristiche del modello demografico americano? Si tratta dell’unico modello con crescita economica e demografica tra i paesi ricchi?
La stima dell’Istat statunitense, è alquanto significativa se pensiamo che quota 200 milioni era stata toccata nel 1967 (il 20 novembre, secondo le stime dello stesso ente). Ma perché la popolazione statunitense cresce? Banalmente, perché ci sono oggi più nascite che decessi, più immigrati che emigrati. Come rileva il Census Bureau, nasce una persona ogni sette secondi e ne muore una ogni tredici, mentre l’immigrazione (al netto dell’emigrazione) aggiunge una persona ogni 31 secondi. Non sapremo dunque con certezza se il trecentomilionesimo individuo sul suolo Usa sarà un nato oppure un immigrato.

Perché gli americani fanno tanti figli?

Il numero medio di figli per donna negli Stati Uniti è stimato a 2,09. Si tratta di un caso unico di esatto raggiungimento di quello che i demografi chiamano “livello di sostituzione”: le nascite, mantenendo questi livelli, garantirebbero una sostituzione esatta tra le generazioni. Possiamo fare un confronto con il numero medio di figli per donna dell’Unione Europea, stimato a 1,47.
Le indagini recenti mostrano che anche le donne europee desiderano lo stesso numero di figli (cioè circa 2). Perché le americane riescono a raggiungere i traguardi desiderati e le europee no? La fecondità Usa è elevata malgrado il welfare copra scarsamente la maternità e il costo dei figli. I congedi maternità sono raramente retribuiti, gli asili nido pubblici sono pressoché inesistenti, anche le scuole pubbliche secondarie di buona qualità sono difficili da trovare. Ci sono, è vero, molte più opzioni: il part time e altre forme di orari disponibili spiegano i maggiori tassi di partecipazione al lavoro. Contano la flessibilità degli orari della 24-hour economy, i bassi prezzi di alcuni servizi che auspicavamo come politiche a costo zero da implementare anche in Italia .
Conta anche la recente retorica religiosa e pro-familista: i livelli di fecondità sono fortemente correlati al voto repubblicano. (1) Contano i diversi standard di cura dei figli, meno “time intensive”, rispetto ai paesi europei (soprattutto nel Sud Europa) e il maggiore ottimismo che guida le scelte di fare una famiglia (anche senza lavoro fisso e senza essere sposati) di fronte a un tasso di disoccupazione molto basso e a una mobilità sociale percepita molto alta. Contano anche le abitudini, culture degli immigrati? La maggior fecondità negli Usa è senz’altro legata alla presenza di una popolazione molto eterogenea per etnia, religione e al maggior numero di immigrati nelle cui famiglie continuano a permanere divisioni del lavoro, norme sociali e religiose che favoriscono la propensioni ad avere più figli (relativamente alla media di 2,09, il numero medio di figli delle famiglie ispaniche è 2,9 e di quelle nere 2,2)

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Cresce di nuovo l’immigrazione

Dal 1980 a oggi gli abitanti Usa nati all’estero sono raddoppiati, passando dal 6,2 al 12,5 per cento della popolazione. Si stanno raggiungendo i livelli di un secolo or sono, quando anche grazie alla massiccia immigrazione italiana, tra il 1901 e il 1920 quasi il 15 per cento degli abitanti Usa era nato all’estero. (2)

La crescita della popolazione statunitense è dunque dovuta all’azione congiunta di una natalità elevata in particolare rispetto agli altri paesi occidentali, e di una forte ripresa delle immigrazioni. Il 30 per cento dei nuovi immigrati proviene dal Messico. Abbandona un paese con grande abbondanza di giovani per approdare a un paese dove trova occupazione ai livelli più bassi del mercato del lavoro. L’immigrazione è però anche qualificata: quasi il 70 per cento del milione di residenti Usa nati in India ha un titolo di studio universitario, più due volte e mezzo rispetto ai nati “indigeni”.

Insomma, un’immigrazione in crescita, che occupa gradini diversi della scala sociale americana, attratta comunque dalla situazione economica del paese. Sintomo, dunque, del rinnovato successo economico statunitense: gli immigrati arrivano, soprattutto quelli qualificati, quando l’economia tira. Ciò non toglie che il sentimento anti-immigrazione, propugnato magari dai discendenti di seconda o terza generazione di immigrati, miri a influenzare le politiche future sul tema anche negli Usa.

Gli Usa e le diverse Europe

La recente letteratura scientifica demo-economica ha sottolineato l’importanza della crescita della popolazione nelle età lavorative (i giovani e i lavoratori più maturi) per la crescita economica parlando di “dividendo demografico”. La situazione dei sistemi pensionistici ha reso inoltre più evidente l’importanza della struttura per età della popolazione. Per questo mentre gli Usa sembrano di fronte a una situazione demografica favorevole, l’Europa chiama a raccolta esperti e policy-maker al capezzale di una demografia di malessere.
Alla fine di questo mese, infatti, il presidente Barroso interverrà a una conferenza dedicata all’analisi del “problema demografico” europeo. Inevitabilmente il confronto porterà, oltre che ai paesi emergenti, anche agli Usa. Ma l’Europa non è omogenea, neanche da questo punto di vista. Le recenti previsioni rilasciate dalla Francia mostrano una popolazione in crescita. Anche i paesi nordici vantano una demografia con tendenze favorevoli. Non a caso, questi sono i paesi che hanno risposto meglio all’esigenza di coniugare vita lavorativa e vita familiare, anche attraverso la presenza di asili nido, come rilevato in un recente convegno organizzato dalla Fondazione Gorrieri per discutere di politiche familiari attorno alla legge Finanziaria in Italia. La recente crescita della fecondità in Italia si è verificata nelle aree dove ci sono stati più flussi migratori e dove ci sono più asili nido, e cioè nelle regioni del Nord e del Centro. (3)
Non esiste, dunque, una soluzione univoca alle sfide demografiche dei paesi occidentali. In generale, la popolazione nei paesi sembra crescere dove e quando il benessere percepito degli individui e delle famiglie è elevato.

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(1) Si veda Steve Sailer “The Baby Gap: Explaining Red and Blue”, The American Conservative, December 20, 2004. http://www.isteve.com/babygap.htm
(2) Alejandro Portes and Rubén G. Rumbaut, 2006, Immigrant America. A Portrait. Third Edition, University of California Press, Berkeley.
(3) Francesco C. Billari e Giampiero Della Zuanna “Lle politiche per le famiglie con figli: per le pari opportunità e il contrasto delle disuguaglianze”, Fondazione Gorrieri, Modena, 6-7 ottobre 2006; Daniela Del Boca “Gli asili nido: quali politiche ?”, Fondazione Gorrieri, Modena, 6-7 ottobre 2006.

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Le ceneri di Angela

  1. Tommaso Gennari

    Tutti i discorsi sulla demografia evitano sempre un tema: la sovrappopolazione. Come se la crescita demografica fosse sempre e comunque auspicabile. In un mondo dove sembra si sia raggiunto il livello di non ritorno di consumo delle risorse naturali, sarebbe opportuno che i “policy maker” si ponessero anche questa domanda.
    E se le famiglie, in Italia, avessero smesso di fare figli perché, rispetto allo stile di vita desiderato, hanno banalmente constatato di non avere le risorse? Non è banale constatare che l’Italia è un paese sovrappopolato?

  2. R. Paura

    Ma qui sembra ci dimentichiamo come, al di sopra della retorica, tante famiglie americane con figli non riescano a dare loro un tenore di vita adeguato. Dimentichamo i ghetti, le scuole pubbliche sovraffollate e scadenti, l’immigrazione che sostiene la spinta demografica ma che resta ai margini della società. In Europa le famiglie fanno meno figli perché preferiscono dar loro un tenore più alto. Non dimentichiamo che lo sviluppo demografico in Italia è più alto in una zona come la provincia di Napoli dove il tenore resta basso: dati su cui riflettere.

  3. giuseppe faricella

    Secondo me le cause del buon trend demografico degli USA sono diverse da quelle delle tendenze nordeuropee. In america alla positività del trend contribuiscono i ceti bassi, in ossequio a uno schema – penso – abbastanza ovvio, secondo cui a spingere a fare più figli non è la redistribuzione efficiente di ricchezza ma le aspettative e un’alta propensione al “rischio sociale”. D’altra parte, se noi avessimo più immigrati, anche in Italia avremmo saldi demografici migliori. Nei paesi nordeuropei, invece, mi sa che gli interventi sono mirati a una redistribuzione dei tempi, oltre che del reddito (un approccio più “organizzativo” che “finanziario”); la sensazione di vivere in collettività più solidali e meglio organizzate, poi, fa il resto.

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