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Un testo unico per la corporate governance

La legge sul risparmio introduce apprezzabili innovazioni. Ma non incide sulla frammentarietà e disorganicità della disciplina del governo societario, formatasi per successiva stratificazione di interventi parziali ed eterogenei. Perché le società quotate italiane non corrano il rischio di naufragare nel caos normativo, e soprattutto perché questo non disincentivi nuovi soggetti dal tentare la via della quotazione, bisogna intraprendere in tempi brevi decise iniziative di razionalizzazione e semplificazione della normativa.

La legge 262/2005, la cosiddetta legge sul risparmio, prevede una serie di misure volte a rafforzare i presidi che nelle società quotate sono mirati a prevenire casi di corporate malpractice e vere e proprie frodi. (1) Peraltro, quella in vigore non è la versione definitiva, poiché in attuazione della facoltà prevista dall’articolo 43, il governo ha già redatto uno schema di decreto legislativo correttivo, ora all’esame del Parlamento, per adeguare Testo unico bancario e Testo unico della finanza alle nuove disposizioni, e differire al 30 giugno 2007 il termine per le necessarie modifiche degli statuti societari, oggi fissato al prossimo 12 gennaio.
Pur in questa situazione di incertezza, si possono fare alcune considerazioni sull’assetto generale della disciplina del governo societario, delineato dalla legge sul risparmio. Un assetto che presenta luci e ombre.

Le luci

Si deve riconoscere che la legge introduce apprezzabili innovazioni, e rende più efficaci misure già adottate in passato. È il caso, per esempio, delle disposizioni volte a dare effettiva rappresentanza alle minoranze azionarie in seno agli organi amministrativi e di controllo, o di quelle volte a rafforzare le componenti indipendenti degli stessi.
Soprattutto, la legge 262/2005 prosegue la tendenza, in atto già da tempo, di progressiva differenziazione di ruoli e responsabilità tra i soggetti che partecipano al sistema di controllo societario, come nella prescrizione di individuare nello statuto un “dirigente responsabile dei documenti contabili societari”. A questa figura, ispirata in modo quasi esplicito al Sarbanes-Oxley Act statunitense del 2002, sono affidati delicati compiti di attestazione in ordine alla veridicità dell’informativa finanziaria diffusa al mercato e alla “adeguatezza” delle procedure dirette alla sua elaborazione. Dopo i grandi scandali finanziari avvenuti in Italia e all’estero negli ultimi anni, era necessario far sì che i molteplici organi interni ed esterni che a vario titolo fanno parte del “sistema di controllo” societario potessero ragionevolmente far affidamento sull’evidenza documentale messa a loro disposizione dalle funzioni aziendali preposte. Ciò evidentemente consente – con la creazione di meccanismi di checks and balances – una maggiore efficacia nella prevenzione di frodi e malversazioni, anche attraverso l’opportuna modulazione di sanzioni e incentivi, che spesso in passato erano attribuiti secondo criteri che non tenevano conto dell’effettivo concorso di ciascuno nella commissione degli illeciti.

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E le ombre

Nella nuova disciplina non mancano, tuttavia, gli aspetti critici. Nel complesso si compone di misure non sempre coerenti tra loro e con l’ordinamento in cui si inseriscono. (2) Appare infatti in vari punti incline a una regolamentazione puntuale e tendenzialmente rigida, in contrasto con la propensione in atto da tempo a valorizzare l’autonomia dei privati, e, con essa, la flessibilità e l’adattabilità delle concrete soluzioni adottate alle esigenze degli operatori. Ciò è particolarmente evidente, ad esempio, nelle norme volte a sanzionare eventuali violazioni degli obblighi di comunicazione circa l’adesione a codici di comportamento e la loro osservanza. Dubbi di diversa natura suscita la stessa figura del “dirigente responsabile dei documenti contabili societari”. L’inserimento nel sistema di controllo societario di un ulteriore livello gerarchico, peraltro dalla collocazione e dalle competenze non univocamente definite (3), incide su un panorama già piuttosto affollato. Dal 1998 a oggi, la disciplina del governo societario ha conosciuto molteplici interventi, che ne hanno determinato una forse eccessiva articolazione, con crescenti problemi di cooperazione e coordinamento tra i suoi componenti. (4)
In proposito, la teoria economica ha da tempo evidenziato come strutture di controllo a più livelli possano dare luogo – in assenza di adeguati correttivi – a comportamenti collusivi tra gli stessi, che si coalizzano in danno del soggetto nell’interesse del quale il controllo è svolto (la società, nel nostro caso), al fine di appropriarsi di risorse a suo svantaggio. (5) In presenza di rilevanti asimmetrie informative, all’aumentare del numero di soggetti coinvolti nel sistema di controllo societario, non solo non è scontato che cresca la sua efficacia, ma anzi vi sono fondate ragioni per ritenere che inizi a decrescere.

Razionalizzare e semplificare

Più in generale, la legge sul risparmio appare aggravare un difetto cruciale dell’intera disciplina del governo societario, formatasi in anni recenti per successiva stratificazione di interventi parziali ed eterogenei. (6) Frammentarietà e disorganicità aumentano l’incertezza e i costi di compliance per i soggetti ad essa sottoposti, senza che questi si traducano necessariamente in garanzia di comportamenti virtuosi per gli investitori. Soprattutto, disincentiva nuovi soggetti dal tentare la via della quotazione.
Le prossime scadenze, compresa l’attuazione di numerose direttive comunitarie di recente adozione in materia societaria e finanziaria (7), nonché il varo del decreto sulla “Piazza finanziaria”, possono essere causa di ulteriore frammentazione o occasione di armonizzazione del sistema. Per scongiurare la prima evenienza, a otto anni di distanza dall’approvazione del Tuf, i tempi appaiono maturi per un nuovo testo unico della corporate governance.

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(1) Il travagliato iter della legge si è avviato all’indomani degli scandali Cirio e Parmalat, per arrivare all’approvazione nel dicembre 2005.
(2) Vedi G. Ferrarini, P. Giudici, “La legge sul risparmio, ovvero un pot pourri della corporate governance”, in Rivista delle Società, 2006, p. 573, e G. Rossi, “La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa”, ibidem, p. 1.
(3) Come dirigente, il “responsabile dei documenti contabili” è subordinato agli amministratori, alle cui direttive peraltro può e deve opporsi, in caso di divergenze di valutazione da cui possono scaturire responsabilità civili e penali.
(4) In una media società quotata è ormai comune registrare la contemporanea presenza, accanto a collegio sindacale e società di revisione di comitato audit, organismo di vigilanza ex Dlgs 231/2001, preposto al controllo interno.
(5) La descrizione di strutture burocratico-gerarchiche come “reti interconnesse di relazioni principale-agente” è stata proposta per la prima volta in J. J. Laffont e J. Tirole, “Using cost observation to regulate firms”, in Journal of Political Economy, vol. 94, pp. 614-641.
(6) Tra il Testo unico della finanza, n. 58 del febbraio 1998, e la legge sul risparmio, del dicembre 2005, sono intervenuti numerosi strumenti normativi di varia natura. Senza pretesa di completezza, ricordiamo il Dlgs 231/2001, la riforma del diritto societario (Dlgs 6/2003), i Codici di autodisciplina di Borsa Italiana e i relativi interventi regolamentari delle authoriy settoriali.
(7) Direttiva 2003/71/Ce, sul contenuto del prospetto in caso di Opa e Ipo; la 2004/25/Ce, sulla disciplina Opa; 2004/109/Ce, sugli obblighi di trasparenza imposti agli emittenti titoli negoziati su mercati regolamentati (direttiva Transparency); 2004/39/Ce, sui mercati degli strumenti finanziari (direttiva Mifid – Market in financial instruments directive); 2006/43/Ce, sulla revisione dei conti annuali e consolidati (nuova ottava direttiva).

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  1. Raffaella

    Complimenti per la chiarezza per i non addetti ai lavori! Su questo tema ho letto anche un illuminante articolo di Guido Carli sul Sole qualche settimana fa, anche se si riferiva più alle corporations americane. Quello della responsabilità delle imprese nei confronti dei loro azionisti è un nodo, poi c’è quello delle responsabilità per le esternalità che producono. Avete un’opinione o riferimenti su questo? C’è qualche tentativo da parte del governo di affrontare la questione?

    • La redazione

      Effettivamente sul tema delle esternalità derivanti dall’attività di impresa (particolarmente rilevante ove si pensi che le maggiori di esse superano per volume d’affari molti stati sovrani) è da diversi anni particolarmente vivace il dibattito. E’ di questo, sostanzialmente, che si occupa quell’ampio filone
      di studi che va sotto il nome di “responsabilità sociale di impresa” (corporate social responsibility, per usare l’espressione usata ai pionieri della materia, tutti di area anglosassone), che prende in esame l’insieme delle relazioni tra impresa e il variegato mondo degli stakeholders. Ma ancora non si parla di iniziative di legge in materia, che peraltro troverei premature, vista la mancanza di visioni condivise.

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