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Nuovo statuto, nuova vigilanza

Il nuovo statuto della Banca d’Italia non rappresenta soltanto una profonda modifica della governance dell’autorità di vigilanza. E’ soprattutto un decisivo contributo a una maggiore efficienza, trasparenza e indipendenza dei controlli sul sistema bancario. Valorizzato il principio di collegialità nelle decisioni del direttorio. Mentre il consiglio superiore assume il potere di vigilare sull’andamento della gestione. Sugli assetti proprietari non poteva pronunciarsi, ma introduce opportunamente una sorta di “clausola di gradimento”.

Il nuovo statuto della Banca d’Italia non rappresenta soltanto una profonda modifica della governance dell’autorità di vigilanza, ma è anche, e soprattutto, un decisivo contributo a una maggiore efficienza, trasparenza e indipendenza dei controlli sul sistema bancario.

Le garanzie per una vigilanza più equilibrata

La Banca d’Italia ha cambiato il proprio statuto introducendo importanti modifiche nella governace e nella organizzazione interna.
Sono modifiche che, in coerenza con quanto richiedeva l’articolo 19 della legge sul risparmio, valorizzano innanzitutto il principio di collegialità nelle decisioni del direttorio, i cui componenti diventano cinque per garantire, sia la presenza di diverse professionalità, sia il fisiologico funzionamento dell’organo qualora si formino maggioranze e minoranze. In caso di parità, ad esempio se alle riunioni partecipano solo quattro membri, il voto del governatore diventa decisivo.
La riforma è importante, non soltanto perché supera finalmente una obsoleta struttura monocratica che non trova riscontro nella organizzazione delle altre Authority, ma anche per un altro motivo. L’attività di vigilanza per sua natura ha, e non può non avere, un carattere di discrezionalità dovendo considerare una pluralità di situazioni non sempre riconducibili a canoni troppo rigidi, come testimoniano le recenti vicende sul controllo degli assetti proprietari delle banche. Alla luce della irresistibile tentazione da parte delle Autorità di alcuni Stati membri di interpretare i controlli di “sana e prudente gestione” come un comodo strumento per selezionare gli operatori in base, non alle loro capacità industriali, ma al colore della bandiera (preferibilmente nazionale), la Commissione europea il 12 settembre ha presentato una proposta di direttiva che rende più oggettive le valutazioni di vigilanza sulle acquisizioni di partecipazioni nelle banche. Le nuove regole intendono, appunto, sancire il definitivo tramonto della tanto amata “sana e prudente gestione”, ma inevitabilmente continuano a lasciare alle Autorità di vigilanza uno spazio di discrezionalità. (1) In fin dei conti è giusto che sia così, perché è interesse di tutti noi che chi entra nel capitale di una banca sia attentamente scrutinato e indagato per vedere se sul piano, ma soltanto ed esclusivamente su quello, dei requisiti prudenziali è soggetto affidabile.
È evidente, allora, che il vero presidio a un esercizio dei poteri di controllo equilibrato, trasparente e in coerenza con gli obiettivi per i quali questi poteri sono previsti dall’ordinamento, non risiede solo nella chiarezza e oggettività delle regole, ma anche e soprattutto negli assetti di governo di chi le regole le deve applicare: una struttura collegiale delle Autorità consente più adeguati filtri di valutazione e sedimentazione delle decisioni, e una maggiore responsabilizzazione quando si devono adottare provvedimenti caratterizzati da elementi di discrezionalità. In altri termini, il principio di collegialità rappresenta la ragionevole garanzia per una vigilanza più attenta alle ragioni del mercato e della stabilità, e lontana da spinte dirigistiche.

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Una organizzazione più trasparente e verificabile

Le altre modifiche apportate dal nuovo statuto all’organizzazione interna possono apparire, a una prima lettura, tutto sommato marginali. È, però, un’impressione sbagliata: vi sono alcuni aspetti di grande importanza per un più efficiente funzionamento della struttura della Banca d’Italia. In primo luogo, viene lasciata la possibilità al direttorio di delegare parte delle proprie competenze, quando si tratta di provvedimenti che non richiedono valutazioni discrezionali, al personale direttivo. È questo uno strumento importante per concentrare i poteri dell’organo collegiale sulla adozione delle misure di maggiore rilevanza, evitando che si trovi investito e sommerso da un numero potenzialmente illimitato di deliberazioni che finirebbero con renderne oggettivamente difficile il funzionamento.
Sono, poi, meglio definite le competenze del consiglio superiore, che insieme alla amministrazione generale della Banca, assume il potere di vigilare sull’andamento della gestione. Nel contempo, il collegio sindacale svolge oltre al controllo di legittimità, anche quello contabile, senza pregiudicare gli accertamenti dei revisori esterni sul bilancio. Si delinea, così, una articolazione della governance dell’Autorità che, in linea con le esperienze più avanzate, dovrebbe consentire una gestione interna più trasparente e verificabile.

La prudenza non è mai troppa

L’unico punto sul quale il nuovo statuto rinuncia a ogni intervento riguarda la nota dolente degli assetti proprietari della Banca d’Italia. E non poteva essere diversamente, in quanto l’articolo 19 della legge sul risparmio affida questa materia a un regolamento governativo.
Tuttavia, anche in questo caso c’è una novità di grande rilievo: lo statuto ribadisce che la disciplina delle quote di partecipazione spetta alla legge, ma sottopone il loro trasferimento al consenso del consiglio superiore su proposta del direttorio, al fine del rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della Banca e di una equilibrata distribuzione delle quote. Una sorta, quindi, di “clausola di gradimento” degli organi interni della Banca con lo scopo esplicito di bloccare modifiche degli assetti proprietari in grado di influenzarne l’autonomia decisionale. Senza tornare sulle infinite discussioni circa il destino delle partecipazioni detenute dalle banche (che, è bene ribadirlo, nel passato non hanno mai consentito a queste di condizionare gli indirizzi di vigilanza) sono note le proposte di trasferimento allo Stato o ad altri enti pubblici. Vi sono problemi tecnici di non facile soluzione, come la esatta valorizzazione delle singole quote, ma, per essere più realisti del re, c’è anche il pericolo che il pingue patrimonio della Banca d’Italia generi qualche appetito di troppo. Poiché l’equilibrata composizione degli assetti proprietari insieme alla disponibilità di adeguate risorse è il presupposto essenziale per il buon funzionamento della banca centrale e soprattutto per la tutela della sua indipendenza, le nuove norme rappresentano una opportuna misura prudenziale, particolarmente apprezzata anche nel parere che la Banca centrale europea ha espresso sulla bozza di statuto. (2) E, come insegnano le convulse vicende del passato, in questo campo la prudenza non è mai troppa.

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(1) Per esempio, quando fanno riferimento ai controlli sulla “reputazione” o sulla “solidità finanziaria” del candidato acquirente.
(2) Vedi il parere della Banca centrale europea sulla bozza di statuto della Banca d’Italia del 25 agosto 2006.

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  1. Sepp

    Quello che manca é una verifica dei verificatori…, mi spiego…dopo tutti i casi (Parmalat, BPI,…e malgoverni di aziende sotto controllo della Vigilanza di Banca d’italia), mai si é alzato il dito “contro” il malfunzionamento di questo Istituto. Leggere il Bollettino di Vigilanza …dove aziende finanziarie vengono colpite quando “sbagliano” è giusto che sia così, ma quando mai deve pagare Banca d’Italia, l’unica cosa che si vede…è che alzano le spalle e aumentano il pugno di ferro contro i vigilati…ma mai che un vigile venga sospeso (Fazio era solo la cima dell’iceberg).

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