Lavoce.info

L’Iter verso un futuro energetico sostenibile

Unione Europea, Giappone, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Corea del Sud hanno firmato un accordo per la realizzazione del progetto Iter, finalizzato alla produzione di energia dalla fusione di nuclei leggeri. E’ una pietra miliare nel percorso verso un futuro energetico sostenibile. Che richiede fonti energetiche accessibili ed equamente distribuite sul pianeta, di limitato impatto ambientale e capaci di soddisfare un fabbisogno mondiale in continua crescita. Costo di costruzione del reattore sperimentale è 5 miliardi di euro. Il ruolo dell’Italia.

Il 21 novembre a Parigi i ministri di Unione Europea, Giappone, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Corea del Sud hanno firmato l’accordo che istituisce l’organizzazione internazionale destinata a realizzare il progetto Iter, finalizzato alla produzione di energia dalla fusione di nuclei leggeri.

Energia e sviluppo sostenibile

L’intesa per la costruzione dell’esperimento Iter, firmata dai rappresentanti di più della metà della popolazione mondiale, è una pietra miliare nel percorso verso un futuro energetico sostenibile.
Sette realtà geopolitiche spesso divise e ostili su molti punti, si sono accordate per realizzare insieme una tra le più grandi e più difficili imprese scientifico-tecnologiche mai affrontate dall’uomo, con lo scopo di dare al pianeta una fonte di energia rinnovabile, sicura e che non produce gas serra. Un contributo, quindi, al diversificato ‘paniere energetico’ necessario per uno sviluppo sostenibile.
Uno sviluppo sostenibile significa essere in grado di soddisfare le necessità attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare le proprie. Ciò richiede fonti energetiche accessibili ed equamente distribuite sul pianeta, di limitato impatto ambientale e capaci di soddisfare un fabbisogno mondiale in continua crescita, stimolata in particolare dalle richieste dei paesi in via di sviluppo e dalla necessità di porre fine a situazioni di povertà.
In quest’ottica il ricorso massiccio a fonti rinnovabili è indispensabile. In un’economia energetica dominata dai combustibili fossili, questo significa anche ricerca e nuove o migliorate tecnologie.
La posta in gioco è alta. Pensiamo ad esempio che secondo uno scenario dell’
International Panel on Climate Change nel prossimo secolo dovremmo arrivare a produrre almeno una quindicina di terawatt di energia carbon-free (corrispondenti a più del consumo odierno) per stabilizzare la concentrazione di gas serra.
Su come arrivarci ci sono ancora molte incertezze e divisioni in ambito tecnologico, ambientale, socio-economico. Per un verso o per l’altro, per tutte le fonti energetiche esistenti vi sono problemi aperti. Gli investimenti pubblici sulla ricerca energetica, dopo un picco tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, sono andati calando. Tutto ciò suggerisce una strategia di diversificazione del rischio, in cui gli sforzi siano ripartiti su un insieme ampio di opzioni energetiche e sulla promozione di una forte ricerca interdisciplinare.
Ecco perché si parla di ‘energy mix’. In ambito energetico è certamente molto rischioso non far niente, ma lo sarebbe anche puntare tutto su una o pochissime linee. Viceversa, una strategia ampia e flessibile, dovrebbe consentire di soddisfare la domanda sul breve-medio termine e allo stesso tempo di individuare strategie vincenti per il futuro.

La fusione

In questo quadro, la fusione rappresenta una delle grandi speranze per un futuro energetico sostenibile. La fusione è il processo che alimenta il sole e le stelle, e è quindi alla base della vita nel nostro pianeta. Utilizza come combustibile il deuterio, un isotopo dell’idrogeno, e il litio che sono disponibili ovunque sulla Terra e in quantità praticamente illimitate. Il deuterio si estrae facilmente dall’acqua di mare, mentre il litio è un metallo assai diffuso. Per fare un esempio, il litio contenuto nella batteria di un computer portatile sarebbe sufficiente, se utilizzato in un impianto a fusione, per produrre energia elettrica pari al consumo di una persona media in un paese industrializzato per circa trenta anni. La fusione è quindi senza dubbio una fonte rinnovabile.
La fusione si presta alla produzione intensiva e centralizzata di energia, e può quindi ben integrarsi in un’economia dell’idrogeno, dove quest’ultimo viene usato come vettore per l’immagazzinamento e il consumo. Per le sue proprietà, l’idrogeno potrebbe ad esempio essere un ottimo sostituto del petrolio per i trasporti, ma occorre trovare una maniera per produrlo senza emettere CO2 (cosa che purtroppo oggi ancora non accade), se vogliamo avere un beneficio globale. La fusione è un ottimo candidato.

Leggi anche:  Il gatto e la volpe alla conquista del mercato energetico

La fusione ha un limitatissimo impatto ambientale: non comporta emissione di gas serra ed è quindi una fonte ‘CO2-free’. L’operazione di un reattore a fusione non richiede il trasporto di materiali radioattivi, non vi è rischio di reazioni a catena incontrollate in caso di incidente e non vi è produzione di scorie radioattive di lunga durata, come avviene invece nei reattori a fissione.
A differenze di un reattore a fissione, uno a fusione funziona infatti come un accendino: il combustibile che è iniettato nel sistema viene subito bruciato e in ogni istante ve ne è pochissimo all’interno della camera di scarica, circa 1 grammo per mille metri cubi di volume.

Qualora per qualsiasi motivo venga a mancare l’afflusso di combustibile, la reazione si spegne in pochi secondi.
Il consumo di combustibile di una centrale a fusione sarà molto basso: si stima che un impianto da 1 gigawatt richieda circa 100 chilogrammi di deuterio e 3 tonnellate di litio naturale per un anno d’operazione. Da paragonare al milione e mezzo di tonnellate di carbone richieste da una centrale tradizionale che produca la stessa quantità di energia e che, senza sequestro della anidride carbonica, produce circa 4 milioni di tonnellate di CO2.
La fusione si inserisce quindi a buon diritto in un futuro di energie completamente rinnovabili e il numero stesso e la collocazione geo-politica dei partner coinvolti nel progetto Iter è una garanzia di grande apertura e ampia condivisione dei risultati e degli sviluppi futuri. Rappresenta quindi una speranza e insieme un impegno: perché se la natura fin dagli albori dell’universo produce meravigliosi reattori a fusione quali le stelle, riprodurre il processo in maniera controllata sulla terra non è facile, sia da un punto di vista teorico che tecnologico.
Dalla fine degli anni Cinquanta scienziati in laboratori di tutto il mondo lavorano per comprendere la fisica della fusione e realizzare dispositivi per il suo sfruttamento energetico in maniera economicamente attraente. Le ricerche hanno compiuto negli anni progressi costanti, tanto da consentire l’ideazione e la progettazione dell’esperimento
Iter.

Un passo verso la produzione di energia da fusione su larga scala

Iter sarà infatti un reattore sperimentale, che verrà costruito a Cadrache, nel sud della Francia.
Il suo principale obiettivo è la dimostrazione della fattibilità scientifica e tecnica di un sistema di produzione di energia da fusione di nuclei leggeri con dimensioni comparabili a quelle di una centrale elettrica convenzionale. In altre parole, produrrà più energia di quella che consumerà e consentirà il collaudo e l’implementazione di avanzate tecnologie cruciali per un futuro impianto a fusione commerciale (il primo dovrebbe essere l’impianto DEMO, i cui studi concettuali sono già iniziati).
Il “cuore” di Iter (vedi figura) è in sostanza una grande ciambella con un volume di 840 metri cubi, nella quale “brucerà” il combustibile (gli isotopi dell’idrogeno) a una temperatura di oltre 100 milioni di gradi centigradi. Questo combustibile viene confinato da campi magnetici prodotti da bobine superconduttrici, i cui primi prototipi sono già stati realizzati e collaudati.
Si prevede di ottenere una potenza termica generata dalle reazioni di fusione di circa 500 megawatt per periodi ripetibili della durata di circa 10 minuti. In una seconda fase, si prevede di estendere ancor di più le prestazioni.
Iter permetterà quindi di aprire la strada verso la progettazione di impianti commerciali per la produzione di elettricità grazie alla fusione. Così, la ricerca sulla fusione contribuisce quindi all’’energy mix’ in modo concreto.
Il costo della costruzione di Iter, prevista in dieci anni, sarà di 5 miliardi di euro, cui si sommeranno altri 5 miliardi lungo la fase di operazione dell’esperimento, che si prevede durerà per venti anni.
Per mettere nella giusta prospettiva queste cifre, possiamo ricordare che la spesa mondiale giornaliera dei consumatori d’energia ammonta a circa dieci miliardi di dollari. Si tratta quindi del costo di un giorno di energia per un grande e concreto progetto per un futuro sostenibile, ma anche un investimento che in gran parte avrà comunque un ritorno a brevissimo termine.
La maggior parte dei costi di costruzione di Iter saranno infatti coperti dai paesi partner attraverso la fornitura di componenti dell’esperimento, il che significa anche una grande opportunità di sviluppo e di ricadute industriali – in particolare per
l’Europa, che ospiterà l’esperimento -, come l’esperienza dei grandi progetti scientifici (si pensi alle missioni lunari) ha già dimostrato.

Leggi anche:  Un brutto clima dopo la rielezione di Trump

L’esperienza dell’Italia sarà preziosa: con una lunga tradizione alle spalle e due grandi laboratori di fusione (il Consorzio Rfx a Padova e il Centro Enea a Frascati), il nostro paese avrà un ruolo importante nel progetto, investendo soprattutto nei giovani. L’università di Padova, ad esempio, con un master sulla fusione già da anni in funzione e un dottorato europeo in fase di avvio, rappresenta uno dei principali centri di formazione sulla fusione nel mondo.

Per saperne di più

Sul progetto Iter www.iter.org
Sulla fusione in Europa:
www.efda.org
Sull’esperimento europeo Jet:
www.jet.efda.org
Sull’esperimento europeo Rfx a Padova:
www.igi.cnr.it
Sull’esperimento europeo Ftu a Frascati: http://ftu.frascati.enea.it

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tra comunità energetiche e fisco una relazione in divenire

Precedente

L’insostenibile leggerezza della ricarica

Successivo

Perchè l’Unione riparta

  1. michele del monaco

    Articolo molto interessante, complimenti. Mi domando tuttavia due cose:
    1. sulla fusione da anni gli scienziati di tutto il mondo stanno lavorando e non sono ancora giunti a nulla di fatto non per ragioni di investimenti, ma per problemi di tipo tecnico. Il progetto Iter è un ennesimo esperimento (e quindi come tutti gli esperimenti ha rilevanti probabilità di non andare in porto) oppure ha qualche chance in più per arrivare ad un risultato finale? L’articolo infatti esprime molto bene le caratteristiche di Iter ma non dice nulla delle difficoltà precedenti e del perchè sinora non si è arrivati a nulla.

    2. la fusione è una strada percorribile in assenza di combustibili fossili? L’energia per produrre l’impianto, per estrarre l’idrogeno, il litio, ecc. da dove viene?

    La ringrazio.

    Michele Del Monaco

    • La redazione

      La ringrazio per il suo interessante commento. Ecco le mie risposte.

      (1)
      ITER non e’ un salto nel buio, ma un progetto con solide basi. La sua realizzazione e’ il coronamento di un lungo lavoro di progettazione che ha coinvolto ricercatori dei principali laboratori ed universita’ in tutto il mondo. La comunita’ scientifica della fusione e’ da sempre una delle piu’ aperte, senza barriere di alcun tipo, con ampia collaborazione e condivisione delle informazioni a livello mondiale, il che tra l’altro e’ un ottimo viatico per rendere la fusione una fonte energetica disponibile per tutti.
      Le scelte fisiche e tecnologiche usate per il progetto di ITER si basano sui risultati ottenuti in molti anni di sperimentazione effettuata sulle macchine esistenti, che hanno indicato la via da seguire. In particolare, le misure effettuate negli esperimenti attuali hanno consentito di studiare molte delle principali problematiche fisiche e di ottenere delle ‘previsioni’ ragionevoli sul comportamento di ITER.
      Negli anni scorsi l’esperimento europeo JET ha raggiunto condizioni operative in cui si sono prodotti, sia pur per breve periodo, 16 megawatt di energia da fusione, con un rapporto tra potenza generata dalla fusione e potenza immessa del plasma di 0.65, ovvero vicino alle condizioni di pareggio energetico.
      Molti altri esperimenti hanno studiato e stanno studiando aspetti specifici di fisica ed ingegneria che permetteranno di ottimizzare il funzionamento di ITER.
      E’ vero quindi che da molti anni gli scienziati lavorano alla fusione, ma non condivido il suo pessimismo sul nulla di fatto: moltissimi risultati sono stati raggiunti, ed il progresso delle conoscenze nel settore e’ stato enorme. In trent’anni il cosiddetto prodotto triplo (ovvero il prodotto tra le densita’, la temperatura ed il tempo di confinamento del combustibile) e’ stato aumentato di trentamila volte, e siamo distanti solo di un fattore 6 dal valore richiesto per un impianto commerciale. Questo progresso ha proceduto con una velocita’ analoga a quello con cui sono state sviluppate le CPU dei computer e che e’ descritto dalla famosa legge di Moore. (se desidera approfondire la storia della fusione, i due siti http://www.efda.org e http://www.jet.efda.org hanno delle informazioni molto accurate).
      Ora pero’ siamo al passo finale, e Iter ci consentira’ di capire la fattibilita’ scientifica e tecnologica della fusione come sorgente di energia. Oltre un certo limite con gli esperimenti attuali non si puo’ andare e se vogliamo essere seri nella ricerca di una fonte rinnovabile cosi’ importante come la fusione (e data la situazione ambientale e socio-economica non possiamo certamente permetterci di non esserlo), allora Iter e’ un passo indispensabile che dara’ sicuramente delle risposte cruciali.
      Quanto al ruolo degli investimenti, per me e’ piu’ importante di quanto lei dica. Anche se e’ vero che la storia non si fa con i se, certamente con adeguati investimenti e credendo di piu’ nella ricerca sulle fonti rinnovabili, il progresso delle conoscenze sulla fusione sarebbe potuto essere ancora piu’ veloce. Il problema e’ che solo recentemente la questione energetica e’ tornata alla ribalta. Per molti anni il petrolio e’ costato poco e la questione energetica ed ambientale non era considerata prioritaria. Ad esempio, dopo il picco corrispondente al periodo della prima crisi petrolifera, gli investimenti sulla ricerca energetica sono andati calando. Non e’ un caso che i piu’ grandi esperimenti di fusione siano stati concepiti proprio quando, verso al fine degli anni settanta, la crisi petrolifera aveva portato alla ribalta la questione energetica. Ora pero’ guardiamo al futuro: con la scelta di Iter, il mondo ed in particolare noi europei, ha deciso di credere nella strada della fusione.

      (2)
      La fusione non solo e’ percorribile in assenza di combustibili fossili, ma puo’ anzi rappresentare una delle principali soluzioni per rimpiazzarli. L’energia per produrre il combustibile e l’impianto viene infatti dalla fusione stessa. In termini tecnici, un reattore a fusione si auto-sostiene, e produce molta piu’ energia di quella che consuma per funzionare. La quantita’ di energia prodotta dalla fusione e’ enorme ed il combustibile non e’ un problema.
      E’ chiaro comunque, come sostenevo nell’articolo, che la fusione rappresentera’ uno degli elementi di un ampio paniere energetico. Ma proprio per questo e’ fondamentale arrivarci presto, in modo da avere una tecnologia gia’ matura e diffusa che permetta nel piu’ breve tempo possibile di svincolarci dalla dipendenza dal petrolio o, ancor peggio per l’ambiente, dal carbone.

  2. Bruno Stucchi

    Mah, sono SOLO 50 anni circa che si parla delle sorti magnifiche e progressive della fusione.
    Per ora l’unica cosa che si e’ vista e’ la “fusione” di fantastilioni di soldi.

    • La redazione

      La invito a leggere le mie risposte ai commenti di altri lettori, in particolare per la questione dei costi che le sta a cuore. Spero le siano utili. Le sarei grato comunque se potesse fornire dati più precisi sulle spese enormi di cui parla.

  3. gabriele

    Ottima panoramica per mettere in evidenza i termini della problematica energetica, anche dopo 10 anni che seguo le questioni sulla Carbon Sequestration etc. trovo sempre positivo ribadire cosa ci aspetta. Mi è meno chiaro perchè ITER sarebbe la soluzione decisiva, e in che tempi. Ricordo che già vent’anni fa (o forse più…) si parlava della fusione come SPERANZA per la soluzione energetica, se ne dichiaravano i tempi di attuazione? lei ha avuto modo di verificarli? cosa ci garantisce dal rischo che ITER si riveli (a posteriori, dopo aver speso cifre colossali) il classico megaprogetto che finanzia cluster industriali dedicati (sento odore anche di alcuni soliti noti del nostro Bel Paese, voi no?), tanto avere come obiettivo una speranza o un sogno è facile…come si verifica? credo sia utile un articolo per raccordare il problema con la soluzione.
    Saluti e viva lavoce.info!

    • La redazione

      Credo che concordiamo sul fatto che il problema energetico è serio. Non penso che ci possiamo permettere di far finta di nulla o di ignorare a priori possibili soluzioni. Non possiamo dire oggi al 100% se la fusione sarà la soluzione del problema energetico, ma questo è vero anche per tutte le altre fonti energetiche che stiamo studiando.
      Lo stesso processo di sequestro della CO2, cui le fa accenno, è ancora in una fase di sviluppo, e le problematiche di costi, sicurezza e fattibilità sono ben lungi dall’essere risolte, ed è per questo che è importante investirvi delle risorse adeguate.
      Certamente però abbiamo sufficienti informazioni, scientificamente e rigorosamente documentate, per affermare che la fusione è una strada che vale la pena di percorrere, con più che buone probabilità di successo. Non percorrerla oggi sarebbe, a mio giudizio, un grave errore ed un grossissimo rischio.
      Se abbiamo infatti una speranza per un futuro energetico sostenibile, ebbene, come ho cercato di evidenziare nel mio articolo, essa è basata fortemente sull’”energy mix”: ITER è un contributo importante alla costruzione di un variegato e sostenibile paniere energetico.
      Come ho scritto nella risposta ad un altro commento (a cui la rimanderei per maggiori dettagli), ITER e’ un progetto solido, basato su decenni di ricerche e sui risultati di molti esperimenti più piccoli. La sua realizzazione e’ il coronamento di un lungo lavoro di progettazione che ha coinvolto ricercatori dei principali laboratori ed universita’ in tutto il mondo.
      In questi anni le ricerche sulla fusione hanno fatto enormi progressi. Solo per farle un esempio ripreso dalla succitata risposta, in trent’anni il cosiddetto prodotto triplo (ovvero il prodotto tra le densità, la temperatura ed il tempo di confinamento del combustibile) è stato aumentato di trentamila volte, e siamo distanti solo di un fattore 6 dal valore richiesto per un impianto commerciale. Questo progresso ha proceduto con una velocita’ analoga a quello con cui sono state sviluppate le CPU dei computer e che è descritto dalla famosa legge di Moore.
      Le ricerche sulla fusione hanno avuto inoltre molteplici ‘spin-off’, contribuendo cioè allo sviluppo di moderne tecnologie anche al di fuori dell’ambito strettamente energetico (pensi solo, ad esempio, che le stesse leggi della fisica descrivono il plasma in un reattore a fusione e quello in uno schermo televisivo…il sito http://www.efda.org/eu_fusion_programme/spin_off_benefits.htm le dà molti altri esempi).
      Quanto ai tempi della fusione, la rimanderei ancora alla risposta che ho dato ad un altro lettore. In sintesi: certamente, con adeguati finanziamenti, si sarebbe potuto far prima. 20-30 anni fa, quando la questione energetica era alla ribalta dopo le prime crisi petrolifere, la speranza era di uno sviluppo molto più rapido delle fonti rinnovabili, tra cui la fusione. Poi il prezzo del petrolio è calato, e la questione energetica è tornata in secondo piano. Ora speriamo che ci sia la volontà politica ed economica di affrontarla fino in fondo: il progetto ITER, proprio anche per la capacità che ha avuto di attrarre sulla questione energetica partners così lontani, è un elemento di ottimismo.

      Ultimo aspetto della sua domanda, la questione dei costi. La costruzione di ITER (5 miliardi di euro, pari alla metà del costo complessivo del progetto, l’altra metà servirà per l’operazione) costerà come una mezza giornata di bolletta energetica mondiale, ma anche circa come il ponte sullo stretto di Messina (fonte http://www.strettodimessina.it ), o approssimativamente come una portaerei Nimitz (fonte Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Nimitz_class_aircraft_carrier ), o come più o meno 25 giorni di guerra in Iraq per gli USA.
      Sempre per paragonare gli ordini di grandezza, l’ENEL poche settimane fa ha lanciato un programma di finanziamenti su energie rinnovabili e nuove tecnologie (http://magazine.enel.it/pt/bari/enel_invita.asp?idDoc=1490302 ) per un importo pari a 4 miliardi di euro, pari a circa l’80% del costo di costruzione di ITER.
      Non sto dicendo che siano pochi soldi, sia chiaro, ma si tratta comunque di un ammontare che ad esempio anche un singolo paese può permettersi. Per ITER parliamo di 7 partners che rappresentano più della metà della popolazione mondiale, e di un problema globale come quello energetico; penso che siano soldi ben investiti.
      Quanto infine ai suoi timori su quelli che lei chiama ‘i soliti noti’, vorrei tranquillizzarla: e’ proprio il numero dei partners di ITER e l’ampiezza del progetto, a mio giudizio, la miglior garanzia, se mai ce ne fosse bisogno, che gli sviluppi tecnologici ed industriali che accompagneranno l’esperimento verranno gestiti su scala globale e certamente non provinciale, con un’ottica che premi l’eccellenza e la competizione aperta. Mi permetterei di dubitare che gli interessi locali che lei teme possa avere qualche influenza su scelte collegiali di USA, Giappone, Europa, Cina, Corea del Sud e Russia…
      Anzi, se mi consente di chiudere con una piccola provocazione, speriamo proprio che il nostro Paese sia in grado di partecipare da protagonista non solo alla parte scientifica (cosa che già fa alla grande), ma anche alla parte industriale del progetto, con poli tecnologici in grado di competere su scala mondiale e di contribuire solidamente all’avvenire della nostra economia!

  4. Massimo Bailo

    Condivido i dubbi degli altri commenti su ITER. In particolare, osservo che tra la scoperta della fissione da parte di Hahn e Strassman, dicembre 1938, e la realizzazione di una reazione a catena controllata da parte di Fermi, dicembre 1942 nella famosa palestra di Chicago, passarono 4 anni. Per la fusione a quanto mi risulta dopo decenni e miliardi di euro spesi non è ancora stata realizzata una reazione controllata se non per frazioni di secondo. Quanto al “breakeven” (bilancio positivo tra energia liberata e energia assorbita), è ancora un altro discorso. Quali garanzie abbiamo di riuscita?

    • La redazione

      Le sue domande su tempi, costi e garanzie mi sono state poste, in forma simile, anche da altri lettori. Se mi consente, la rimanderei alle mie risposte già pubblicate nel sito.
      Vorrei soffermarmi invece sull’interessante punto che lei solleva a proposito del paragone tra fissione e fusione.
      Immagino ci siano molti elementi che possano giustificare la disparità dei tempi di cui lei parla – e non essendo io un esperto di storia della fisica forse non sono la persona più adatta a rispondere in maniera esauriente – , ma vorrei comunque proporgliene due.
      Il primo, a mio giudizio molto importante, ha a che fare proprio con la sicurezza intrinseca del processo di fusione, di cui parlavo anche nell’articolo. La fusione e’ un processo intrinsecamente sicuro: c’è pochissimo combustibile in gioco e se, per un qualsiasi motivo, il suo afflusso viene a mancare, la reazione si spegne e non può mai procedere in maniera incontrollata. La fissione, invece, una volta innescata deve essere moderata per evitare una reazione a catena.
      La grande sicurezza del processo di fusione è quindi anche, se vogliamo, una delle ragioni per cui è più difficile riprodurlo in laboratorio. Ogniqualvolta cioè l’esperimento si scosta, anche se di poco, dalle condizioni ottimali, tende a spegnersi. In un reattore a fusione non basta quindi innescare il processo, ma occorre anche mantenere il combustibile (il plasma) nelle condizioni ottimali.
      Ciò richiede del lavoro, ma lo sforzo viene ripagato in modo estremamente vantaggioso in termini di sicurezza ed ambientali.
      Un secondo elemento da considerare è anche quello della forte pressione sugli esperimenti di fissione derivante dagli interessi militari. In quegli anni vi fu negli USA uno sforzo enorme sulla fisica spinto dalle necessità belliche. Ciò fu vero anche in parte in Germania, basti pensare allo sviluppo dei missili di Von Braun, che pochi anni dopo sarebbe diventato alla NASA uno degli artefici delle missioni lunari.
      Per la fusione, invece, come in generale per la ricerca energetica, la priorità dei governi negli anni recenti non sono state purtroppo così elevate (vedi le mie risposte agli altri commenti). ITER comunque dimostra che forse siamo sulla buona strada.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén