I dati mostrano che in Italia gli asili nido sono pochi, costano molto e sono disponibili solo in alcune Regioni. Perciò la Finanziaria ha stanziato risorse per un piano straordinario che ne aumenti il numero. E incentivi di conseguenza l’offerta di lavoro femminile. La sua efficacia passa per la riorganizzazione degli orari e il miglioramento della qualità del servizio. E il superamento delle diffidenze delle famiglie. Servono indagini longitudinali per valutare gli effetti dell’asilo sul benessere psico-fisico dei bambini e sul loro successo scolastico. La Finanziaria prevede lo stanziamento di 100 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2007-2009 per finanziare un piano straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia (articolo 193). Lobiettivo è fare un primo passo verso il raggiungimento della soglia fissata dallAgenda di Lisbona (33%). La situazione I dati mostrano che gli asili nido in Italia sono pochi, costano molto e sono disponibili solo nelle Regioni del Centro Nord.
Al di la dei limiti dello stanziamento, non viene prevista una sperimentazione della politica che permetta di stabilirne lefficacia sia in termini di utilizzo che in termini di incentivo dellofferta di lavoro femminile. Le domande da porsi sono: un aumento del numero di posti asili nido porterebbe le famiglie italiane a utilizzarli effettivamente? E se sì, ciò renderebbe più facile per le donne restare sul mercato del lavoro dopo la nascita dei figli? E che effetti ha tale utilizzo per i bambini
1) I sussidi agli asili nido pubblici sono più bassi rispetto a quelli offerti in altri paesi. LItalia si posiziona allundicesimo posto nellEuropa a 15. (1)
2) Il numero di posti in asili nido (sia pubblici che privati) è tra i più bassi dEuropa: meno del 10 per cento contro più del 50 per cento in Danimarca, e 35-40 per cento in Svezia e Francia. (2)
3) Nelle Regioni del Sud la disponibilità di asili nido è quasi inesistente, circa l1-2 per cento contro il 15 per cento del Nord. (3)
4) Gli orari degli asili pubblici sono più limitati di quelli offerti in altri paesi, poco coerenti con gli orari di lavoro full time prevalenti in Italia.
5) Lofferta di asili nido “aziendali” e più bassa in Italia che in altri paesi (2.6% in Italia rispetto al 15% in Olanda, e al 6% in Francia e Belgio) (Fonte: European Community Household Panel), anche se, come è stato dimostrato, gli asili sul posto di lavoro incentivano il lavoro delle donne istruite .
Alcuni studi empirici, pur non avendo la validità di una sperimentazione hanno analizzato gli effetti di variazioni nei costi e accessibilità del child care sul suo utilizzo e sullofferta di lavoro femminile, e le preferenze delle famiglie. Ci sono daiuto nel pensare a come, dove e in quale forma costruire più asili.
I costi
I costi degli asili pubblici sono più alti che in altri paesi. In Italia, il finanziamento pubblico è circa l80 per cento dellintero costo, mentre in Svezia, Finlandia, Norvegia, Regno Unito è tra il 90 e il 100 per cento. I costi dei nidi privati sono più alti dei pubblici specie nelle Regioni del Nord. Le stime mostrano che un aumento dei sussidi al child care ha un effetto sullutilizzo degli asili e sullofferta di lavoro delle madri solo nelle zone dove questi sono più diffusi.
Tabella 1: Simulazioni dellintroduzione di un sussidio sullofferta di lavoro
Regioni per densità di asili | Partecipazione femminile al lavoro | Effetto di un Sussidio al 100% |
Regioni > 15% | 61.5% | +26.5% |
Regioni <15% | 40.8% | +5.4% |
Fonte: Del Boca e Vuri (2006)
Effetti sullofferta di lavoro delle madri
I risultati di questi studi sono utili per ragionare sulle recenti proposte di aumento dellofferta di asili. Le nostre simulazioni mostrano che per arrivare a un livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro del 60 per cento, come fissato tra gli obiettivi di Lisbona, lincremento dellofferta degli asili nido dovrebbe essere ben più elevata del 33 per cento suggerito dalla Commissione europea e superare il 40 per cento. (6)
Per avere effetti importanti sullofferta di lavoro femminile, un aumento del numero di asili pubblici dovrebbe essere accompagnato da una riorganizzazione degli orari, per rendere i servizi più utili e flessibili.
Le preferenze delle famiglie
Una recente indagine della Fondazione De Benedetti ha mostrato che unelevata proporzione di famiglie non usa lasilo perchè scarsi e costosi ma anche perche li considera di bassa qualità (7). Nella maggior parte delle famiglie prevale comunque lidea che i figli piccoli crescano meglio in ambienti familiari. Senza contare che, secondo quanto riportato dalla World Values Survey, in Italia un numero più alto di famiglie rispetto ad altri paesi europei ritiene che i bambini piccoli soffrano se stanno allasilo e la madre lavora.
Meglio allasilo o a casa?
È allora rilevante chiedersi quanto faccia bene ai bambini frequentare fin da piccoli gli asili nido. In Italia questi aspetti sono trascurati, principalmente a causa della mancanza di dati che ne permettano lo studio. In altri paesi (Regno Unito, Germania, Svezia, Stati Uniti), gli studi sul benessere psico-fisico dei bambini sono numerosi e concordano nellindividuare tra i fattori importanti la qualità degli asili, ma anche il tempo che ambedue i genitori dedicano ai bambini.
Nonostante i recenti cambiamenti le donne italiane sono oggi quelle in Europa che dedicano più tempo al lavoro familiare, inclusa la cura dei figli, e tra le ultime per il lavoro retribuito, mentre lopposto vale per gli uomini .
Quali strumenti per valutare?
I risultati delle nostre ricerche mostrano lelasticita dellofferta di lavoro femminile a fronte di una variazione del numero degli aisli non e elevata, mentre ci sono ancora forti resistenze al suo uso. Date le limitate risorse previste dalla Finanziaria, è importante dunque valutare a priori gli effetti attraverso una sperimentazione. E importante inoltre implementare indagini longitudinali che permettano di seguire i bambini da 0 a 3 anni in poi per valutare gli effetti dellasilo sul loro benessere psico-fisico e sul successo scolastico negli anni seguenti.
(1) Del Boca D., Wetzels C. “Social Policies, Labor Markets and Motherhood” Cambridge University Press 2007.
(2) Eurostat 2005.
(3) Fondazione degli Innocenti (2005): “I servizi educativi per la prima infanzia”.
(4) Del Boca D., Locatelli M. and Vuri D. (2005) “Child care Choices of Italian Households”, Review of Economics of the Household 3, 453-477.
(5) Del Boca D. Vuri D. (2006) “The Mismatch between Employment and Child Care in Italy: the impact of rationing” Journal of Population Economics 2007.
6) Le graduatorie europee mettono lItalia al decimo posto (su 15) per qualità: per esempio, mentre in Danimarca ci sono tre bambini per insegnante, in Italia il numero è il doppio.
(7) Ermisch e Francesconi in Boeri T., Del Boca D., Pissarides C. (2005), “Women at work: an economic perspective“, Oxford University Press
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mario giaccone
concordo pienamente con le auttricisulla necessità di innalzare il sussidio pubblico ai nidi. Per esperienza diretta la quota pubblica mi risulta più bassa, e credo che valga la pena indagare la varianza del sussidio: che è più basso laddove il servizio è di più recente istituzione (contesti non urbani) ma la domanda latente (il più delle volte scoraggiata) più alta.
è vero che orari dei nidi più estesi sarebbero graditi, ma comparando con i tempi del sistema scolastico, dalle materne in poi, i nidi offrono gli orari più estesi tanto sull’arco della giornata quanto sull’arco dell’anno (10,5 mesi su 12, se va male, contro i neanche 9 di materne ed elementari): ed è sugli orari di materne ed elementari (ma anche medie) che si modella l’offerta di lavoro delle famiglie: ed è questa la vera priorità.
infine: il nido fa paura perchè si crede che i bimbi siano abbandonati. ma nonostante il rapporto comparativamente alto (mio figlio ha un rapporto 1:8) il vero abbandono sta dopo, con un corpo docente che non è disponibile a un vero confronto di merito sul piano educativo e, laddove conosce le metodologie di comunicazione, gestione d’aula e gruppi ecc., le usa alla rovescia per recuperare una legittimazione di status che invece, così facendo, contribuisce ad aggravare.
cordiali saluti
Mario Giaccone
La redazione
Sono d’accordo sul fatto che un problema di orari esiste anche per le scuole materne ed elementari e non solo per gli asili nido, ma recenti studi dimostrano che le donne che escono dal mercato del lavoro nei primi tre anni dopo la nascita del primo figlio difficilmente riescono a rientrare. E’ importante quindi inizialmente pensare a come aiutare
queste donne a non lasciare il lavoro durante i primi anni di vita di un figlio.
Daniela Vuri
Luca Milanetto
L’esigenza di nuovi asili nido è dimostrata molto semplicemente dalle liste di attesa che esistono in tutte le grandi città del nord Italia, dove è praticamente impossibile accedere in condizioni di redito medie ad un posto al nido prima di 1 anno. Questo comporta di conseguenza un’attesa al reiserimento lavorativo della madre che in genere può usifruire, sempre che abbia un contratto di lavoro subordinato, di maggiori tutele.
Le liste di attesa sono lunghe, anche a fronte dei costi proibitivi delle strutture, sia pubbliche che private. La costruzioni di nuovi asili mi sembra quindi una risposta a una domanda reale. Al sud tale problema è meno sentito in quanto la struttura sociale può contare ancora su un basso livello di partecipazione femminile al mondo del lavoro e quindi un maggior carico di lavoro domestico.
Quindi quanto meno al nord mi sembra che le domande poste in capo all’articolo possano essere fornite di una risposta autoevidente.
Grazie
Luca M.
La redazione
Sono d’accordo.Tuttavia per sapere quanto le famiglie utilizzerebbe i “nuovi” posti nido offerti e’ necessaria una sperimentazione della politica.
(sopratutto nelle regioni del sud)
Daniela Del Boca
Marco Solferini
Gli Autori toccano un tasto piuttosto scottante che ho già affrontato per conto di un privato durante una raccolta fondi svoltasi nell’anno 2006. La mia pianificazione di Fund Raising infatti ha previsto una fusione di necessità, da un lato una tecnica anglo americana di raccolta presso i dipendenti di un impresa coinvolta in un ciclo di sponsorizzazioni di un Evento socialmente utile, dall’altro la dazione per un ritorno immediato in termini di produttività per l’azienda. La realtà economica e imprenditoriale Italiana necessita disperatamente dei baby point, i centri di accoglienza su misura per i dipendenti delle imprese, sopratutto nei settori bancari e finanziari. La bibliografia di importazione anglo americana, scarsamente tradotta nel nostro Paese, la qualifica come una tecnica di Fund Raising, tuttavia non mancano sul nostro territorio esempi di sostengo, da parte delle Amministrazioni locali, specie nei centri industriali che hanno dato buoni risultati, a patto che il referente all’interno della P.A. locale sia persona capace, volenterosa e coinvolgente, altrimenti tutto si ferma alle buone intenzioni. La vecchia impostazione del genitore che lavora e della “dolce metà” casalinga, sta trapassanto con un accelerazione in termini di velocità nel cambiamento e con essa anche il rapporto con l’asilo, troppo distante dalle esigenze di tempo, di controllo e di autonomia nella crescita di cui oggi le nuove Famiglia sentono il bisogno, anche, se non sopratutto, dal punto di vista psicologico e affettivo.
In questo caso, il titolo di questo articolo, fa centro, perchè l’asilo, può fare paura, sicuramente.
La redazione
Il suo punto e’ molto importante. L’offerta di servizi riflette un modello di famiglia che non c’e’ piu e rende difficile lo sviluppo di modelli piu’ moderni (in cui entrambi i coniugi lavorano).In Italia sono pochissime le imprese che
offrono asili sul posto di lavoro (o altri tipi di sostegno).
In una recente ricerca da me curata (Dual Careers: Public Policies and Companies Strategies” European Commission, Brussels ,WIST 2006) ho intervistato un numero elevato di uffici del personale di grandi imprese multinazionali e ne è emerso che l’asilo o baby point sul posto di lavoro e’ una delle caratteristiche più apprezzate dalle donne che lavorano.
Daniela Del Boca
matteo olivieri
L’efficacia di un’educazione precoce in asili nido è una questione che da tempo investe le famiglie. Circa 30 anni fa, quando cominciai le scuole elementari, si parlava tra i genitori della mia classe di questo aspetto e le opinioni, oltre che discordi, erano sostenute con molto vigore e pochi riscontri sia da una parte che dall’altra. In generale era il senso di colpa a farla da padrone, sia su chi aveva mandato il figlio all’asilo nido e poi alle materne, sia su chi lo aveva cresciuto in casa. I primi si difendevano dall’etichetta sociale di menefreghisti, i secondi temevano per la scarsa possibilità di intrattenere rapporti sociali offerta ai loro figli.
Credo che il problema sia ancora vivo, ma non è certo coi sensi di colpa che si imposta una politica del child care. Ben venga una valutazione.
Enrico
Trovo ridicolo in Italia concentrarsi sulla sperimentazione dell’asilo come strumento per la crescita.
L’asilo è utilizzato perchè i genitori (ovviamente !)devono lavorare, la necessità di maggiore flessibilità e di un maggior numero di posti è certificato dalle liste di attesa.
La pratica di favorire, nelle liste di attesa, bassi redditi porta paradossalmente a favorire chi non lavora a scapito di chi ha un impiego.
Non so se l’asilo sia un buon modo di crescere i figli, ma è usato ovunque nel mondo e la qualità dipende in larghissima parte dalle persoce che nell’asilo lavorano, dalla realtà locale, da quello che il comune e i cittadini decidono nella loro comunità.
Saluti, Enrico.
La redazione
la valutazione non serve a capire se servono gli asili nido in Italia ma a capire se servono gli asili nido pubblici cosi come sono ora,troppo costosi, con orari troppo rigidi, poco coerenti con i tempi di lavoro full time, e distribuiti in modo diseguale tra le regioni.
Infatti i genitori che lavorano utilizzano poco l’asilo pubblico (circa il 12% secondo i dati ISTAT Multiscopo) ma preferiscono ricorrere ai nonni, baby sitter, e strutture private.
Se dunque vogliamo rilanciare gli asili pubblici dobbiamo studiare meglio qualicaratteristiche devono avere per essere utili a chi ne ha piu bisogno cioè i genitori che lavorano.
Come lei stesso afferma infatti anche la pratica di favorire, nelle liste di attesa, bassi redditi porta paradossalmente a favorire chi non lavora a scapito di chi ha un impiego.
Daniela Del Boca
gaetano
Possibile che non avete considerato il vero competitor degli asilo nido, visto le tariffe, naturalmente ad integrazione dei genitori?
Sono le colf, preferibilmente dell’est europeo, i quali costi sono competitivi con quelli dgli asili. tenete conto che mediamente per un asilo sono necessari circa 400 , ammesso che non si voglia in top.
Saluti
La redazione
nella nostra analisi sia sull’uso del servizio che sull’offerta di lavoro teniamo conto dell’utilizzo di baby sitter (piu che colf) i cui costi complessivi pero’ non sono inferiori a quello di un asilo nido a tempo pieno ma offrono certo piu flessibilita’ di orario
Daniela Del Boca
patrizia sepich
Lavoro da più di 20 anni nei/per i nidi pubblici: i nidi sono cresciuti in quantità ed in qualità. Le liste d’attesa sempre crescenti, soprattutto là dove il servizio è aumentato, denotano interesse, necessità ed una fiducia crescente. Già da anni non noto più paura per il nido, ma la convinzione di una reale opportunità in più per il bambino ed il riconoscimento di un reale aiuto per la giovane famiglia, soprattutto per la donna che lavora. Anche con gli orari così come sono. Ciò che manca è il posto per tutti quelli che lo chiedono. Le famiglie, inserite nelle lunghe liste d’attesa, hanno già chiaramente espresso la loro domanda di servizio. Mancano evidentemente le risorse per rispondere a tutti. La strada non può essere che una sinergia: pubblico, privato, famiglie. La valutazione, gli studi longitudinali, i confronti con altri Paesi: bene, benissimo. Ma la lettura dei dati presenti, indica già chiaramente la direzione. L’Agenda di Lisbona lo conferma.
MGrazia
Assolutamente si ai nidi sopprattutto se comunali. Il max della qualità didattica i miei figli (ora alle elementari) l’hanno trovata proprio all’interno del nido sia in termini di rapporto “docenti” utenti che in rapporto alla copertura dell’orario di lavoro
Per migliorare la situazione oltre ad aumentare il numero dei nidi va modificata anche la legislazione che permette l’accesso ai nidi spesso favorendo realtà che non ne hanno realmente bisogno (ad esempio i gemelli i figli adottati o i figli con un genitore che lavora fuori dalla regione hanno punteggio di accesso maggiore anche con redditi elevati)
Non sono d’accordo nel ritenere che sia solo il nido a tenere la mamma fuori dal mondo lavorativo, ma anche i servizi offerti nel seguito. Dopo i tre anni (finita per altro anche la possibilità di usufruire della malattia per il bambino) per le mamme che lavorano non resta altro che la baby sitter e l’eterno senso di colpa per essere sempre e comunque inadeguate.
Bruto
A Milano si è oramai creata una forbice tra asili pubblici (costi bassi, disponibilità limitata) e privati (costi alti, disponibilità capiente): a cadere senza rete in questa situazione è la classe media che puo’ permettersi a stento gli asili privati e non e’ compresa nelle fasce reddituali per quelli pubblici. Credo che non vada sottovalutata la possibilità di incentivare i nidi aziendali, soprattutto nel caso delle grandi città. Chi scrive è al momento decisamente entusiasta di questa iniziativa: i costi sono contenuti (sussidiati dall’amministrazione pubblica), la responsabilizzazione del gestore è elevata ed essi permettono di intercettare in parte questa (enorme) fascia intermedia di utenti.
La redazione
Ha ragione sul fatto che una soluzione al problema della scarsità dei nidi pubblici potrebbe essere rappresentata dall’offerta di nidi aziendali.
Basti pensare che lofferta di asili sul posto di lavoro in Italia e molto più bassa che in altri paesi europei (2.6% in Italia mentre e il 15% in Olanda, e il 6% in Francia e Belgio) (Fonte: European Community Household Panel). Tuttavia bisognerebbe capire le ragioni per cui molti datori di lavoro ancora non hanno sfruttato questa opportunità e quali sono
le inefficienze eventualmente presenti nel sistema attuali di incentivi per la costruzione dei nidi aziendali.
gigu
Uno stanziamento per il sostegno delle politiche per la prima infanzia, per quanto importante, rischia di non esplicare pienamente i suoi effetti positivi se non accompagnato da riflessioni più articolate che aiutino a “spendere meglio”. E’ opportuno che si affronti il paradosso che vede i Comuni che hanno strutture (o servizi) per la prima infanzia sostenere spese consistenti, senza, però, soddisfare pienamente l’utenza (che vorrebbe maggiore flessibilità e costi più contenuti) e senza coprire il sempre crescente fabbisogno.
Sarebbe necessario investire denaro, oltre che per mantenere (e ampliare) l’esistente, anche per rispondere ad alcuni interrogativi, come per esempio: su che livelli è la spesa dei servizi per l’infanzia in Italia rispetto agli altri paesi europei? Quali servizi integrativi/alternativi al nido potrebbero essere immaginati per rispondere meglio alle esigenze delle famiglie? Come si trova il punto di equlibrio nel trade-off fra flessibilità e sostenibilità finanziaria? Come si valuta la “qualità” di un servizio all’infanzia (qualità per il bambino, qualità per la famiglia, ecc.)?