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Farmaci, spendere meglio è possibile

Il sistema farmaco necessita di riforme, in Italia come in Europa. Per cambiare radicalmente quello attuale che a fianco di pochi medicinali realmente innovativi, ne approva una gran quantità senza reali benefici per i pazienti. C’è poi la necessità di sostenere energicamente un sistema pubblico di informazione indipendente e di ricerca: oggi sembrano essere le nuove frontiere di un moderno sistema sanitario. In definitiva, si tratta di passare dalle logiche dei risparmi a breve agli investimenti di lungo periodo.

Nel primo semestre del 2006 la spesa farmaceutica pubblica convenzionata ha registrato in Italia un incremento del 10 per cento. L’Agenzia del farmaco (Aifa) è di conseguenza intervenuta per riportarla sotto controllo, attraverso un taglio dei prezzi dei farmaci.

Dieci anni di spesa farmaceutica

Dal 1995 al 2001 la spesa pubblica per farmaci è raddoppiata, per poi stabilizzarsi (Figura 1). Negli ultimi anni, tuttavia, nonostante alcune Regioni adottino la distribuzione diretta dei farmaci, si è registrato un incremento delle quantità prescritte, solo in piccola parte dovuto all’invecchiamento della popolazione. (1) D’altro canto, si è esercitato un controllo sul costo delle terapie, sia con le revisioni del prontuario nazionale, sia con il più ampio ricorso a farmaci con brevetto scaduto (Figura 2). Inoltre, è stata applicata una norma che prevede la partecipazione dell’industria al ripiano dei disavanzi rispetto a un tetto predefinito, pari al 13 per cento della spesa sanitaria pubblica.

Riforme da fare in Europa

A spiegare l’aumento delle prescrizioni è la preferenza dei medici verso le nuove molecole, a sua volta causata dalla massiccia attività di informazione dell’industria, dal limitato accesso alle evidenze scientifiche e dalla maggiore medicalizzazione di alcune condizioni o fattori di rischio. Per rendere il sistema compatibile con le altre voci di spesa pubblica sono necessarie alcune riforme strutturali, che coinvolgono non solo l’Italia, ma anche l’Unione Europea.
In primo luogo, andrebbero riconsiderati collocazione e ruolo dell’Emea, l’Agenzia europea dei farmaci. Oggi fa parte della direzione dell’Industria e commercio anziché di quella della Salute pubblica, e ciò sembra favorire l’introduzione sul mercato di farmaci a volte privi di reali vantaggi per i pazienti. La sua attività andrebbe invece rafforzata, anche in linea con le proposte avanzate per l’americana Food and Drug Administration. (2) Oltre a una maggiore selettività, sarebbe utile una maggiore trasparenza nella fase di approvazione dei farmaci: per esempio ora in caso di parere negativo non è prevista la divulgazione degli atti. (3) Anche il prezzo dovrebbe essere valutato nella fase di approvazione del farmaco, magari attraverso la definizione di fasce di prezzo che tengano conto della sua reale innovatività. L’Emea dovrebbe infine provvedere a una revisione periodica delle indicazioni registrate e sostenere un programma di ricerca indipendente europeo sui farmaci. Tutto ciò richiede di rivedere il budget dell’Agenzia, ora di soli 34 milioni di euro, contro i circa 2.300 milioni di dollari degli enti regolatori statunitensi.

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E in Italia

Nel nostro paese, l’Agenzia del farmaco, nei suoi pochi anni di attività, ha raggiunto buoni risultati. All’Aifa si deve il lancio nel 2005 di un programma di ricerca pubblica sui farmaci, l’avvio del monitoraggio nazionale dei consumi e delle sperimentazioni cliniche, l’organizzazione di una attività centrale di informazione sui farmaci. Ora la sua attività andrebbe rafforzata e sostenuta con investimenti. Si potrebbe così sviluppare una rete informativa pubblica a supporto delle Regioni, dei prescrittori e dei cittadini. Sempre all’Aifa dovrebbe essere affidato il lancio di un programma per l’appropriatezza prescrittiva, capace di coordinare i diversi interventi esistenti in questo ambito. Mentre è necessario aumentare il controllo sulle attività e sul materiale informativo usato dall’industria.
Il rimborso dei farmaci potrebbe avvenire a livello di categoria terapeutica, lasciando ai pazienti il pagamento delle eventuali differenze: come per i farmaci equivalenti, il prezzo di riferimento potrebbe influenzare tutti i medicinali della classe.
A livello regionale si dovrebbero incoraggiare le gare di acquisto sovraziendali per le aziende sanitarie, con meccanismi come le equivalenze terapeutiche che confrontano i farmaci a partire dalla qualità delle loro prove scientifiche. (4) Questo favorirebbe la concorrenzialità fra le industrie, con un monitoraggio più attento da parte dell’Antitrust sui loro comportamenti, e la riduzione dei costi amministrativi.
Auspicabile, poi, la creazione di osservatori regionali sul farmaco, con la partecipazione dell’Osservatorio nazionale sui medicinali, in cui siano rappresentati i medici di medicina generale, gli specialisti, i farmacisti, le direzioni sanitarie aziendali e le Regioni. Potrebbe essere il livello ideale da cui analizzare e proporre soluzioni per i problemi di appropriatezza prescrittiva. Esistono Regioni e Asl che ancora oggi non monitorano adeguatamente i consumi territoriali e ospedalieri.
Programmi di informazione pubblica sui farmaci dovrebbero essere sviluppati sia a livello territoriale che ospedaliero, da condurre congiuntamente con i medici prescrittori e con il coordinamento e finanziamento dell’Aifa. Il Sistema sanitario nazionale dovrebbe mettere a disposizione di tutti i prescrittori operatori in grado di fornire informazioni sulle molecole utilizzate. Avviene già in alcune aziende sanitarie, ma ne sono ancora esclusi gli specialisti, ambulatoriali e ospedalieri, che pure sono responsabili della “induzione” specialistica e quindi oggetto di grande attenzione da parte dell’industria.
Infine, gli attuali servizi farmaceutici territoriali e ospedalieri, le cui iniziative mancano spesso di coordinamento, andrebbero sostituiti con dipartimenti unici del farmaco a livello provinciale, in grado di garantire una omogeneità di visione e interazione con i medici prescrittori. La collaborazione favorirebbe anche la definizione di obiettivi comuni sui farmaci fra ospedale e territorio.
Sono queste le principali riforme di cui necessita il sistema farmaco: da un lato si tratta di cambiare alla fonte – europea – quello attuale che, a fianco di pochi farmaci realmente innovativi, ne approva una grande quantità senza reali benefici. Dall’altro, si ha la necessità di sostenere energicamente un sistema pubblico di informazione indipendente e di ricerca: oggi sembrano essere le nuove frontiere di un moderno sistema sanitario.

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(1) Aa.vv. “L’uso dei farmaci in Italia – Rapporto Nazionale Anno 2005”, Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali – ministero della Salute, giugno 2006, Il Pensiero Scientifico Editore.
(2) Vedi Institute of Medicine “The future of drug safety – Promoting and protecting the health of the public” The National Academies Press, Washington DC, 2006 e Avorn J., Shrank W. “Highlights and a hidden hazard–the FDA’s new labeling regulations” NEJM, 2006 354(23):2409-11.
(3) Garattini S., Bertelè V. “Adjusting Europe’s drug regulation to public health needs”, Lancet 2001; 358: 64–67.
(4) Magrini N., Doughty A., Toni L., De Rosa M. “Unioni di acquisto di farmaci e meccanismi di gara: dalla esternalizzazione alla gestione integrata del farmaci” in I servizi sanitari in Italia Anno 2003 a cura di G. Fiorentini, Il Mulino.

Figura 2 – Serie storica delle quantità di farmaci prescritti e rimborsati dal SSN (espresse in DDD*) – e costo medio DDD*

 

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Sommario 3 gennaio 2007

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Il fabbisogno dimezzato

  1. Fabio Camilletti

    si dice, non so se è vero, che i farmaci all’estero costano di meno e che in Italia le lobby farmaceutiche siano molto forti. Perchè non autorizzare le ASL all’acquisto di farmaci suml mercato europeo? mentre questo non è possibile per il consumatore finale (ad esempio per il foglio informativo che deve essere comprensibile), i medici operano con il principio attivo e il farmaco potrebbe essere utilizzato anche se acquistato all’estero. Si avrebbero 2 effetti, una riduzione della spesa sanitaria pubblica e una introduzione di concorrenza che non può fare che bene al nostro sistema.

  2. Paolo Manzoni

    Mi permetto segnalare un problema che da tempo mi chiedo come mai nessuno vuole affrontare, o forse è facile capire perchè!
    Quando in Italia ad un malato vengono prescritte dosi di farmaco inferiori alle confezioni ( e cioè quasi sempre ) il sistema sanitario nazionale si fa carico del costo relativo anche ai farmaci inutilizzati. Negli U.S.A. dove i farmaci sono sovente rimborsati dalle assicurazioni private questo è impossibile in quanto il farmacista ( non a caso laureato e competente come da noi ) non può vendere un numero di dosi maggiori di quelle prescritte ed all’uopo quindi le confeziona ad hoc prima della consegna all’utilizzatore finale.
    Proviamo ad immaginare quindi l’enorme risparmio che si trarrebbe adottando anche da noi questa procedura che eviterebbe il continuo spreco del 20% /30% almeno dei farmaci che i contribuenti pagano.
    Tra l’altro possiamo immaginare che le case farmaceutiche risparmierebbero costi nella distribuzione in colorate piccole scatole, in costosi blister, etc. che potrebbero contribuire al compenso dovuto alle Farmacie per questo maggior onere, che giustamente dovrebbe essere riconosciuto per il confezionamento.
    In teoria sarebbe un vantaggio per tutti, o quasi, dal momento che vendere un po’ di prodotto in più non dispiace mai al produttore !

  3. Adriano Sala

    Concordo: farmaci, spendere meglio è possibile. Specialmente in presenza di deficit pubblico. Ma la spesa per farmaci mi risulta essere inferiore al 15% della spesa sanitaria, mentre la spesa ospedaliera mi risulta essere maggiore del 50% della spesa sanitaria. Allora perchè incidere sui farmaci e non anche sulle spese ospedaliere con la stessa intensità? non sarà che non si fa per non toccare amici degli amici degli amici?

    Cordialità.

  4. loredano milani

    Ho letto con interesse l’articolo Farmaci, spendere meglio è possibile.
    Concordo con gran parte delle affermazioni ma mi permetto alcune osservazioni:
    si afferma che :
    Il rimborso dei farmaci potrebbe avvenire a livello di categoria terapeutica, lasciando ai pazienti il pagamento delle eventuali differenze: come per i farmaci equivalenti, il prezzo di riferimento potrebbe influenzare tutti i medicinali della classe.

    Si assume il principio dell’equivalenza di classe ,che non sempre è vero ( in letteratura ci sono numerosi esempi; uno per tutti beta bloccanti simili dal punto di vista farmacologico non hanno confermato la riduzione della mortalità nello scompenso cardaco).
    A mio parere l’equivalenza di classe dev’essere dimostrata e devono essere rimborsabili i farmaci con maggiore evidenza di letteratura ( che tra l’altro costano in genere di meno perchè piu’ vecchi) e non quelli che per quanto simili non hanno studi di supporto sufficienti.
    Non va poi dimenticato che le indicazioni delle schede tecniche riportano spesso delle indicazioni non uniformi all’interno della stessa classe con problemi di ordine legale nella prescrivibilità per levarie condizioni.
    Grazie per l’attenzione
    loredano milani

  5. fabrizio

    Vi siete mai chiesti se la scelta del farmaco da parte del medico sia la più efficace ed appropriata?
    Quanto di questa scelta deriva da conoscienze scientifiche e quanto da pressapochezza o interessi personali. I sospetti sono forti poichè con l’indicazione ad utilizzare stesse molecole, ma generici, si sono sollevate proteste dai medici. Ma di che medici?

  6. luigi antonelli

    leggo addirittura su un’intera pagina di repubblica di lunedi 5 feb 2007 la storia di un rumeno emofiliaco che è venuto in italia solo perchè nel suo paese non gli passano un medicinale che costa 30 mila euro mensili cioè 360 mila euro l’anno. Il rumeno pretende che l’italia si faccia carico della sua infermità e ne paghi le spese !!! Ovviamente sullo stesso giornale immediatamente il giorno successivo Mario Marcone capo dip. immigrazione del viminale ,si è affrettato immediatamente a confermare che questo è un suo diritto. Ecco mi chiedo e chiedo a chi ne sà più di me come affrontiamo pragmaticamente (senza falsi buonismi nè spot di maniera)queste situazioni che iniziano a pesare significativamente sulla nostra sanità pubblica a causa ormai del passa parola instaurato nei paesi dell’est di venire in italia per curarsi su malattie importanti aggiungo che si sta creando anche in questo caso e specie per le frangie di cittadini italiani con minor reddito una nuova competizione su welfare sanitari con gli stranieri! Per parte mia non ritengo minimamente giusto che in un contesto di gerarchia delle priorita’ il povero cittadino italiano non debba subire costi aggiuntivi ne peggioramento dell’assistenza a causa dell’incapacità storica del nostro paese nel prendere posizione sera sul fenomeno stranieri.

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