A Bruxelles è stata evitata una crisi che poteva rivelarsi irreversibile. Ma non solo. Il compromesso raggiunto sul meccanismo di voto è meno negativo di quel che sembra. Buone le decisioni sulle regole di funzionamento dell’Unione che mantengono gran parte delle innovazioni introdotte in sede di accordo costituzionale. La Carta dei diritti fondamentali non sarà inserita nei nuovi testi legislativi, ma avrà comunque valore giuridicamente vincolante e un preciso campo di applicazione. Le zone d’ombra riguardano la politica estera e la sicurezza comune.

Lo scorso marzo, subito dopo le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, un attento commentatore di questioni europee aveva paragonato l’Europa a un aereo lanciato alla massima potenza su una corta pista di decollo. La Dichiarazione di Berlino impegnava infatti i 27 a rilanciare il processo di integrazione con le opportune modifiche istituzionali entro il giugno 2009. In altri termini, dati i necessari tempi di ratifica, la Dichiarazione implicava la necessità per gli Stati di trovare un accordo sulle linee guida delle riforme durante il Consiglio europeo del giugno 2007, ossia in meno di tre mesi, pena una crisi forse irreversibile. Le conclusioni del Consiglio europeo, come sempre arrivate dopo una estenuante trattativa tra gli Stati, ci dicono che il decollo è avvenuto, la crisi è stata evitata, ma restano alcune zone d’ombra.

Un compromesso migliore di quel che sembra

Per quanto attiene il meccanismo di voto, il compromesso raggiunto perpetua l’inefficiente meccanismo deciso a Nizza (ponderazione dei voti degli Stati) almeno fino al 2014, con la possibilità di una sua ulteriore estensione sui singoli provvedimenti, a richiesta di uno Stato, fino al 2017. Dopo di che si passerà alla più efficace e flessibile regola dell’accordo costituzionale, ossia maggioranze decise dal 55 per cento degli Stati che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione. (1)
Molti commentatori si sono espressi sulla problematicità dell’attuale meccanismo , lamentando la scarsa capacità decisionale dell’Unione Europea negli ultimi anni, e dunque danno una valutazione negativa dell’accordo raggiunto. In realtà, su questo punto fondamentale, la sostanza è migliore delle apparenze. Teoricamente, è vero che il meccanismo di voto deciso a Nizza riduce drasticamente il numero complessivo di coalizioni che possono raggiungere la maggioranza, da circa il 7 per cento delle coalizioni possibili a 15, a poco più del 2 per cento. Tuttavia ciò vale se tutte le coalizioni “vincenti” sono egualmente probabili. Se invece gli Stati tendono a mantenere nel tempo le stesse “alleanze”, la perdita di efficienza è sicuramente inferiore a quella calcolata teoricamente. A riprova di ciò, si può constatare come dopo Nizza il numero di decisioni prese ogni anno dal Consiglio si è ridotto (anche se i dati nel 2006 sembrano mostrare una ripresa), ma in misura meno che proporzionale alla perdita di efficienza prevista.
In aggiunta, non possiamo essere certi che la riduzione di decisioni del Consiglio sia interamente attribuibile alla sua scarsa efficienza decisionale: il Consiglio, insieme al Parlamento, decide su proposte che vengono elaborate dalla Commissione europea. E quest’ultima negli ultimi tempi non ha certo brillato per attivismo, in quanto da organismo collegiale è ormai diventata una mini-assemblea con ventisette teste. Poiché l’accordo raggiunto prevede che dal 2009 la composizione della Commissione europea venga limitata a quindici commissari, è dunque probabile che la maggiore efficienza decisionale della Commissione dal 2009 compensi in parte il mantenimento delle regole di voto di Nizza fino al 2014/2017.

Leggi anche:  Perché il rapporto Draghi non è solo un libro dei sogni

Le regole di funzionamento

Altra notizia positiva deriva dalle regole di funzionamento dell’Unione. Certo, il progetto di Costituzione è stato definitivamente accantonato, e l’Unione continuerà a funzionare con i suoi due Trattati, quello sull’Unione Europea che ne delinea le caratteristiche essenziali, e il vecchio Trattato della Comunità Europea, che diventerà un Trattato sul funzionamento dell’Unione. Tuttavia quest’ultimo, di fatto, incorporerà la gran parte delle innovazioni prese in sede di accordo costituzionale. In particolare, la codecisione (maggioranza qualificata al Consiglio e potere di veto del Parlamento) diventerà la procedura legislativa ordinaria, restringendo la regola dell’unanimità a poche, ben definite eccezioni.
Si amplia l’area di competenze su cui l’Unione (a maggioranza) potrà decidere in maniera sovraordinata rispetto agli Stati (le cosiddette competenze concorrenti), su tematiche nuove ed essenziali per il futuro del Continente quali l’immigrazione, l’energia, il clima, la sicurezza. (2) Sarebbe dunque auspicabile che il dibattito italiano in materia, in particolare su immigrazione e politica energetica, si ricolleghi al più presto alle dinamiche europee che inizieranno a negoziarsi nei prossimi mesi.
Infine, a tutela delle specificità nazionali, è stata approvata la clausola sul controllo di sussidiarietà, per cui la maggioranza semplice dei parlamenti nazionali, per la prima volta ufficialmente inseriti nel trattato, potrà richiedere il riesame di una proposta legislativa nel caso in cui si ritenga che la decisione stessa possa più efficacemente essere normata a livello nazionale o locale. Se il progetto legislativo non verrà ritenuto conforme al principio di sussidiarietà da parte di Parlamento europeo o Consiglio, a maggioranza semplice, la proposta legislativa sarà ritirata.

Le zone d’ombra

Anche la Carta dei diritti fondamentali è ricompresa nell’accordo. Non sarà inserita nei nuovi testi legislativi, ma è stato chiarito che il Trattato conterrà un riferimento ad essa, conferendole valore giuridicamente vincolante e stabilendone il campo di applicazione (in particolare rispetto alle pratiche del Regno Unito, oggetto di una specifica Dichiarazione).
Notizie negative vengono invece, non a caso, dalla politica estera e di sicurezza comune. Al di là della rinnovata veste dell’Alto rappresentante per la politica estera, che diventa vice presidente della Commissione e dunque “capo” unico della diplomazia comunitaria, le decisioni prese dal Consiglio europeo ridimensionano ulteriormente la possibilità di significativi passi avanti in questo ambito: prevedono il mantenimento della regola dell’unanimità (come del resto già in Costituzione), ma precisano ulteriormente che la sicurezza nazionale resta di competenza esclusiva degli Stati; che le eventuali nuove competenze che gli Stati possono attribuire all’Unione Europea attraverso la cosiddetta clausola di flessibilità (articolo 308) non si applicano alla politica estera; e che la personalità giuridica che verrà attribuita all’Unione Europea in ogni caso non inficia la rappresentanza dei singoli Stati presso le agenzie internazionali, in particolare nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Dunque, arrivati a fine pista con i motori al massimo e un baratro davanti, sicuramente non stiamo volando troppo alti, ma se non altro ci siamo staccati da terra e abbiamo evitato un tragico impatto. Valgono ancora le parole di Robert Schuman, quando il 9 maggio 1950 diede il via a questo processo: “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Insomma, una volta decollati possiamo iniziare a preoccuparci se il carburante a bordo è sufficiente per arrivare a destinazione.

Leggi anche:  È arrivato il tempo di una legge elettorale europea?

(1) Con il mantenimento del cosiddetto “compromesso di Ioannina”, ossia la possibilità da parte di un certo numero di Stati che stanno per formare una minoranza di blocco di chiedere una revisione della decisione prima della votazione. Tale compromesso, originariamente non previsto dal testo costituzionale, era comunque stato inserito nel progetto di Trattato dalla Conferenza Intergovernativa già nel 2004.
(2) In quest’ambito sono state introdotte clausole di salvaguardia, per cui uno Stato membro che ritenga che gli atti adottati ledano aspetti importanti del suo sistema di sicurezza sociale, o aspetti fondamentali del suo ordinamento giudiziario penale, può chiedere la sospensione della procedura legislativa ordinaria e il deferimento della questione al Consiglio europeo. Il Regno Unito ha negoziato una possibile non-adesione (opt-out) agli sviluppi legislativi in tema di giustizia e sicurezza interna. Restano comunque sempre possibili cooperazioni rafforzate tra gli Stati che intendano andare avanti in tali ambiti.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Il futuro dell'Unione, fra fiducia e dubbi dei cittadini