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Un buon compromesso dal Consiglio europeo

Si è salvata la sostanza delle innovazioni del Trattato costituzionale, realizzando un sistema più funzionale di decisone e di organizzazione dei poteri. E si è saputo dare risposte adeguate a un’opinione pubblica che chiedeva maggior controllo sulle scelte dell’Unione e maggiori garanzie sulle sfere di autonomia delle politiche nazionali. Le puntigliose precisazioni a tutela delle prerogative degli Stati membri non attenuano l’importanza dei nuovi poteri dell’Unione in materia di politica estera e di difesa e di sicurezza interna.

La lettura delle conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles conferma che si tratta di un buon compromesso. Non solo si è salvata la sostanza delle innovazioni del Trattato costituzionale, realizzando un sistema più funzionale di decisone e di organizzazione dei poteri; ma si è saputo dare risposte adeguate a un’opinione pubblica che chiedeva maggior controllo sulle scelte dell’Unione e maggiori garanzie sulle sfere di autonomia delle politiche nazionali. Le decisioni assunte saranno tradotte in emendamenti dei Trattati da una Conferenza intergovernativa, da convocarsi entro il mese di luglio, che dovrà concludere i lavori prima della fine dell’anno.

Migliora l’equilibrio delle competenze

Anzitutto, l’Unione assume personalità giuridica e, anche se ciò non è formalizzato in un articolo nei trattati, la supremazia del diritto europeo sul diritto nazionale, nelle aree di azione comune, non viene posta in questione (costituirà l’oggetto di un apposito protocollo).
Si modifica in modo significativo – a noi sembra decisamente in meglio – l’equilibrio delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Infatti, il protocollo sulla sussidiarietà si rafforza con la previsione secondo cui una maggioranza di Parlamenti nazionali potrà chiedere al Consiglio e al Parlamento europeo di riesaminare una proposta legislativa comunitaria ritenuta in violazione delle competenze degli Stati membri; un’eventuale approvazione dovrà motivare in dettaglio le ragioni per non accogliere l’obiezione sollevata. Tale norma si inquadra nel contesto di un nuovo, sistematico coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel processo legislativo europeo, in particolare nel caso di nuove decisioni di allargamento: in tale modo, si apre un nuovo canale di collegamento democratico tra le opinioni pubbliche nazionali e l’attività dell’Unione.
Una dichiarazione della Conferenza intergovernativa chiarirà che le competenze non esplicitamente affidate all’Unione restano ai paesi membri (competenza residuale degli Stati) e, inoltre, che devono ritornare ai paesi membri le competenze affidate all’Unione e da questa non esercitate. Il Consiglio potrà richiedere alla Commissione di presentare proposte di cancellazione della base legale di azioni comuni ritenute non più necessarie, al fine di restituirne la competenza agli stati membri. Il sistema si completa con la nuova formulazione della clausola di flessibilità, ripresa dall’articolo 18 del trattato costituzionale, la quale consente al Consiglio, con decisione unanime, di agire anche in aree non esplicitamente previste dai trattati, ma esclude che ciò possa tradursi in un’armonizzazione di leggi e regolamenti nazionali laddove i trattati non lo prevedono.
Le puntigliose precisazioni a tutela delle prerogative nazionali non attenuano l’importanza dei nuovi poteri dell’Unione in materia di politica estera e di difesa e di sicurezza interna. In quest’ultimo campo, una clausola di opt out per il Regno Unito ha consentito di salvare il voto a maggioranza negli affari di giustizia criminale e di polizia. In questi campi, un terzo dei paesi membri potrà chiedere di sospendere le decisioni, rinviando la questione all’esame del Consiglio europeo; ma è anche previsto che in tal caso, gli Stati che desiderino procedere, avranno automaticamente l’autorizzazione ad avviare una cooperazione rafforzata.
Sono state confermate anche la riduzione del numero dei commissari (a due terzi del numero dei paesi membri), la nuova figura di Alto rappresentante per l’azione esterna dell’Unione e la creazione di un servizio diplomatico comune, tutte modifiche essenziali per accrescere la capacità di decidere e la funzionalità delle istituzioni comuni. Il Consiglio europeo diventa un’istituzione dell’Unione con un presidente stabile e un segretariato.
Un effetto importante delle modifiche dei trattati è quello di aprire nuovi spazi di azione politica al livello dell’Unione. L’aspetto rilevante, al riguardo, è l’introduzione di procedure semplificate di revisione per le norme sulle politiche comuni contenute nel nuovo Trattato sul funzionamento dell’Unione, che non richiederanno più una Conferenza intergovernativa, ma potranno essere deliberate dal Consiglio europeo. È possibile immaginare che su tali politiche l’opinione pubblica si divida, nei paesi membri, secondo le tipiche posizioni partisan dei dibattiti politici nazionali – più o meno mercato, più o meno solidarietà, più o meno protezione ambientale, eccetera. Si potrebbe aprire un vero dibattito politico europeo tra “destra” e “sinistra”, invece della solita discussione tra gli Stati, allineati secondo interessi nazionali.

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I punti più discussi

Tra gli aspetti più discussi del compromesso, tre appaiono più rilevanti. In primo luogo, ha sollevato forte preoccupazione la decisione di sopprimere, tra gli obiettivi dell’Unione, il riferimento alla “concorrenza libera e non falsata” nella creazione del mercato interno. È stato anche deciso di rafforzare il principio di tutela dei servizi pubblici, già contenuto nell’articolo 16 del Trattato della Comunità Europea, con una nuova dichiarazione che sottolinea la libertà degli Stati membri di decidere gli ambiti e le modalità organizzative. È questo un prezzo pagato all’opinione pubblica francese, sempre piuttosto ostile al mercato; tuttavia, gli effetti appaiono soprattutto simbolici, dato che nulla è stato toccato negli articoli che regolano la sostanza dei poteri comunitari in materia.
In secondo luogo, la Carta dei diritti non diventerà parte integrante dei trattati; tuttavia, sarà richiamata come fonte giuridica dei diritti in un apposito articolo. La forza di questa soluzione è confermata dal fatto che il Regno Unito ha chiesto, e ottenuto, una specifica clausola che ne esclude ogni effetto sul sistema giuridico inglese. Anche altri paesi potrebbero avvalersi di una simile esenzione. Ma nulla impedisce di adeguarsi pienamente ai principi della Carta, se si vuole.
Infine, sono caduti i simboli e le ambizioni costituzionali; ma non avevano il sostegno dell’opinione pubblica, neppure nel nostro paese. La costruzione avanza, ma il salto verso una vera e propria federazione degli Stati membri non è maturo. Nulla impedisce di continuare a battersi per la sua realizzazione. Il fatto che la costruzione avanzi non costituisce un impedimento.
Invece, il rinvio dell’entrata in vigore delle nuove regole di voto nel Consiglio dell’Unione non è un dramma; più importante è che il nuovo principio sia stato stabilito. In pratica, continuerà a prevalere il metodo del consenso. Grazie alla fermezza di Angela Merkel, la Polonia ha imparato che se tira troppo la corda, possiamo sempre invitarla alla porta.
Nel complesso, a noi sembra si debba gioire. Dopo oltre dieci anni di tentativi falliti di riformare le sue istituzioni, l’Unione ha trovato un buon accordo. Ora può riprendere a guardare alle sfide interne ed esterne che l’attendono con istituzioni più funzionali e, soprattutto, con un migliore equilibrio di poteri con gli Stati membri e canali più forti di collegamento con l’opinione pubblica, attraverso i Parlamenti nazionali.

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Una settimana decisiva

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“Matrimonio” tra Borse con qualche punto interrogativo

  1. Fernando D'Aniello

    La Carta di Nizza, pur non entrando direttamente nei Trattati, viene in qualche modo “preservata” dalla definitiva scomparsa grazie ad un apposito rinvio che garantisce comunque, a mio giudizio, di potenziare i suoi effetti quanto all’ Acquis comunitario (bisogna ricordare che la stessa Core di Giustizia fino ad ora aveva già più volte richiamato la Carta pur in assenza di una sua chiara presenza all’interno dei Trattati).
    Temo, però, che siamo di fronte ad un pericolo concreto quello per cui, sul piano dei diritti e delle libertà, il sistema europeo sia “a geometria variabile”, in modo particolare per quanto riguarda gli Stati che non intendo sottoporsi a quella disciplina (non solo l’Inghilterra ma anche la Polonia sul tema della famiglia) anche attraverso dichiarazioni unilaterali. Inoltre appare quantomeno preoccupante la precisazione secondo la quale la carta: non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione.
    E questo è certo una pessima rappresentazione di Europa a due velocità.

  2. Fabio

    Trovo discutibili le positive conclusioni dell’autore. Quello che viene definito un “buon compromesso” mi sembra più simile a un pastocchio che nulla aggiunge e molto toglie al Trattato costituzionale e non ha la forza di superare i limiti profondi del sistema decisionale in vigore. Quasi tutto l’impianto che rappresentava un progresso in direzione federale è stato rimosso: niente bandiera, niente inno, niente leggi europee, niente ministro degli esteri europeo. L’approfondimento del principio di sussidiarietà appare più volto a conservare e ampliare le competenze degli Stati membri che a rafforzare il sistema centrale. In pratica si sta fermi per arretrare. La Carta dei Diritti resta ancora lettera morta e se il rinvio di dieci anni dell’entrata in vigore del nuovo sistema di voto non viene considerato “un dramma”, rimane in piedi un sistema decisinale farraginoso e difficile decifrazione sul quale può pesare su ogni questione il diritto di veto di un qualsiasi Stato.
    I cittadini europei si trovano davanti ad un nuovo compromesso al ribasso che non rimuove il deficit democratico di cui è afflitta l’Unione. A una settimana dall’accordo, questo mostra già le prime crepe, con la Polonia che minaccia di di volerlo ridiscutere e un Portogallo che si vede così passare una patata che se non è proprio bollente è rimasta ancora calda. Lo spettro del Referendum continua ad aleggiare sull’Europa, lo stesso Portogallo ha in precedenza dichiarato che ratificherà il Trattato mediante consultazione popolare. E se si arrivasse a un nuovo fallimento, con la Gran Bretagna che lotta col terrorismo in casa e la Francia che dovrà misurarsi con le riforme strutturali che Sarkozy ha promesso? Non c’è un barlume di coraggio in questo Mini-trattato, non mi risulta che si sia fatta molta Storia senza coraggio

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