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Aumento delle pensioni: perché darlo anche ai ricchi?

L’accordo sull’incremento delle pensioni basse non va soltanto a favore dei più poveri. Avendo scelto, come criterio per la determinazione del beneficio, il reddito individuale e non quello familiare, una parte del trasferimento totale finisce in famiglie dai redditi complessivi anche molto elevati. Circa il 25% dell’incremento complessivo delle pensioni andrà a favore di famiglie appartenenti alle fasce di reddito più alte.

Nella notte dello scorso 10 luglio governo e parti sociali hanno raggiunto l’accordo sui criteri da seguire per incrementare i trattamenti delle pensioni basse, come previsto dal decreto legge di luglio, che ha stanziato 900 milioni a questo fine già dal 2007.
Si è deciso di aumentare le pensioni da lavoro percepite da chi ha almeno 64 anni, uomini e donne, in modo differenziato a seconda del numero degli anni di versamenti contributivi: per i lavoratori dipendenti, l’incremento vale 352 euro annui fino a 15 anni di contributi, 432 euro all’anno per chi ha versato contributi per almeno 16 e non più di 25 anni, e 518 per chi può vantare più di 25 anni di versamenti. Per gli ex indipendenti le soglie sui contributi versati sono leggermente più alte (fino a 18, da 19 a 28, oltre 28). E’ poi previsto un incremento anche per alcune pensioni sociali, cioè per quelle pensioni prive di requisiti contributivi.
Questi incrementi spettano solo se il reddito individuale complessivo del pensionato non supera i 654 euro mensili, escludendo la rendita sulla prima casa.
Si è quindi scelto di condizionare il trasferimento ad una sola misura di reddito individuale, senza considerare il reddito globale disponibile della famiglia in cui il pensionato vive.
Il diritto al trasferimento, inoltre, dipende solo dal fatto che non si superi la soglia dei 654 euro mensili, ma l’importo del trasferimento non è funzione inversa del livello della pensione. In altre parole, due soggetti, uno con pensione mensile di 400 euro e l’altro di 650 euro, con 20 anni di contributi, riceveranno entrambi un incremento pari a 432 euro all’anno.

Tenere conto delle famiglie

Utilizzando il campione rappresentativo delle famiglie italiane, costituito dall’indagine Banca d’Italia sui redditi delle famiglie, proviamo a verificare quale può essere l’impatto di questa misura sulla distribuzione complessiva del reddito.
Se classifichiamo le famiglie in 10 gruppi ugualmente numerosi (decili), ordinati per valori crescenti di reddito disponibile equivalente, possiamo innanzitutto verificare quante famiglie, in ciascun decile della distribuzione, ricevono il trasferimento (fig.1). Tra il 10% più povero della popolazione, circa il 13% delle famiglie è interessata dalla misura decisa dal governo. Questa quota aumenta decisamente nel secondo e terzo decile, per poi diminuire successivamente, rimanendo comunque superiore al 10% anche nel sesto decile.

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Fig. 1 – Quota di famiglie che ricevono l’incremento delle pensioni basse, per decili di reddito disponibile familiare

 

In termini percentuali, questo trasferimento vale in media lo 0,16% del reddito disponibile di tutte le famiglie italiane, percentuale che cresce al 2,04% per le sole famiglie che lo ricevono.
L’ultima colonna della tab. 1 ci mostra come i vari decili si ripartiscono l’importo totale del trasferimento. Al 10% più povero della popolazione italiana va il 10% del trasferimento totale, al successivo 10% va il 19% del totale, quindi al terzo decile il 24%, e così via.

Tab. 1 – Incidenza percentuale del trasferimento sul reddito disponibile delle famiglie, valori medi per decile

Media su Tutte le famiglie di ciascun decile

Media calcolata solo sulle famiglie che ricevono il trasferimento

Ripartizione del trasferimento totale

1

0.60%

4.07%

10%

2

0.78%

4.28%

19%

3

0.72%

3.79%

24%

4

0.29%

2.43%

13%

5

0.18%

1.92%

9%

6

0.15%

1.32%

9%

7

0.07%

1.09%

5%

8

0.06%

0.81%

5%

9

0.04%

0.70%

4%

10

0.01%

0.39%

2%

Totale

0.16%

2.04%

100%

 

L’indice di Gini, che misura la diseguaglianza complessiva della distribuzione del reddito, diminuisce da 0,3369 a 0,3358.
Se definiamo come povera una famiglia che possiede un reddito disponibile inferiore al 60% del reddito mediano (definizione coerente con le scelte metodologiche utilizzate da Eurostat), la quota delle famiglie italiane in povertà si riduce passando dal 18,51% al 18,11%.
Tra le famiglie dei pensionati, l’incidenza della povertà passa dal 16,75% al 15,77%.
Tutti gli indici quindi migliorano, anche se non in modo marcato. La misura ha, nel complesso, un effetto redistributivo positivo.

Pensioni basse e povertà non sono la stessa cosa

Nonostante l’incremento delle pensioni più basse sia sicuramente concentrato a favore della metà meno ricca della popolazione italiana, a beneficiarne maggiormente non sono le famiglie più povere, cioè quelle del primo decile, ma quelle dei decili immediatamente successivi, cioè il secondo e il terzo.
Il suo impatto distributivo ricorda quindi molto quello della riforma Irpef-Assegni familiari dell’ultima finanziaria, che è andato soprattutto a vantaggio dei redditi medio-bassi, ma non dei più bassi in assoluto.
Avendo scelto, come criterio per la determinazione del beneficio, il reddito individuale e non quello familiare, non si può evitare che una parte del trasferimento totale finisca in famiglie dai redditi complessivi anche molto elevati. Nel caso specifico, circa il 25% dell’incremento complessivo delle pensioni deciso due giorni fa andrà a favore di famiglie appartenenti ai cinque decili più alti .
L’impatto molto ridotto sulla povertà complessiva, peraltro atteso, visto l’importo totale della misura, indica che l’equivalenza tra pensione bassa e povertà non è molto forte: vi sono molti poveri che non sono pensionati, e vi sono molti pensionati con pensioni basse che, grazie agli altri redditi della famiglia, non sono poveri.
Il problema della povertà continua ad essere affrontato in modo frammentato e utilizzando vecchi strumenti. Avremmo invece bisogno di strumenti nuovi, validi per tutti i cittadini in difficoltà, indipendentemente dalla precedente storia lavorativa. Altrimenti, rischiamo di avere poveri di serie A, quelli rappresentati nei tavoli di concertazione, e poveri di serie B, gli altri.

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Sommario 13 luglio 2007

19 commenti

  1. emanuele canegrati

    Caro Professor Baldini,

    la sua domanda, cosi per come posta, è retorica. E’ ovvio che qualsiasi persona le risponderebbe che no, non è equo aumentare le pensioni dei più ricchi. Ma a questo punto sono io a porle una domanda. Ha mai avuto l’impressione che lungo tutto l’estenuante trattativa tra governo e sindacati alla quale stiamo assistendo, le decisioni abbiano rispettato criteri di equità? Se siamo arrivati al punto dove tutti sanno che il sistema pensionistico italiano è fortemente favorevole agli anziani attuali ed insostenibile per le generazioni future, eppure i sindacati continuano a non farsi scrupoli sulla pelle dei giovani, perchè dovrebbero farsene nel difendere gli interessi delle categorie sociali che essi difendono? Tutti sanno oramai che i sindacati fanno solo l’interesse di una parte e non il bene della società. Con questa chiave di lettura qualsiasi politica di un governo tenuto sotto scacco dalla CGIL e della sinistra estrema diviene comprensibile.

    Cordiali Saluti

    • La redazione

      Non sarei così estremo, ma certo questo governo incontra forti ostacoli nell’impostazione di politiche di lungo periodo. Evidentemente riusciamo a prendere provvedimenti lungimiranti solo in condizioni di emergenza.

  2. riccardo boero

    Egr. Professore,

    eccellente e dotto articolo che condivido in pieno.
    Non solo ma vorrei aggiungere, rinforzando la sua tesi di fondo, che tenere conto solo del reddito, sia pure familiare, non e` neppure sufficiente.
    Questo perche’ a situazione economica di una famiglia non e` assolutamente costituita solo dai redditi, ma anche e precipuamente dal patromonio.
    Quante famiglie di ex commercianti o imprenditori ricevono pensioni piuttosto basse, ma possiedono asset sostanziosi anche se non generatori di reddito? Personalmente ne conosco un gran numero.
    La valutazione del patrimonio dovrebbe essere piu’ importante di quella del reddito, ai fini degli aiuti sociali, invece non viene mai fatta

    • La redazione

      Ha ragione, ho dimenticato di scriverlo nel pezzo, ma il riferimento al patrimonio, quando si decidono trasferimenti a sostegno del tenore di vita delle persone è molto importante, soprattutto in un paese ad elevata evasione come il nostro.
      In Italia abbiamo l’Ise (indicatore della situazione economica) da ormai 10 anni, che tiene conto di reddito e patrimonio. Sarebbe ora di usarlo di più.

  3. carlo p

    Se si parla di equità, non si può rifarsi alle dichiarazioni dei redditi, si finisce per favorire gli evasori. Peraltro con la stessa logica anche le aliquote irpef andrebbero calcolate sul reddito familiare.
    Meglio che le pensioni siano calcolate su quanto effettivamente pagato in contributi. Il sostegno al reddito per gli indigenti deve seguire altre strade, gravare su tutta la collettività e non solo su sull’Inps (che è un istituto di previdenza non di carità).

    • La redazione

      Sono del tutto d’accordo con lei.
      Un solo appunto: il riferimento al reddito familiare in sede Irpef scoraggia il lavoro femminile, perché il reddito della moglie sarebbe assoggettato alle aliquote marginali molto alte che si applicano alla somma dei redditi dei coniugi. E’ un problema che non si pone quando si parla di pensioni.

  4. Dario Perina

    Ho letto l’articolo con fastidio, siamo di fronte alla solita demagogia della sinistra italiana, soprattutto di fronte all’ennesimo rigurgito di pauperismo, che in realtà non dà niente, o quasi, ai poveri e spreme il ceto medio.
    Per l’autore dell’articolo, che vuole avvalorare e dare una parvenza di scientificità alle sue considerazioni esibendo qualche grafico e qualche termine preso dai manuali di economia politica,propone di privilegiare solo i c.d. poveri a scapito di chi ha diritto ad un reddito superiore, in attesa, forse, che anche questo ceto entri nel beato mondo della povertà, così da farlo gestire alla triplice sindacale. Vorrei solo fare alcune brevi considerazioni:
    1) chi ha pagato ( e sottolineo il termine pagato) ha il diritto di avere ciò che gli spetta; forse il concetto di salario differito non esiste più?Non è accettabile la logica dell’esproprio proletario, tanto cara a certa sinistra.
    2) si parla di compatibilità del sistema pensionistico, per non gravare in futuro sulla fiscalità generale e, soprattutto, per non costringere i giovani a pagare una parte delle imposte per le pensioni erogate dallo stato ai loro genitori. Ebbene, non ci trovo niente di scandaloso: forse che non è previsto dalla stessa Costituzione che, come i genitori devono mantenere, educare, ecc. i figli, così anche questi ultimi devono provvedere ad aiutare i genitori nella vecchiaia. Il modo moderno di adempiere a questo obbligo morale, prima ancora che giuridico, è anche attraverso le imposte e non attraverso la carità, o meglio ancora la Caritas.

    • La redazione

      Rimando alla risposta data alla signora De Matteis.
      L’articolo dice che gli effetti distributivi del provvedimento sono buoni. Avrebbero potuto essere anche migliori con qualche accorgimento, di cui si è parlato in sede di trattativa, ma che è stato rifiutato dalle parti sociali: il riferimento al reddito familiare, un vincolo di patrimonio massimo.

  5. Giancarlo Pistolesi

    Si seguita a fare confusione fra sistema previdenziale, retto da contributi versati ed in base a questi i benefici futuri, e il sistema assistenziale che è altra cosa e deve essere reto dalla fiscalità generale. L’inps ha compiti improri rispetto agli altri enti previdenziali europei, ma nessuno parla di fare una riforma che non costa niente, dividere gli emolumenti previdenziali, da quelli assistenziali. Strano non ne parlano più neppure i sindacati, ci sarà qualche motivo?

    • La redazione

      E’ implicito nelle sue parole: fa comodo dire che i conti dell’Inps non sono messi male se si tiene conto che effettua anche interventi assistenziali.

  6. Giancarlo Pireddu

    A parte il fatto di condividere il concetto di equità riferito al sistema pensionistico in base a quanto il soggetto ha effettivamente versato durante la vita lavorativa, vorrei segnalare anche l’anomalia di un aumento indiscriminato che favorisce i baby pensionati con pensioni basse oggetto di revisione, come ad esempio quelle delle insegnati con 16 anni, 6 mesi e 1 giorno di età lavorativa ma mogli di super (dal punto di vista del reddito) manager di aziende private ed ex-pubbliche.

  7. Ernesto Scontento

    L’anomalia che lei ha evidenziato, dovrebbe essere prerogativa di correzione per una coalizione o partito che si ispira a valori Demogratici e di centro sinistra.
    Ma soprattutto dovrebbe essere un dovere Morale per chi orgogliosamente si richiama alle tradizioni del P.C.I.
    Infatti uan rilettura alla famosa intervista dal titolo ” la quastione morale” sarebbe opportuna.
    E, Berlinguer, in quell’occasione chiarisce perchè lui ritiene positivo il concetto di Socialdemocrazia, ma ne evidenzia i limiti proprio nel fatto di tutelare eccessivamente i lavoratori e poco gli emarginati, non inseriti nel cirquito del mndo del lavoro.
    Cosa è di destra?
    Cosa è di sinistra?

  8. Rosanna De Matteis

    Gent.mo Prof.
    Qualcunoi ha scritto che siamo alla solita demagogia, qualcun’altro che così come è posta la sua domanda è retorica.
    Io sostengo che non sta in cielo e manco in terra.
    Ho 62 anni: ho versato contributi per 15 anni lavorando in un ospedale di zona dove tutte le patologie e le urgenze erano presenti.
    Ho lavorato di giorno e di notte di giorno festivo e di giorno feriale, di Natale e di Capodanno, di Pasqua e di Ferragosto, sono rimasta infetta dal virus dell’epatite B (il periodo lavorativo si riferisce agli anni 60 e 70 mancanza quindi della cultura delle infezioni, delle protezioni, della prevenzione)
    E’ stato un lavoro massacrante seguito da quello sicuramente altrettanto difficile di casalinga.
    Oggi, al raggiungimento dell’età pensionabile, lo straordinario importo che percepisco mensilmente è pari ad € 170,00.
    Se non ci fosse la pensione del marito come potrei vivere? E visto che questa c’è perchè costringermi a fare l’accattone verso il marito ?
    Cordialità

    • La redazione

      Il punto che mi interessa è che dobbiamo tenere separate la previdenza dall’assistenza. Se cerchiamo di aiutare i poveri usando il sistema previdenziale, si commettono inevitabilmente delle iniquità.
      Ad esempio, nel provvedimento del governo non si tiene conto del patrimonio della famiglia, né della presenza di redditi di capitale.
      La pensione dovrebbe essere commisurata ai versamenti contributivi effettuati, è un salario differito. Trasferimenti a sostegno del reddito non dovrebbero essere commisurati al reddito individuale.
      Io sarei per aumentare la sua pensione anche più di quanto ha deciso il governo, ma faccio presente che, a quanto ne so, in nessun paese gli interventi a sostegno del reddito vengono determinati in base al reddito individuale. Si considera il reddito familiare, come evidentemente lei stessa ha fatto quando ha deciso di interrompere la sua attività lavorativa.
      Lei tocca un altro importante tema: anche chi ha fatto la casalinga e ha avuto figli ha contributo alla sostenibilità del sistema pensionistico, perché i figli pagano oggi contributi. Bisognerebbe riconoscere alle donne questo sforzo, con maggiori sgravi fiscali o più assegni familiari, oppure con contributi figurativi per ogni figlio dato alla luce. Andare in pensione prima degli uomini può essere giustificato alla luce di questo contributo.

  9. Umberto Lentini

    i pensionati che superano 654 euro mensili non riceverenno nessuno aumento, anche se hanno più di 25 anni di contributi versati.

  10. Silvio Comel

    Non condivido l’impostazione dell’articolo per motivi già accennati in altri commenti: la pensione dovrebbe essere una prestazione commisurata ai versamenti effettuati e mantenere, nel tempo, il suo potere d’acquisto proprio per mantenere un legame con quanto versato (in denaro reale) negli anni di lavoro. Aumentando solo le pensioni più basse sia fa un giusto atto di assistenza sociale ma, contemporaneamente, un atto di ingiustizia distributiva perchè l’effetto complessivo è quello di un appiattimento delle pensioni.

    • La redazione

      Il senso del mio articolo sta proprio nell’idea che non è corretto fare politiche contro la povertà attraverso il sistema pensionistico, perché la pensione ha una finalità diversa dal
      sostegno ai redditi bassi. Abbiamo bisogno di strumenti nuovi per contrastare la povertà.
      Forse non sono stato abbastanza chiaro.

  11. Roberto Giannarelli

    Ma allora c’è da pensare. 1) il governo ha deliberatamente sacrificato i titolari delle pensioni più basse; oppure, 2) il governo non ha saputo individuare ed utilizzare un meccanismo tecnico per favorire le pensioni più basse. In entrambi i casi, il giudizio non può che essere sconfortante, tanto più se l’esito è stato suggerito dai sindacati.

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