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Una riforma in attesa di giudizio

Il Senato ha licenziato la riforma dell’ordinamento giudiziario destinata a sostituire in gran parte quella varata nella scorsa legislatura. Servirà a migliorare il sistema? Si tratta di un insieme di provvedimenti molto complesso e molto dipenderà dalla loro applicazione. Sulla separazione delle carriere, la soluzione è di compromesso. Dubbi sull’efficacia del meccanismo di valutazione, che non spezza il circolo vizioso tra controllori e controllati. Novità interessanti per il reclutamento dei giudici. La creazione della Scuola della magistratura.

Finalmente, il Senato ha licenziato la riforma dell’ordinamento giudiziario presentata dal guardasigilli Mastella (e la Camera con ogni probabilità confermerà il voto di Palazzo Madama), destinata a sostituire in gran parte quella varata nella scorsa legislatura dal governo di centrodestra e dall’allora ministro Castelli. La difficile situazione della maggioranza in Senato ha fatto sì che il testo approvato sia frutto di compromessi che hanno lasciato l’amaro in bocca a molti, specie agli avvocati. Ma anche fra i magistrati, che alla fine hanno deciso di revocare lo sciopero già proclamato, non è mancata l’insoddisfazione.
Tuttavia, quello che probabilmente interessa di più il cittadino è sapere quali saranno gli effetti della riforma: migliorerà il rendimento del nostro sistema giudiziario? Dureranno meno le cause? Avremo giudici, e pubblici ministeri, migliori? Non è facile dare risposte definitive a queste domande. La riforma è un insieme di provvedimenti molto complesso e, soprattutto, molto dipenderà da come verrà applicata. Qualcosa si può dire però fin d’ora.

La separazione delle carriere: un finto problema?

Uno dei temi che ha contrapposto di più magistrati e avvocati è stata la cosiddetta separazione delle carriere di giudice e pubblico ministero, con i magistrati ostili o comunque diffidenti, e gli avvocati favorevoli a una separazione radicale che arrivasse magari alla creazione di due corpi distinti. La soluzione è un compromesso: in futuro non dovrebbero più essere possibili i passaggi “porta a porta” del giudice che va a fare il pubblico ministero nello stesso ufficio o viceversa. Sono state, infatti, stabilite incompatibilità regionali, per i passaggi nel settore penale, e provinciali, per quelli che toccano il civile e che sono quindi meno “pericolosi” per l’imparzialità del giudice.
Si è detto spesso che si tratta di un falso problema e che i mali del nostro sistema giudiziario – ad esempio la durata eccessiva dei procedimenti – non dipendono certo dalla separazione. In parte è così. Ma c’è un aspetto che va tenuto in conto: il tema della separazione avvelena da anni i rapporti fra avvocati e magistrati. In queste condizioni, un sistema giudiziario non può funzionare bene. Inoltre, buona parte dei problemi del nostro processo dipende dalla complessità e rigidità delle norme che lo regolano (1), ma senza una maggiore collaborazione fra i suoi protagonisti sarà difficile arrivare a una semplificazione.

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Le finte novità

La riforma Mastella mette in pensione il macchinoso sistema di concorsi ideato da Castelli e lo sostituisce con verifiche quadriennali secondo parametri minuziosamente indicati. Che i parametri di riferimento delle valutazioni siano descritti in modo più preciso può forse essere un bene. Della loro efficacia nel garantire magistrati più preparati si può però dubitare. La ragione è che la struttura della valutazione è rimasta sostanzialmente quella del passato: pareri dei consigli giudiziari, da cui gli avvocati sono rimasti esclusi, e decisione finale del Csm. In altre parole, non si è spezzato il circolo vizioso per cui i controllori sono eletti da – e quindi responsabili verso – coloro che debbono controllare. Se a questo si aggiunge che non esistono limiti al numero di “promozioni” economiche che possono essere decise, si può tranquillamente capire che poco o nulla è cambiato rispetto al passato (a parte la necessità di riempire molti fogli di carta in più). Si può scommettere che, con l’eccezione dei casi più gravi, per la stragrande maggioranza dei magistrati la carriera continuerà a essere scandita solo dall’anzianità.

E quelle (forse) vere

In un’organizzazione, quando per qualche ragione non si può fare affidamento sui controlli interni, si cerca di intervenire sul reclutamento. Se è molto difficile sanzionare le cadute di professionalità di chi fa parte del corpo giudiziario, un rimedio almeno parziale è quello di sceglierne con maggior cura i componenti. Qui la riforma prevede effettivamente qualche novità.
La prima è che la partecipazione al concorso richiederà, d’ora in poi, qualcosa di più della semplice laurea in giurisprudenza. Non siamo certo alla situazione di molti paesi, specie anglosassoni, dove il giudice è scelto tra chi ha un’esperienza professionale almeno decennale, ma il passo avanti rispetto al passato c’è. Qualcuno si lamenterà dicendo che così si aumentano i costi per le giovani – e i giovani – che vogliono intraprendere la carriera giudiziaria. È vero: il rimedio non è però rendere il reclutamento più facile ma istituire un serio programma di borse di studio per “i capaci e meritevoli”.
L’altra novità importante è la creazione di una Scuola della magistratura con il compito di curare la formazione iniziale e permanente dei magistrati. L’Italia era ormai il solo fra i grandi paesi europei a non avere un’istituzione specializzata nella formazione giudiziaria. Se vogliamo avere magistrati migliori, che emettano sentenze migliori, che siano in grado di organizzare il proprio e l’altrui lavoro in modo migliore, la preparazione universitaria non basta: dobbiamo formarli meglio. In questo, la scuola può svolgere un ruolo cruciale. Certo, che ministero e Csm abbiano fatto a gara per prevalere negli organi di gestione segnala il rischio che alla Scuola non venga concessa l’autonomia necessaria per ben funzionare. Resta che qui sta un elemento di innovazione potenzialmente positivo. Il futuro ci mostrerà presto se verrà sviluppato davvero.

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(1) Philip M. Langbroek and Marco Fabri (eds.),”The Right Judge for Each Case” A Study of Case Assignment and Impartiality in Six European Judiciaries, Intersentia, Antwerp, 2007.

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  1. Giacomo Dorigo

    Penso che uno strumento efficace nelle mani dei cittadini per capire se le riforme funzionano o meno sarebbe quello di mostrare periodicamente e sistematicamente i numeri (parametri) di efficienza dei settori che quelle riforme vanno a toccare. E’ qualcosa che in economia si fa da lungo tempo e i vari indicatori economici vengono sbattuti di continuo sulle prime pagine dei giornali.
    Credo sarebbe ora di farlo anche con il sistema giudiziario. Io non sono uno specialista ma suppongo esisteranno già dei parametri di valutazione dell’efficienza del sistema (unoimmagino sia la lunghezza media dei processi). Bene se una volta all’anno questi parametri venissero pubblicati e ricevessero l’attenzione dei media come avviene per il PIL per esempio, io credo che il cittadino avrebbe uno strumento molto chiaro ed efficace per giudicare l’operato del governo.

  2. Nino Podestà

    L’ articolo di Carlo Guarnieri evidenzia con chiarezza i caratteri e i possibili esiti della riforma Mastella, mentre troppi commenti sono stati invece incentrati più sulla polemica magistrati-governo che sui contenuti della legge.
    L’impressione è che la riforma Mastella apra qualche prospettiva interessante per quanto riguarda la formazione dei giudici e assicuri maggiori garanzie di terzietà attraverso l’incompatibilità regionale fra requirente e giudicante, mentre alcuni problemi di fondo della giustizia italiana, soprattutto per quanto riguarda i criteri di selezione e progressione delle carriere, l’accertamento della professionalità dei magistrati, la durata dei processi, l’efficacia dei contrappesi istituzionali al potere della magistratura, sembrano destinati, per l’immediato, a rimanere sostanzialmente immutati. Un altro merito dell’articolo sta nell’aver affrontato questi temi con la competenza dello studioso, ma privilegiando l’ottica del cittadino e le sue esigenze di una giustizia imparziale, rapida ed equilibrata.

  3. Stefano Pelloni

    Ogni volta che in Italia si è posto un problema di efficienza di qualche settore del mercato, si è costituita una authority.
    Ogni volta che si pone un problema di efficienza di qualche settore della pubblica amministrazione, si fa una Scuola.
    Una scuola dove insegnano magistrati a magistrati offrirà le stesse garanzie, seguendo la logica dell’autore, di un Consiglio giudiziario ove magistrati giudicano magistrati.
    Penso che l’efficienza di un qualsiasi organo della Pubblica amministrazione possa essere raggiunta meglio non (solo) rendendo più difficile l’accesso ma (soprattuto) facilitandone l’uscita in caso di inadempienze o comportamenti censurabili.
    Ed è una riflessione che credo possa valere anche per l’avvocatura.

  4. Jean Baptiste Clamence

    Un modo semplice per rendere più efficiente la giustizia ci sarebbe: far tornare in servizio gli oltre 200 magistrati, distaccati fuori ruolo anche da decenni presso organismi diversi. Al Ministero della Giustizia, per esempio, sono magistrati tutti i Capi Dipartimento e Direttori Generali. La cosa è passata sotto silenzio: ma ci si potrebbe chiedere quali competenze dirigenziali e manageriali abbia un magistrato che magari il giorno prima faceva il GIP, e soprattutto come possano, una volta rientrati nell’ordine giudiziario, continuare a vantare la loro indipendenza persone che vengono scelte ‘intuitu personae’ dal ministro di turno.
    Una maggior separazione tra politica e magistratura, come pure tra magistratura ed amministrazione avrebbe sicuramente giovato.

  5. Stefano Pelloni

    Il Sig. Clamence ha sostanzialmente ragione. Anche se forse sarebe ingiustamente discriminatorio escludere i magistrati da quel tipo di incarichi.
    Si potrebbe anche permettere ai neolaureati di svolgere la “pratica” presso un magistrato, anziché essere asserviti allo studio legale di turno. Credo che con 3 – 4 collaboratori la produttività di un qualsiasi magistrato non potrebbe che aumentare.
    Inoltre, se si considerano i tribunali come aziende che producono un bene con domanda insoddisfatta (la giustizia), mi chiedo per quale motivo non possano produrre 24 ore su 24, con apposita turnazione di udienze e di ruoli.
    Non è uno scandalo, già gli ospedali operano così.
    P.S. Avete notato qual’è stata una delle risposte del Governo alla scoperta delle cellule di terorismo a Perugia?
    L’istituzione di SCUOLE per gli imam.

  6. Jean Baptiste Clamence

    1) Non capisco cosa ci sia “discriminatorio” nei confronti dei magistrati se li si mette a fare il lavoro per il quale sono stati assunti e pagati. Le sfugge anche un dato economico: con tutti questi distacchi la comunità ci rimette. Se un magistrato viene messo fuori ruolo per fare il dirigente amministrativo del Ministero della Giustizia, la collettività si ritrova un giudice di meno, ma paga uno stipendio da magistrato a un signore per fare il dirigente (un dirigente viene retribuito la metà di un magistrato).
    2) Lei sta parlando del “referendariato” tedesco, un biennio propedeutico comune alle carriere giudiziaria, forense e notarile, che in Germania è a carico dello Stato. Bisogna vedere se gli avvocati, ben rappresentati in Parlamento, rinuncerebbero di buon grado alla massa di causidici che fanno per anni la pratica presso i loro studi, sottopagati o gratis. C’è comunque alla Camera un DDL sull’istituzione dell’Ufficio per il Processo: tutto sta a vedere se i giovani che vi saranno coinvolti non saranno anch’essi “asserviti” ai magistrati.
    3) Perché non avere i tribunali aperti anche di notte, come in America? Forse perché, se si continua a non assumere personale e a lesinare fondi, sarà presto un problema tenerli aperti anche di giorno… Caro signore, come la sanità non vive solo di medici, la Giustizia non vive solo di magistrati e di avvocati. E mentre queste due categorie sono piuttosto abbondanti e ricche, in questi anni non sono state fatte assunzioni nei servizi di cancelleria.

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