Un ruolo importante nella determinazione della copertura finanziaria dell’accordo sulle pensioni è attribuito a un “piano industriale volto a razionalizzare il sistema degli enti previdenziali e assicurativi”. In dieci anni dovrebbe garantire risparmi finanziari per 3,5 miliardi di euro. Che di per sé non sarebbero impossibili, ma solo difficili da realizzare, soprattutto per le probabili resistenze politiche e sindacali. Ma a far sorgere più di un dubbio sulla loro reale consistenza è la genericità del progetto. Non a caso è stata prevista una clausola di salvaguardia.

“Il governo si impegna a presentare entro il 31 dicembre 2007 un piano industriale volto a razionalizzare il sistema degli enti previdenziali e assicurativi e a conseguire, nell’arco del decennio, risparmi finanziari per 3,5 miliardi di euro”. Così recita uno dei punti dell’accordo di S. Elia (il 20 luglio toccava al Profeta di occupare il posto d’onore nel calendario) a cui è affidato un ruolo importante (per oltre un terzo del totale) nella determinazione della copertura finanziaria della riforma.

Le garanzie di copertura

Il ministero dell’Economia (Dio l’abbia in gloria poiché, in condizioni politiche proibitive, ha tentato di salvare il salvabile, riuscendo talvolta ad arginare la deriva) ha voluto inserire una clausola di salvaguardia: “a partire dal 2011, esclusivamente come elemento di garanzia, è previsto l’aumento dello 0,09 per cento dell’aliquota di tutte le retribuzioni soggette a contributi (lavoratori dipendenti, parasubordinati e autonomi). Tale incremento – prosegue l’accordo – non verrà attivato nel caso in cui il processo di razionalizzazione degli enti previdenziali e assicurativi assicuri con certezza il conseguimento di risparmi medi annui in grado di garantire l’obiettivo indicato nel capoverso successivo”. In sostanza, a voler considerare gli aspetti politici del progetto, non si può non notare che l’eventuale (probabile) fallimento delle misure di razionalizzazione, riguardanti poco più di 50mila dipendenti e una pletora di organismi istituzionali (solo all’Inps ce ne sono più di 900 per oltre 6mila poltrone) comporterà un prelievo diffuso e generalizzato (ancorché modesto) su oltre 22 milioni di lavoratori. Anche in questo caso il governo – persino nelle sue componenti più responsabili – è pronto a risolvere, more solito, i problemi di mancata riduzione della spesa mediante un incremento delle entrate a vasto raggio.

Le razionalizzazioni

Per quanto riguarda l’ambito della razionalizzazione il testo dell’accordo è abbastanza chiaro: sono compresi non solo gli enti pensionistici, ma anche l’Inail e l’Ipsema (che sono enti assicurativi). Il piano non dovrebbe comportare necessariamente processi di fusione e di incorporazione, per altro già consentiti in base alle norme contenute nella Finanziaria 2007. Si parla, infatti, solo di “sinergie tra i vari enti (sedi, acquisti, sistemi informatici, uffici legali)” che dovranno “produrre nel breve periodo i risparmi sopraevidenziati”. Il piano “sarà oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali”. Molti dubbi sono stati sollevati sulla reale possibilità di realizzare risparmi tanto consistenti attraverso semplici misure di razionalizzazione. Tanto più che non sembra essere investito direttamente il principale “costo”: quello del personale. Al solo scopo di avere una dimensione dell’incidenza dei diversi costi di gestione (al netto dei recuperi) si considera di seguito il caso dell’Inps, che è il principale ente previdenziale. Nel 2007, gli oneri per il personale in servizio ammontano a 1,8 miliardi di euro (a cui vanno aggiunti 348,8 milioni per il personale cessato dal servizio); l’elaborazione automatica dei dati (informatica) comporta 182,7 milioni; le altre spese di funzionamento degli uffici (affitto locali e canoni d’uso, acquisto di beni e servizi) 387 milioni; le spese legali 179 milioni; organi e commissioni 9,5 milioni. I servizi affidati ad altri enti (Poste e banche per il pagamento delle prestazioni, Centri di assistenza fiscale, eccetera) impiegano 550 milioni. Si tratta di voci cui affluisce una notevole mole di risorse. I risparmi, quindi, non sarebbero impossibili ma solo difficili soprattutto quando sul cammino della razionalizzazione si frapporranno resistenze politiche e sindacali di ogni tipo. A partire dalla predisposizione del “piano industriale”, un’attività che ricorda, in maniera sinistra e male augurante, il caso Alitalia. Basti pensare che la Commissione bicamerale di controllo sull’attività degli enti previdenziali ha condotto in materia (evocata come “SuperInps”) parecchie audizioni, convocando tutte le personalità e le istituzioni (ha chiuso le audizioni la Ragioneria generale) dotate di voce in capitolo. In quella sede i ministri sono stati molto laconici e cauti nell’indicare possibili risparmi. Il solo che si è presentato con 12 tabelle (girategli sicuramente dal management Inps) è stato Giovanni Rossi, magistrato della Corte dei Conti addetto al controllo dell’Inps. La sua illustrazione, tuttavia, ha suscitato l’irritazione del presidente e del cda dell’Istituto, al punto da determinare una presa di posizione pubblica recante la “non conoscenza” dei suggerimenti di Rossi. La concitazione della trattativa e la mancanza di argomenti hanno fatto sì che, alla fine, le proposte del magistrato siano state usate dal governo, “un po’ per celia, un po’ per non morir”. Il “pacchetto” delle razionalizzazioni si concludeva proprio con la cifra dei 3,4 miliardi di risparmi cumulati dal 2008 al 2011, alla stregua di quanto il governo ha, poi, indicato in calce all’accordo del giorno di S. Elia Profeta. Ed è proprio l’osservazione della genericità di quel piano, dove vengono incasellati degli importi corredandoli di un’inadeguata spiegazione, a far sorgere più di un dubbio sulla reale consistenza dei risparmi prefigurati a copertura, non a caso la Ragioneria ha preteso la clausola di salvaguardia. Le indicazioni di massima vengono racchiuse nella scheda seguente, riguardante le sinergie tra i tre maggiori enti: Inps, Inail, Inpdap.

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Scheda

Sedi: 150 milioni di risparmio
Fondi immobiliari: 900 milioni una tantum
Unificazione rete informatica: 140 milioni
Centrale acquisti e forniture: 210 milioni
Spese legali: 60 milioni (gli avvocati in servizio sono 330 all’Inps, 260 all’Inail, 48 all’Inpdap)
Miglioramento riscossione crediti: 1.050 milioni
Personale: 200 milioni
Razionalizzazioni (commissioni bancarie, controllo on line dei decessi, prevenzione indebiti): 680 milioni

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Tanto per dare un’idea dell’estrema genericità dell’operazione riportiamo, come esempio, ciò che è indicato a proposito dell’informatica: “La realizzazione di sedi accorpate/unificate consentirà l’utilizzazione di una rete telematica unificata con i conseguenti risparmi dovuti alle migliori condizioni ottenibili sui contratti di fornitura e lo sviluppo unico del software. Lo sviluppo di canali telematici unitari consentirà di ottenere per gli enti risparmi sulle minori connessioni e per gli utenti avere un punto unico di accesso informatico ai diversi servizi attualmente forniti da enti diversi. Il passo consequenziale è la costituzione di un unico centro elettronico”. Come si vede si tratta di impegni cosiddetti programmatici di lunga e complessa realizzazione. Invece, già nel 2008 vengono indicati 885 milioni risparmi (a cui aggiungere i 170 milioni delle cosiddette razionalizzazioni, che nel progetto di Giovanni Rossi hanno un significato più specifico e limitato di quello di carattere generale, riferito all’accordo). Si direbbe, allora, che l’ottimismo della volontà abbia avuto il sopravvento sul doveroso pessimismo dell’intelligenza.

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