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Previdenza integrativa: un successo. Ma le piccole imprese?

La campagna di adesioni alla previdenza complementare registra un eccellente risultato nel comparto delle imprese medio grandi, i cui lavoratori hanno dato prova di nutrire la massima fiducia nel sistema. Al contempo si registra una preoccupante arretratezza nelle piccole imprese nelle quali è peraltro impiegata la maggioranza dei lavoratori dipendenti italiani. Nei prossimi mesi i policy makers dovranno elaborare proposte che consentano alla previdenza privata di allargare la propria offerta, attraverso strumenti e soluzioni innovative che ne accrescano visibilità e affidabilità.

Per poter svolgere un primo (e parziale) ragionamento sull’evoluzione del sistema della previdenza complementare al 30 giugno 2007, termine del semestre durante il quale era possibile esercitare la scelta di aderire ai fondi pensione o di conservare il tfr, conviene concentrare l’attenzione sull’andamento delle adesioni ai c.d. fondi negoziali promossi dalla contrattazione collettiva. Sia per salvaguardare una continuità con le analisi svolte in passato, sia perché è lecito ipotizzare che i potenziali aderenti a tali fondi, promossi dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro, siano stati destinatari di una campagna promozionale più efficace ed aggressiva, essendo intervenuta negli stessi luoghi di lavoro, sia, infine, perché nell’ambito di tale segmento disponiamo di dati disaggregati che possono consentire un’analisi più articolata.

Buone adesioni nelle grandi imprese

Si tratta di una platea che conta circa 9 milioni 300 mila potenziali aderenti che si riduce a 7 milioni 300.000 se si escludono quattro fondi (PREV.I.LOG, Artifond, Marco Polo e Previ.Prof) per i quali l’autorizzazione ad operare è intervenuta soltanto nel corso del semestre. Nell’ambito di tale aggregato, il tasso di adesione complessivo è passato dal 14,9 per cento del dicembre 2006 al 19,8 per cento del giugno 2007.
Operando una prima scomposizione, è possibile identificare, all’interno del bacino di potenziali aderenti che stiamo esaminando, un sotto insieme di fondi pensioni negoziali, riconducibili grosso modo al settore delle imprese medio-grandi, nel cui ambito sono stati raggiunti tassi di adesione superiori al 51 per cento dei potenziali aderenti (con punte oltre l’80 per cento), con una crescita di quasi undici punti percentuali rispetto al dicembre 2006. Si tratta di un bacino di circa due milioni di potenziali aderenti che comprende, oltre a una iniziativa territoriale (il fondo Laborfonds del Trentino Alto Adige), i fondi negoziali di categorie quali i chimici, i metalmeccanici, i lavoratori delle telecomunicazioni, dell’energia, ma anche i lavoratori delle poste, delle ferrovie, della gomma e della plastica e altre ancora. Si noti che quanto al profilo dimensionale i fondi in esame presentano generalmente un bacino di potenziali aderenti relativamente esiguo, al di sotto delle 250.000 unità; soltanto il Fondo Cometa (metalmeccanici) supera ampiamente tale soglia (contando circa un milione di aderenti potenziali).
Si può rilevare a margine che la percentuale di adesioni alla categoria di fondi sopra descritta crescerebbe ulteriormente se si prendesse in considerazione la realtà, per molti versi analoga, dei fondi c.d. preesistenti, operanti a livello aziendale prevalentemente nei settori bancario e assicurativo, i quali, a fronte di un bacino di potenziali iscritti di circa 700.000 unità, contano 550.000 aderenti (quasi l’80 per cento dei dipendenti dei settori di riferimento).
Tassi di adesione mediamente poco superiori al 16 per cento dei potenziali aderenti (in crescita di circa 4 punti percentuali rispetto al dicembre 2006) si registrano invece nell’ambito di un secondo sotto insieme di fondi negoziali (cui è riconducibile una platea di un milione e mezzo di potenziali aderenti) attivi in settori industriali dove prevalgono le imprese medio-piccole (tessile/calzature,carta, alimentare, legno/cemento/arredamento), oltre che nel settore cooperativo, in quello dei servizi aeroportuali e nell’ambito di due iniziative territoriali (Veneto e Val d’Aosta). Dei nove fondi che fanno parte dell’aggregato in esame, quattro hanno un bacino che supera i 250.000 aderenti potenziali; tra questi ultimi, uno (il fondo Previmoda) supera quota 400.000.
Per completare questo rapido excursus, occorre infine menzionare un terzo sotto insieme di fondi negoziali che registra (escludendo da questo computo i quattro fondi neo autorizzati cui già si è fatto cenno) tassi di adesione in media pari al 3,4 per cento dei potenziali aderenti (1,2 per cento di crescita rispetto al giugno 2006) e che, per converso, ha di gran lunga il bacino numericamente più rilevante (5 milioni 700.000 potenziali aderenti che si riducono a 3 milioni 700.000 al netto dei quattro fondi più volte citati). Si tratta di fondi pensione destinati a lavoratori appartenenti al settore del commercio e a realtà imprenditoriali di tipo artigianale o di dimensioni ridotte (edilizia, agricoltura). Una realtà produttiva polverizzata fatta di micro imprese con pochissimi dipendenti. In questo ultimo raggruppamento di fondi è ancor più rilevante registrare il dato dimensionale: soltanto due dei nove fondi che ne fanno parte si rivolge a una platea inferiore alle 250.000 unità e ben cinque superano quota 750.000 aderenti potenziali. Caso limite è quello delle condizioni di operatività del fondo pensione “FON.TE”, attivo nel settore del commercio che vanta 2 milioni di potenziali aderenti.

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Alcune valutazioni

I dati fin qui riassunti andranno certamente arricchiti e rivisitati alla luce dell’andamento delle adesioni dei “silenti” e di ulteriori indagini aventi ad oggetto la ripartizione del complesso degli aderenti alla previdenza complementare in chiave anagrafica e geografica, nonché altri aspetti attinenti a specifiche caratteristiche degli iscritti quali il sesso, le categorie professionali e di reddito, ecc. Appare possibile, tuttavia, prospettare alcune riflessioni utili.

1) La presunta ritrosia dei lavoratori italiani ad utilizzare il tfr per finanziare piani previdenziali integrativi sembra trovare una smentita nell’andamento delle adesioni nel settore delle imprese medio-grandi. L’ampiezza dei risultati raggiunti in un bacino di circa due milioni di persone (più i 700.000 aderenti ai fondi “preesistenti”) dimostra che i lavoratori, trovandosi di fronte ad un’offerta di previdenza complementare chiaramente riconoscibile, optano – volontariamente e in massa – per l’adesione;

2) I tassi di adesione alla previdenza complementare raggiunti in Italia nel settore delle imprese medio grandi si collocano in un ordine di grandezza del tutto comparabile (in taluni casi addirittura superiore, ove si consideri la natura interaziendale di molti fondi pensione italiani, tutti peraltro a contribuzione definita) a quella che si registra nei paesi leader della previdenza complementare;

3) Al termine del semestre, e considerando soltanto le adesioni esplicite, si è decisamente incrementato il gap tra i tassi di adesione dei fondi operanti nel comparto delle grandi imprese e quelli che si registrano negli altri comparti;

4) Sembra esistere, peraltro non sorprendentemente, una relazione positiva tra la dimensione delle aziende e il successo nella raccolta delle adesioni del fondo negoziale ai cui dipendenti si rivolge; d’altro canto, sembra esistere invece, con l’eccezione del fondo dei metalmeccanici, una relazione negativa tra l’ampiezza del bacino dei potenziali aderenti dei fondi e la loro capacità di raccolta delle adesioni;

5) E’ legittimo ipotizzare che i fondi pensione operanti esclusivamente nel settore delle piccole e piccolissime imprese stentino a decollare a causa per un verso della difficoltà per i lavoratori a identificarli e riconoscerli e per l’altro verso della difficoltà di tali fondi a raggiungere platee che nella quasi generalità dei casi sono di dimensioni pletoriche. Partendo dal presupposto secondo cui il successo della riforma corrispondeva al raggiungimento di una percentuale pari al 40 per cento dei potenziali aderenti, l’obiettivo implicito di FON.TE avrebbe dovuto essere quello di toccare nel semestre quota 800.000 iscritti (partendo dai circa 25.000 che contava a gennaio e che, peraltro, a giugno ha raddoppiato). Un obiettivo smisurato tenuto conto della difficoltà di sollecitare l’adesione di un esercito di lavoratori dispersi in una miriade di esercizi commerciali.

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Una revisione urgente

Non si è ritenuto far cenno ad altri possibili elementi di interpretazione dei dati quali la decisione politica di istituire il fondo di tesoreria presso l’INPS, il ruolo giocato dai datori di lavoro nelle piccole imprese, l’efficacia della campagna informativa, il relativo successo delle forme individuali, ed altri che si omette per brevità di citare, non perché siano irrilevanti (tutt’altro) ma perché in questa sede si è preferito richiamare l’attenzione su quello che si ritiene un limite di impostazione della previdenza complementare: è evidente che fondi pensione negoziali con amplissimi bacini di adesione, ricomprendenti milioni di lavoratori occupati in milioni di unità produttive disperse nel territorio non potevano d’un colpo, nel corso di sei mesi, colmare l’enorme squilibrio tra il numero delle adesioni raccolte e quello dei potenziali aderenti. Ed è altrettanto plausibile ipotizzare che essi incontreranno le stesse difficoltà anche in futuro.
Se si aggiunge che una buona percentuale dei lavoratori dipendenti italiani del settore privato (pari a 12 milioni 200 mila persone) rimane sprovvisto di incentivi contrattuali alla previdenza complementare e di fondi negoziali cui iscriversi, non pare dubbio che si debba rapidamente porre mano a una radicale revisione della struttura dell’offerta previdenziale che capitalizzi il successo indiscusso registratosi nelle grandi imprese (da cui può evincersi che in Italia non c’è un pregiudizio negativo verso i fondi pensione). Occorrerebbe, in particolare, promuovere ulteriori e più efficaci iniziative volte a creare condizioni di fiducia nella previdenza complementare anche tra i lavoratori delle piccole imprese. E’ il tema di fondo che dovrebbe essere sul tavolo dei policy makers nei prossimi mesi.

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  1. S. Iannazzo

    E’ curioso come nell’articolo in oggetto vi siate “dimenticati” di citare l’unico discriminante che ha guidato (evidentemente) la scelta dei lavoratori italiani: la possibilità di lasciare il TFR in azienda. Questa è l’unica scelta che lascia il TFR di proprietà del lavoratore e prontamente incassabile al momento delle dimissioni (ad es. per un cambio di posto di lavoro). Le altre scelte fanno perdere questa liquidità e pronta esigibilità. Dove la scelta è stata obbligata (medie e grandi aziende) i lavoratori hanno scelto in massa i fondi: è evidente che la sfiducia nell’INPS è elevata, d’altro canto l’istituto viene dato a rischio di fallimento ogni giorno sui giornali…

    • La redazione

      Cito testualmente dall’articolo: “Non si è ritenuto far cenno ad altri possibili elementi di interpretazione dei dati quali la decisione di istituire il fondo di tesoreria presso l’INPS…”. Si può dissentire da un’impostazione, ma non la si può presentare in modo distorto. Ciò che nell’articolo si voleva evidenziare era l’inadeguatezza dell’offerta più che la (indiscutibile) rigidità della domanda. Comunque, vi ricordo che i lavoratori della grande impresa che avevano aderito ai fondi negoziali prima della riforma (erano già un massiccio 40 per cento) il problema dell’obbligo di conferimento all’INPS non lo avevano e ciononostante…

  2. Andrea Fumagalli

    Considerando solo i dati relativi ai fondi negoziali, dove l’incidenza de sindacati è pesante, “il tasso di adesione complessivo è passato dal 14,9 per cento del dicembre 2006 al 19,8 per cento del giugno 2007”. Questo è il risultato complessivo, dopo 6 mesi di campagna martellante all’interno dei luoghi di lavoro. Non mi sembra un grande risultato: un incremento pari a + 4,9 punti!!!
    Nell’articolo, si citano i dati relativi alle imprese medio-grandi, “nel cui ambito sono stati raggiunti tassi di adesione superiori al 51 per cento dei potenziali aderenti (con punte oltre l’80 per cento), con una crescita di quasi undici punti percentuali rispetto al dicembre 2006”. L’incremento è stato quindi il doppio (+ 11 punti) rispetto al dato totale. La ragione sta semplicemente nel fatto che nelle grandi imprese i sindacati sono maggiormente presenti. E La gestione dei fondi negoziali è uno dei fattori più rilevanti per i sindacati confederali nel processo di trasformazione a lobby economica sempre più distante dai reali bisogni dei loro rappresentati.
    Laddove il sindacato non è presente, come nelle Pmi, il fallimento dell’operazione tfr è evidente. Complessivamente, l’operazione ha avuto risultati deludenti e sicuramente non credo che si possa parlare di successo, come anche il ministro Damiano ha affermato. Credo che molti abbiano capito che utilizzare parte del proprio salario differito per rimpinguare la liquidità finanziaria a vantaggio di pochi e con i rischi a proprio carico non è il sistema migliore per garantirsi una serena vecchiaia.

    • La redazione

      Dunque, i lavoratori delle grandi imprese sarebbero proni alle direttive dei sindacati quanto all’utilizzo del loro TFR, mentre quelli delle piccole imprese avrebbero capito che grande affare (per loro, non per i loro datori di lavoro) è mantenere il TFR in azienda. Tutto può essere, ma mi dichiaro un poco più ottimista di lei sull’intelligenza degli italiani.

  3. Patuelli Paolo

    In qualità di consulente per l’istituto bancario dove lavoro ho avuto l’incarico di visitare le aziende illustrando la legge 252 sia ai datori di lavoro che hai dipendenti. Nella maggior parte dei casi ho riscontrato nelle piccole aziende da parte dei datori di lavoro una preclusione a incentivare l’esodo del tfr dall’azienda alla previdenza integrativa, in alcuni casi ho avuto una sincera ma categorica risposta da parte dei datori di lavoro “il tfr sta bene qui dove sta e i miei dipendenti fanno quello che voglio io: non si parla di fondi pensione in questa azienda”.
    Quindi, nonostante i vantagi fiscali destinati alle aziende che lasciano andare il tfr verso i fondi, quasi tutti gli imprenditori di piccole aziende considerano la questione tfr un argomento taboo in contrasto con i principi della legge 252.
    Quindi dipendenti poco informati sulla questione o addirittura costretti alla scelta del tfr in azienda.
    Credo sia questo uno dei principali motivi delle scarse adesioni ai fondi nelle piccole aziende.

    • La redazione

      Tutte le spiegazioni sulla scarsa adesione nelle piccole imprese, siano esse basate su evidenze empiriche o sull’uso di tecniche intuitive, hanno piena legittimazione (e quella del lettore ha anche, a mio avviso, indubbio fondamento). Lo stesso, tuttavia, vale per una modesta riflessione sul rapporto tra capacità di raccolta di un fondo pensione e ampiezza del bacino dei suoi potenziali aderenti. I numeri hanno una loro logica difficilmente confutabile e certe volte parlano da soli.

  4. Antonio Piacentini

    Ho letto l’importante distinzione che viene operata tra grande impresa e piccola e media in termini di adesione ai fondi, per ricordare come in alcuni settori solo in corso d’anno si siano attivati i fondi di categoria e questo non ha certo favorito le adesioni. Non vi è background né in termini gestionali né di pratiche sindacali in materia. Esiste poi un problema che non attiene tanto alla dimensione del piccolo o grande, ma della rigidità del meccanismo della previdenza complementare rispetto alle esigenze della vita, che vengono prima della pensione e non solo cronologicamente.
    La mia proposta è che si organizzi un forum per esprimere tutte le problematicità emerse in questo primo semestre da parte degli operatori e degli esperti nella materia, al fine di capire e risolvere i punti controversi, rendendo migliore l’offerta previdenziale. Ringrazio e segnalo un mio post su:
    http://www.antoniopiacentini.ilcannocchiale.it

  5. Balilla

    A mio modesto parere, il vero motivo dell’INSUCCESSO, ossia del successo del non trasferimento del TFR ai fondi pensione, sta nel fatto che nei luoghi meno sindacalizzati il lavoratore è meno guidato e meno indottrinato e quindi può scegliere più liberamente. Solo l’affido all’azienda garantisce un rendimento annuo sicuro come pure il libero ed immediato godimento. I fondi pensione, così come sono stati proposti, offrono meno garanzie e più vincoli.

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