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QUALI REGOLE PER LE SCATOLE CINESI

Le ipotesi proposte per regolare le cosiddette scatole cinesi darebbero vita a normative speciali e di settore che consentirebbero arbitraggi regolamentari e legislativi a danno del mercato unico europeo dei capitali. Bene sarebbe approfittare dell’integrazione tra borsa di Milano e London Stock Exchange e dell’avvio della direttiva Mifid. Per separare anche in Italia la funzione pubblica del listing da quella del trading. Verrebbero così eliminate alla radice le occasioni di conflitto di interesse. E si potrebbero adottare regole più severe per l’ammissione.

Tornato di moda il tema delle cosiddette scatole cinesi, il Senato della Repubblica si appresta a esaminare un complesso provvedimento (Zanda ed altri) da molti considerato esageratamente punitivo per la vita della società quotate. Vietare per legge la costituzione delle cosiddette scatole cinesi (ma in realtà il disegno di legge riguarda il più generale problema dei gruppi piramidali) pare francamente esagerato. Altri suggeriscono di imitare gli Usa degli anni Trenta, introducendo norme fiscali che disincentivino tali formazioni.
Entrambe le ipotesi darebbero vita a normative speciali e di settore che consentirebbero arbitraggi regolamentari e legislativi a danno del mercato unico europeo dei capitali.

Un’occasione da non perdere

Stupisce al riguardo che il Parlamento italiano non abbia colto il fatto che l’integrazione tra la borsa di Milano e il London Stock Exchange, insieme all’avvio della direttiva sui servizi di investimento (Mifid), costituiscono l’occasione da non perdere per affrontare con determinazione gli eventuali problemi derivanti dall’utilizzo di strumenti di separazione tra proprietà e controllo – tra cui, ma non solo, i gruppi piramidali – e dei correlati comportamenti spesso a danno degli azionisti di minoranza. L’integrazione facilita l’immediato confronto fra le regole che governano le quotazioni e le negoziazioni sulle due piazze, mentre l’adozione della Mifid, ispirata al principio della armonizzazione massima possibile, abolisce l’obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati consentendo la negoziazione anche su piazze alternative (Ats) a quella della quotazione.

Regole più severe

Ma prima di procedere domandiamoci: le società quotate e negoziate alla borsa di Milano andranno a quotarsi anche sulla borsa di Londra per sfruttare pienamente i vantaggi di un mercato così integrato? La risposta è che ciò non avverrà in quanto le regole inglesi per essere ammessi alla quotazione e alla negoziazione sono assai più severe di quelle italiane. Non a caso, nel Regno Unito il fenomeno delle cosiddette scatole cinesi pare quasi inesistente, non tanto perché si sia intervenuti sul fenomeno in sé, quanto perché sono stati efficacemente disciplinati i possibili abusi. Ad esempio, tra le listing rules dell’UK Listing Autority(1) figura quella compendiata nel capitolo 11 che riguarda le transazioni fra parti correlate. In sintesi il capitolo 11 impone che le transazioni fra le parti correlate siano portate a conoscenza dell’assemblea dei soci (e non soltanto del consiglio di amministrazione come avviene in casa nostra) per essere da questa approvate, ma alla cui approvazione non può partecipare la parte correlata in conflitto di interessi. Come ha osservato Luigi Spaventa (2), se questa regola fosse copiata, più difficile sarebbe ottenere il controllo senza proprietà e anche il ripetersi di alcune recenti azioni a danno della società e dei suoi soci di minoranza. (3)

Seguire l’esempio inglese

Uniformare a quelle inglesi le regole per l’ammissione alla quotazione e negoziazione delle società sui due mercati pare dunque la via maestra per la soluzione del problema accennato.
In primo luogo conviene distinguere, almeno concettualmente, tra ammissione alla quotazione (listing) e ammissione alla negoziazione (trading). La prima, con spiccata valenza pubblicistica, fa riferimento alla ammissione a quotazione su di un mercato regolamentato, mentre la seconda fa riferimento alla ammissione alla negoziazione e quindi al tradingdei titoli che può avvenire anche su mercati alternativi (Ats) e concorrenti a quelli regolamentati.
L’attività di listing si sostanzia nella definizione dei requisiti di quotazione dei titoli, nella definizione dei contenuti e degli obblighi informativi di quotazione necessari, affinché gli investitori possano giudicare con fondatezza la situazione patrimoniale e finanziaria e la governance degli emittenti, i risultati e le prospettive dell’emittente stesso e quindi esercitare consapevolmente, direttamente o indirettamente tramite un intermediario, l’attività di trading(governata da apposita regolamentazione).
Per uniformare Milano a Londra e così risolvere il nostro problema sono perseguibili due vie: una per regolamenti (debole) e una legislativa (forte).
La via più immediata (ma debole) consiste nell’adeguamento dei regolamenti della borsa di Milano a quelli adottati per il London Stock Exchange. È compito che spetta, sia per le regole di quotazione sia per quelle della negoziazione, alla stessa borsa di Milano sotto la vigilanza della Consob. È una via irta di pericoli per i gravi conflitti di interesse presenti in Borsa spa, ma anche nella nuova società di gestione dei mercati integrati, dovuti alla presenza nel suo azionariato di controllo degli intermediari e, seppure in misura minore, sulle società quotate stesse. In tale situazione le stesse società di gestione potrebbero essere tentate di portare sull’official list società potenzialmente non adeguate per attrarre il risparmio retaiil- perché troppo giovani, troppo rischiose, troppo poco trasparenti o semplicemente perché veri e propri lemons -, al fine naturalmente di accrescere le proprie trading e listing fees. In questo contesto la via per la costituzione e la quotazione delle cosiddette scatole cinesi appare del tutto spianata.
Non a caso, in occasione della demutualizzazione della borsa di Londra, con conseguente adozione della veste societaria, la funzione di listing è passata dal London Stock Exchange all’Fsa che ha costituito una apposita Fsa – Listing Authority (Ukla) che appunto detta le apposite regole per la quotazione .
In conclusione, separare anche in Italia la funzione pubblica del listing, assegnandola alla Consob sul modello inglese, da quella del trading, eliminando così alla radice occasioni di conflitto di interesse che possono indurre a predisporre regole lasche per la quotazione, consentirebbe anche l’adozione di regole per l’ammissione "più severe" (così come consentito dalla direttiva Ce 2001/34) di quelle attuali che sono anch’esse alla base di molti scandali finanziari e della presenza delle cosiddette scatole cinesi.
Alla borsa resterebbe l’importante funzione del trading, caso mai in competizione con altri mercati, così come consente la nuova direttiva sui servizi di investimento. E così, la trasparenza dei comportamenti delle istituzione risulterebbe assai migliorata con vantaggi per tutti i partecipanti ai mercati finanziari.
In fine dei conti, se si vuole un mercato unico dei capitali è bene evitare normative speciali che incentiverebbero gli arbitraggi regolamentari.

(1) The FSA, acting as the competent authority for listing, is referred to as the UK Listing Authority (UKLA), and maintains the Official List.
(2) Vedi La Repubblica, Affari e Finanza, del 22.10.07.
(3) Si vedano le rules LR 9 Continuing obligations, LR 10 Significant transactions, LR 11 Related party transactions, LR 12 Dealing in own securities and treasury shares.

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  1. luca

    Se parliamo di scatole cinesi, pertiamo proprio da questi orientali. 3 cinesi costituiscono 3 società in accomandita semplice, in cui ognuno diventa socio accomandatario e gli altri accomandanti. Fanno tutti la stessa attività, si scambiano il personale, ovviamente clandestino, in nero e sfruttandolo con orari assurdi per un pugno di riso, scambiandosi tra loro fatture false per creare costi inesistenti che abbattono base imponibile. Si configurerebbe l’associazione a delinquere finalizzata a……… E invece no! Non c’è collegamento per la magistratura. Fate voi!

  2. FRANCESCO COSTANZO

    Le innovazioni proposte alla normativa riguardante la quotazione in Borsa sono assolutamente condivisibili, tengo a dire che io personalmente adotterei la linea forte. Tuttavia, condivido anche i timori in merito ai molti conflitti di interesse, che a mio avviso non consentiranno di ottenere soluzioni adeguate ai problemi evidenziati dall’articolo. Desidero parlare della mia esperienza personale per far presente cosa può accadere, anche in società non quotate. Ho lavorato per oltre 2 anni a Roma nell’amministrazione di una società americana, che gestiva un canale televisivo digitale. Durante la mia esperienza, gradualmente sono venuto a conoscenza di come la nostra organizzazione funzionasse, nel suo complesso. Il proprietario era un grosso imprenditore di Philadelphia, del settore della plastica, che controllava una società americana, la quale a sua volta era proprietaria al 100% di una società olandese, che era proprietaria delle frequenze televisive. In Italia era stata aperta una società partecipata della società olandese, che formalmente forniva servizi a quest’ultima. L’ufficio italiano non era, secondo le norme vigenti, una "stabile organizzazione". In base ad un accordo di servizi, la società italiana fatturava alla società olandese una cifra mensile pari ad una percentuale dei costi per servizi forniti. Nei fatti, il nostro ufficio italiano era la struttura che preparava i programmi televisivi da mettere in onda su un network di livello mondiale, che opera anche in Italia. Inutile dire che la società olandese era una "scatola vuota", e non un vero canale televisivo… Invece, il network "cliente" su cui andavano in onda i programmi forniva solo le attrezzature per la messa in onda, pagando direttamente alla società olandese il prezzo dei programmi forniti mediante il nostro ufficio italiano. Solo per completezza, specifico che questo prezzo era ben diverso dal costo per servizi, da noi fatturato ogni mese alla società olandese. Questo consentiva al nostro gruppo ovvi benefici fiscali. Dopo oltre 2 anni dal mio arrivo (però molti colleghi lavoravano lì da 10-13 anni), tutto il gruppo è stato acquisito da un network americano, che ha chiuso la società italiana e "azzerato" il personale, avvisandoci con 2 settimane di anticipo. Per noi non c’è stata alcuna possibilità di difenderci, sia perchè eravamo meno di 15 dipendenti, sia perchè avremmo dovuto spiegare e dimostrare tutto il meccanismo che teneva in piedi il nostro ufficio, cosa non facile per noi, come si è potuto intuire da quello che ho scritto. Adeguate leggi e controlli costanti basterebbero per evitare situazioni del genere, perchè si tratta di meccanismi paradossalmente semplici da scoprire, che tuttavia nella loro semplicità hanno un impatto sulle entrate fiscali e soprattutto, purtroppo in molti casi, anche sulla vita quotidiana di chi lavora.

  3. Franco A.Grassini

    Ho l’impressione Cavazzuti abbia eccessiva fiducia nella trasparenza. Il problema vero dei gruppi piramidali non è quello di possibili transazioni a favore del controllante,bensì quello del limitato interesse economico del controllante nelle società ai livelli più bassi della piramide e, di conseguenza, nelle scelte di politica aziendale fatte nel suo interesse e non in quello dell’impresa. Inoltre i gruppi piramidali sono uno degli strumenti che hanno evitato il ricambio del nostro sistema economico e quindi la sua staticità. Ben vengano quindi regole generali e non settoriali che, come il ddl Zanda, facciano corrispondere diritti di voto al possesso integrale

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