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LA DELOCALIZZAZIONE NON BASTA

L’off-shoring effettuato dalle industrie manifatturiere italiane ha controbilanciato il rallentamento della produttività sperimentato negli ultimi tempi dalla nostra economia o invece ha contribuito ad ampliarlo? La tipologia di attività produttiva che viene delocalizzata sembra essere una discriminante importante. Utilizzando una misura diretta dell’attività di delocalizzazione della produzione si dimostra come questa ha solo parzialmente contrastato il rallentamento della crescita della produttività senza riuscire a invertire la tendenza.

La delocalizzazione internazionale delle attività produttive (off-shoring secondo la terminologia inglese) delle imprese manifatturiere è stata spesso al centro del dibattito politico per i possibili effetti negativi che la frammentazione internazionale della produzione potrebbe avere sull’occupazione nazionale. Ad esempio, negli Stati Uniti il timore che il forte incremento della delocalizzazione potesse influenzare negativamente la domanda di lavoro non specializzato, è stato uno dei temi caldi della campagna presidenziale del 2004. E non è nemmeno un caso che la ricerca accademica in tale ambito si sia concentrata prevalentemente sull’analisi di tali effetti. (1)

Delocalizzazione e produttività

La paura delle potenziali conseguenze negative dell’off-shoring sul mercato del lavoro, tuttavia, non fa emergere la vera ragione che spinge le imprese a delocalizzare all’estero la propria attività produttiva: la ricerca di guadagni di efficienza. Un lavoro di McKinsey (2) e una serie di studi effettuati da altre agenzie di business consultancy hanno dimostrato che l’off-shoring è stato un ingrediente fondamentale che ha permesso all’economia americana di sfruttare pienamente gli incrementi di produttività che hanno accompagnato la rivoluzione IT. In accordo con tale evidenza, Amiti e Wei (3), nella loro analisi sulle industrie americane, hanno rilevato che la delocalizzazione dei servizi e, in misura minore, della produzione di input intermedi è associata a guadagni di produttività. Simili correlazioni sembrano inoltre sussistere in Francia e in Germania nel settore manifatturiero e in Inghilterra e in Irlanda nel settore dei servizi alle imprese.
Negli ultimi anni, l’economia italiana è stata caratterizzata da un forte rallentamento della crescita della produttività e da un aumento del grado di apertura internazionale realizzato anche attraverso la delocalizzazione all’estero di attività manifatturiere precedentemente svolte dentro i confini nazionali. Sembra quindi naturale domandarsi se l’off-shoring effettuato dalle industrie manifatturiere abbia controbilanciato il rallentamento della produttività sperimentato negli ultimi tempi dall’economia italiana (4) o se invece abbia contribuito ad ampliarlo. Per rispondere a tale domanda, in un nostro recente lavoro, abbiamo analizzato empiricamente la relazione tra off-shoring e crescita della produttività nel settore manifatturiero italiano. (5)

I risultati per l’Italia

Complessivamente, i nostri risultati mostrano una chiara correlazione tra la delocalizzazione internazionale della produzione e la crescita della produttività del lavoro nelle industrie manifatturiere. Tuttavia, la tipologia di attività produttiva che viene delocalizzata sembra essere una discriminante importante. Infatti, mentre la correlazione tra off-shoring di input intermedi e crescita della produttività è positiva, la relazione tra delocalizzazione dei servizi e crescita della produttività è molto debole o in alcuni casi negativa.
I nostri risultati (tabella 1) indicano che nel settore manifatturiero un aumento nella quota di input intermedi importati (circa 0,7 punti percentuali all’anno nel periodo 1995-2003) può aver contribuito a un incremento annuo della produttività del lavoro tra 0,1 e 0,2 punti percentuali a seconda della specificazione statistica utilizzata. (6) Ciò significa che, in questo lasso di tempo, il ricorso all’importazione di input intermedi ha contribuito tra l’8 e il 16 per cento all’aumento annuo della produttività del lavoro del comparto, aumentata di 1,2 punti percentuali all’anno.
All’interno del settore manifatturiero, l’attività di delocalizzazione internazionale è stata trainata principalmente dalle industrie di confezione di articoli di vestiario e delle macchine per ufficio ed elaboratori. Nel periodo 1995-2003, il primo comparto ha registrato una variazione della quota di input intermedi importati pari a 4, punti percentuali annui, mentre la quota del secondo comparto è cresciuta di 3,6 punti percentuali all’anno. Il contributo potenziale di queste industrie all’incremento medio del tasso di crescita della produttività del lavoro settoriale è stato rispettivamente di 0,7 e 0,6 punti percentuali.
In sintesi, la nostra analisi dimostra che la delocalizzazione internazionale della produzione ha solo parzialmente contrastato il rallentamento della crescita della produttività senza riuscire a invertire la tendenza.

 

Misurare l’attività di delocalizzazione

Senza entrare nel dettaglio dei problemi metodologici relativi alla misurazione (7) dell’attività di delocalizzazione internazionale è importante sottolineare che la nostra analisi si basa sull’utilizzo delle tavole degli impieghi importati, recentemente rese disponibili dall’Istat. Attraverso l’uso congiunto di queste ultime e delle tavole degli impieghi totali è possibile valutare direttamente l’andamento del contenuto importato degli input produttivi e ricavare così una misura diretta dell’attività di delocalizzazione internazionale della produzione. (8)
Ciò costituisce un’importante innovazione rispetto alla metodologia impiegata fino ad oggi dalla maggior parte della letteratura (9) che, a causa della mancanza di dati relativi agli impieghi intermedi importati, ha fatto largo uso di una misura indiretta dell’attività di delocalizzazione basata sull’ipotesi che ciascuna industria importi input intermedi o servizi nella stessa proporzione degli altri comparti economici.
Il nostro lavoro si concentra in primo luogo sulla determinazione di una misura diretta dell’intensità dell’attività di delocalizzazione e, in secondo luogo, sull’analisi econometrica della relazione tra off-shoring e crescita della produttività, con l’obiettivo inoltre di verificare se l’impiego di una misura piuttosto che dell’altra abbia delle implicazioni economiche diverse.
I nostri risultati indicano che le differenze sono sostanziali. Infatti mentre emerge una correlazione positiva tra off-shoring di input intermedi e crescita della produttività utilizzando nell’analisi la misura diretta, tale correlazione scompare impiegando la misura indiretta.
La nostra analisi del caso italiano costituisce solo il punto di partenza di una ricerca più ampia rivolta anche ad altri paesi europei.

Tavola 1: Indice di delocalizzazione internazionale in senso stretto*: industrie manifatturiere italiane 1995-2003

   
  1995 2003 D(1995-03)
ALIMENTARI  BEVANDE 23.8 27.0 3.2
TABACCO 2.3 13.4 11.1
TESSILE 24.9 26.8 1.9
CONFEZIONI DI ARTICOLI DI VESTIARIO 15.7 49.3 33.6
CUOIO CALZATURE 23.4 31.6 8.2
LEGNO E PRODOTTI DEL LEGNO 22.1 22.2 0.1
CARTA CARTOTECNICA 57.1 50.3 -6.8
EDITORIA STAMPA 7.8 6.3 -1.6
PRODOTTI CHIMICI 62.4 73.9 11.5
GOMMA PLASTICA 17.6 18.2 0.5
MINERALI NON METALLIFERI 14.0 11.5 -2.5
METALLI E LEGHE 72.0 83.3 11.3
PRODOTTI METALLICI 9.6 8.6 -1.1
MACCHINE E  APPARECCHI MECCANICI 43.8 47.3 3.5
MACCHINE PER UFFICIO ELABORATORI 70.8 99.3 28.5
MACCHINE APPARECCHI ELETTRONICI 38.5 42.1 3.7
APPARATI RADIOTELEVISIVI 82.6 77.7 -4.8
APPARATI PRECISIONE OTTICI 57.1 64.9 7.9
AUTOVEICOLI RIMORCHI 60.8 58.9 -1.9
ALTRI MEZZI TRASPORTO 32.9 47.7 14.8
MOBILI ALTRI MANUFATTI 24.8 19.0 -5.9
INDUSTRIA MANIFATTURIERA 36.4 41.9 5.5

 

* L’indice di delocalizzazione in senso stretto è definito come il rapporto tra input intermedi importati e totali di prodotti provenienti dalla stessa industria che li utilizza, ossia è il rapporto tra gli elementi diagonali delle due matrici degli impieghi (vedi, Bracci, L. , “Una misura della delocalizzazione internazionale”, in Rapporto Ice, 2006).

Fonte: elaborazioni su dati Istat

(1) Feenstra R.C. e G.H. Hanson (1996), “Globalization, Offshoring and Wage Inequality”, American Economic Review, 86(2) e Feenstra R.C. e G.H. Hanson (1999), “The Impact of Outsourcing and High-Technology Capital on Wages: Estimates for the United States, 1979-1990”, Quarterly Journal of Economics, 114, 3
(2) McKinsey Global Institute (2004), Can Germany Win from Offshoring? e McKinsey Global Institute (2005), How Offshoring of Services Could Benefit France, McKinsey and Company.
(3)Amiti, M. e S.-J. Wei (2006), “Service offshoring and productivity: evidence from the United States”, Nber Working Paper w11926, gennaio.
(4) Un’analisi recente della situazione italiana è in Daveri e Jona-Lasinio (2005), disponibile su: http://ideas.repec.org/p/par/dipeco/2006-ep01.html
(5) Francesco Daveri e Cecilia Jona-Lasinio, “Off-shoring and productivity growth in the Italian manufacturing industries”. Luiss Lab of European Economics, Working Document n.53, ottobre 2007 e Università di Parma Discussion Papers, 2007-EP08, novembre 2007. Disponibile su: http://www.luiss.it/ricerca/centri/llee/publications.html oppure: http://ideas.repec.org/p/par/dipeco/2007-ep08.html.
(6) Si rimanda al lavoro citato in nota precedente per i risultati delle stime econometriche.
(7)Si veda Olsen (2006), “Productivity impacts of offshoring and outsourcing: a review”, Oecd Sti Working Paper, 2006/1, marzo.
(8)  Si veda Bracci L. , “Una misura della delocalizzazione internazionale”, in Rapporto Ice, 2006.
(9) Si veda Feenstra e Hanson (1996 e 1999).

Il testo inglese è disponibile anche su www.voxeu.com

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QUANDO L’IMMIGRATO VA IN CITTA’

  1. FRANCESCO COSTANZO

    Articolo molto interessante, mi piacerebbe sapere:

    1. In termini di prodotto interno lordo, quanta produzione del nostro paese è stata delocalizzata?

    2. Se è aumentata la produttività del lavoro ciò implica che il PIL relativo ai comparti esaminati è aumentato, esatto? Se si, di quanto è aumentato?

    3. Nei comparti esaminati, Vi risulta una correlazione tra delocalizzazione e aumento della disoccupazione in Italia? Se si, è possibile in qualche modo fare un “bilancio” tra gli effetti positivi e negativi della delocalizzazione ricavando un “effetto netto”?

    Grazie e saluti

    • La redazione

      Q1. In termini di prodotto interno lordo, quanta produzione del nostro paese è stata delocalizzata?
      A1. Non è facile saperlo. Quello che si può dire è che, riguardando soprattutto le imprese medio-grandi, interessa imprese che rappresentano circa il 6% degli occupati totali manifatturieri.

      Q2. Se è aumentata la produttività del lavoro ciò implica che il PIL relativo ai comparti esaminati è aumentato, esatto? Se si, di quanto è aumentato?
      A2. Purtroppo, una quantificazione di tali effetti è molto difficile. Se poi, come da noi rilevato, la delocalizzazione ha conseguenze occupazionali anche al di fuori dei confini delle imprese delocalizzatrici, non è escluso che ciò accada anche in termini di produttività, e la quantificazione delle variazioni di produttività nel comparto sarebbe ancora più ardua. Ad ogni modo, un simile esame va oltre i confini del nostro contributo.
      Q3. Nei comparti esaminati, Vi risulta una correlazione tra delocalizzazione e aumento della disoccupazione in Italia? Se si, è possibile in qualche modo fare un "bilancio" tra gli effetti positivi e negativi della delocalizzazione ricavando un "effetto netto"?
      A3. Da vari studi recenti sembra emergere una causazione tra delocalizzazione produttiva e riduzione (almeno temporanea) dell’occupazione presso le imprese delocalizzatrici. Alcuni nostri approfondimenti su dati ISAE confermano tale ipotesi ma stimano che la parte preponderante circa l’80%) dell’effetto negativo occupazionale
      totale della delocalizzazione  è quello indiretto, che avviene presso i subfornitori delle imprese delocalizzatrici.

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