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NESSUNA INFORMAZIONE DAL PARADISO

La vicenda Liechtenstein ha mostrato la pericolosità di un segreto bancario impenetrabile alle legittime richieste delle autorità fiscali nazionali. Ma per dimensione e rilevanza, il problema dei paradisi fiscali non può essere affrontato dai singoli stati, sulla base di accordi bilaterali, come quello che l’Italia cerca di stipulare con San Marino. Servono invece azioni multilaterali. Per esempio, l’Ocse ne ha messe in atto alcune dal 2000 al 2008. E ha ottenuto più trasparenza e maggiore disponibilità allo scambio di informazioni.

Che cosa è un paradiso fiscale? La definizione è tutt’altro che agevole.
Sono sicuramente paradisi fiscali i paesi con una tassazione nulla o puramente nominale, in cui risulta conveniente stabilire la sede di un’impresa (per esempio, una società offshore) che molto spesso non svolge alcuna attività economica sostanziale, a cui attribuire, attraverso diversi meccanismi elusivi, i profitti di altre società, così da evitarne la tassazione nei paesi dove effettivamente sono generati.

PARADISI PERICOLOSI

Sono poi paradisi fiscali quei paesi che, garantendo un segreto bancario impenetrabile, consentono di compiere transazioni coperte, nascoste agli occhi indiscreti del fisco del proprio paese.
Il Liechtenstein, ad esempio, rientra in questo secondo tipo di paradiso fiscale. È questa impenetrabilità che attira i capitali dall’estero e rende prospera l’industria finanziaria del paradiso ai danni degli altri paesi, permettendo ai residenti di questi ultimi di aggirarne le norme, di compiere cioè dei reati. Sia ben chiaro, non si tratta "solo" di evasione fiscale. I paradisi fiscali possono attirare denaro che proviene anche da altre attività illecite: quello che la criminalità organizzata ottiene dal commercio della droga o delle armi.
Si capisce quindi che i paradisi fiscali rappresentino un pericolo per gli altri paesi e che il loro grado di "pericolosità" sia in buona parte misurato dalla loro maggiore o minore disponibilità a fornire informazioni su movimenti di capitale che potrebbero avere natura illecita. D’altro lato, è proprio sulla scarsa disponibilità a fornire informazioni che si fonda la loro reputazione e ciò spiega quindi la loro resistenza a collaborare.
Anche nella migliore delle ipotesi, le informazioni che si ottengono dai paradisi fiscali sono informazioni a richiesta: relative cioè a singoli individui, a partire da ben istruite ipotesi di reato.
Questo non è però sufficiente per contrastare l’evasione fiscale. Tale contrasto richiede infatti un’azione di deterrenza, preventiva, che per essere efficace deve essere rivolta all’insieme dei contribuenti. Per tale finalità è vitale un accesso all’informazione su vasta scala.
Un tratto comune dell’azione di contrasto messa in atto, al proprio interno, da tutti i paesi che si impegnano seriamente su questo fronte, Stati Uniti in testa, è l’utilizzo di metodi finalizzati ad ampliare l’accesso del fisco alle informazioni, fra cui l’interconnessione delle banche dati in possesso delle amministrazioni pubbliche, la tracciabilità degli assegni, l’obbligo di trasmissione di dati imposto a soggetti terzi, eccetera.
Ma anche quando si vogliono contrastare fenomeni di dimensione internazionale la collaborazione fra paesi nel campo della trasmissione delle informazioni è fondamentale, altrimenti non resta che appellarsi a strumenti eccezionali. Si pensi al recente caso della lista di Vaduz, che ha visto la Germania ricorrere addirittura all’intelligence, non per stanare un singolo evasore, ma per acquisire dati su una rete di relazioni finanziarie sospette fra i cittadini del proprio paese e il vicino paradiso fiscale.

L’EUROPA DELLE TRIANGOLAZIONI

Due esempi possono aiutare a capire la dimensione internazionale del problema.
1) In risposta alla liberalizzazione dei movimenti di capitali, tutti i paesi dell’Unione Europea avevano progressivamente eliminato la tassazione sugli interessi percepiti da soggetti non residenti. In questo modo ognuno di essi era divenuto paradiso fiscale nei confronti degli altri: l’italiano che investiva in Italia era tassato sugli interessi percepiti; non lo era invece se investiva in qualsiasi altro paese europeo, perché lì non c’era alcun prelievo sui non residenti. Per arginare questo fenomeno, l’Unione Europea, al termine di un percorso durato circa quindici anni, ha introdotto una direttiva che rende possibile la tassazione da parte del paese di residenza, grazie a uno scambio di informazioni automatico, che riguarda cioè tutti i cittadini e tutti i pagamenti di interessi. Ma questa direttiva, pure molto importante, ha un tallone d’Achille: per funzionare deve coinvolgere non solo i paesi dell’Unione, ma anche quelli con cui esistono maggiori relazioni finanziarie, dalla Svizzera a Monaco, a San Marino al Liechtenstein. Con questi paesi alcuni accordi sono stati raggiunti, ma come dimostra il recente dibattito in sede Ecofin, c’è ancora molta strada da fare.
2) Molte delle frodi che riguardano l’Iva avvengono attraverso operazioni triangolari che coinvolgono più paesi. Le operazioni si avvalgono dell’interposizione di una terza società fittizia fra le due coinvolte nella transazione oggetto di tassazione. Per combattere questo tipo di evasione è necessaria una cooperazione fra paesi che si fondi proprio su quello scambio di informazioni che così difficilmente si riesce a ottenere dai paradisi fiscali.
Non è un caso che proprio su questo delicato terreno si incontrino le difficoltà più forti a raggiungere l’accordo fra il nostro paese e San Marino che dovrebbe portare quest’ultimo a non essere più incluso fra i paradisi fiscali. San Marino, infatti, è disponibile a offrire la sua collaborazione nella lotta alle frodi fiscali solo in casi molto circostanziati, a fronte di indizi chiari e precisi, ed è anche molto determinato a non aderire alla richiesta di collaborazione nelle azioni di contrasto all’evasione dell’Iva, specie se messe in atto attraverso operazioni di triangolazioni o altre simili.
Data la sua dimensione e rilevanza, il problema dei paradisi non può essere affrontato dai singoli stati, sulla base di accordi bilaterali, ma richiede azioni multilaterali, quali quelle messe in atto dall’Ocse: fra il 2000 e il 2008 ha ottenuto da tutti i paradisi fiscali contro cui ha ingaggiato la sua battaglia (a eccezione di Andorra, Liechtenstein e Monaco) primi accordi su maggiore trasparenza e più ampia disponibilità allo scambio di informazioni.

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LA CINA E LA CRESCITA

  1. as

    …Mi pongo cinque domande in margine allo scandalo evasione in Liechtenstein. 1-Il principio della libera concorrenza tra i paesi, uno dei cardini della globalizzazione, in base al quale i capitali si spostano e vanno là dove sono meglio remunerati (o, nella vicenda in esame, là dove sono meno tassati, ma è la stessa cosa in sostanza) perché ora non vale più? 2- I mezzi utilizzati dal Governo tedesco, quali le spie corrotte con denaro pubblico al fine di acquisire dati rubati, per "scovare gli evasori" sono accettabili in uno stato democratico di diritto? (ed i mezzi non sono altro che i fini immediati, secondo Popper). 3-La probabile messa alla gogna, con l’indicazione al pubblico ludibrio come colpevoli di lesa maestà (fiscale) delle persone che hanno investito le loro ricchezze nei cosiddetti paradisi fiscali, come si concilia con il dovere da parte della pubblica amministrazione di attenersi al rispetto della riservatezza dei dati personali? 4- Il garantismo, ovvero la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva di condanna dopo un giusto processo davanti ad un giudice terzo, indipendente e imparziale nel contraddittorio in condizioni di parità tra le parti e con l’onere della prova a carico dell’accusa vale solo in materia penale e non anche in materia fiscale, dove è sempre in gioco la libertà personale degli individui ed il potere coercitivo dello Stato? 5-Ogni paese ha il diritto di organizzarsi giuridicamente in modo indipendente dagli altri e nelle modalità che ritiene più opportune, anche, eventualmente, prevedendo il segreto bancario entro i suoi confini oppure dobbiamo definitivamente rinunciare al principio di sovranità nazionale?

  2. as

    3-La probabile messa alla gogna, con l’indicazione al pubblico ludibrio come colpevoli di lesa maestà (fiscale) delle persone che hanno investito le loro ricchezze nei cosiddetti paradisi fiscali, come si concilia con il dovere da parte della pubblica amministrazione di attenersi al rispetto della riservatezza dei dati personali?
    4- Il garantismo, ovvero la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva di condanna dopo un giusto processo davanti ad un giudice terzo, indipendente e imparziale nel contraddittorio in condizioni di parità tra le parti e con l’onere della prova a carico dell’accusa vale solo in materia penale e non anche in materia fiscale, dove è sempre in gioco la libertà personale degli individui ed il potere coercitivo dello Stato?
    5-Ogni paese ha il diritto di organizzarsi giuridicamente in modo indipendente dagli altri e nelle modalità che ritiene più opportune, anche, eventualmente, prevedendo il segreto bancario entro i suoi confini oppure dobbiamo definitivamente rinunciare al principio di sovranità nazionale?
    FINE

  3. silvia leo

    Si, ma a proposito degli accordi multilaterali non ne esistono più da tempo. Sono più frequenti quelli bilaterali tra Italia e gli altri stati. Questo tema, insieme a quello dell’elusione, evasione e interposiizone fittizia è uno dei tanti dibattiti che spesso si affronta nelle aule universitarie…

  4. Samn

    Sarei interessato a sapere qual è l’effettiva convenienza degli Stati principali a permettere l’esistenza di questi paradisi fiscali. Perchè è evidente che se l’azione di contrasto fosse portata avanti da tutti i principali Paesi al mondo (UE, Usa, Russia, Giappone forse in futuro anche Cina, tutti con problemi di criminalità organizzata e di evasione fiscale) questi paradisi fiscali, in quanto tali, cesserebbero di esistere. L’unica cosa cui potrei pensare è che i politici a capo di questi Paesi abbiano loro stessi conti o siano estremamente soggetti all’azione di lobbying portata avanti da chi ne ha…

  5. Adriano Sala

    Credo che le domande poste da as siano molto appropriate. Aggiungo solo una considerazione: il miglior modo di combattere l’evasione fiscale è spendere bene le tasse raccolte. Ma su questo argomento gli stati ci sentono poco, i politici italiani sono addirittura sordi. Qualche esempio? le liste di attesa per una visita specialistica, le carceri piene e istituti di pena non ultimati e abbandonati, i rifiuti di Napoli e chi ha sbagliato resta al suo posto, ospedali fatiscenti con direttori che non cambiano mestiere, tasse che sono vanificate dai costi di riscossione. Potrei continuare. Cito solo un’affermazione di Luigi Einaudi: “Gli stati strappano le tasse con la forza, ma poi devono meritarsele moralmente”. Se i governanti tenessero a mente questa affermazione, i paradisi fiscali sarebbero frequentati per lo più da riciclatori e allora la musica cambierebbe per San Marino &C.
    Cordialità

  6. DVD

    Ritengo che sia meglio domandarsi perchè ci sono i paradisi fiscali.!? Ci sono perchè conviene. Semplice. Se a livello europeo ci si accordasse circa una sorta di Flat Tax per certe attività credo che ogni persona di buon senso non si darebbe troppo da fare per cercare di "evadere" sì anche da sbaragliare meglio il campo, differenziando chi deve "coprire" attività illecite come droga, estornioni, ecc…, e chi invece non terrebbe tale comportamento se la tassazione della sua "Holding", grande o piccola che sia fosse tassata con la famosa Flat tax di cui sopra (es. 25%). Dire poi anche che di solito queste sono scatole vuote non vuole dire nulla le Holding ci sono sempre state e sempre ci saranno bisogna appunto vedere dove!

  7. Federico

    Mi pare di poter condividere AS; non vedo infatti quale sia la difficoltà a consentire che una stato ben organizzato possa far pagare poche tasse ai propri cittadini. Che tutti poi in nome della tanto citata libera circolazione delle persone e delle attività cerchino di usufruirne non mi pare uno scandalo. Questo vale a maggior ragione per chi deve subire uno Stato come il nostro che, quando soccombe davanti alle decisioni della Corte Costituzionale, non trova di meglio che modificare, a suo vantaggio e con effetto retroattivo, una norma di legge. Mi riferisco, è ovvio, alla vicenda delle "cartelle mute" per cui vale la acuta domanda di Libero Mercato del 29.02.08: "I Furbetti. A Vaduz o all’Erario"?

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