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IL PAESE DEI MICRO-COMUNI

Siamo i soli in Europa ad aumentare organismi comunali e provinciali anziché ridurli di numero, e di costo. Le province, accusate da decenni di pratica inutilità, sono balzate da una novantina a oltre cento. I comuni, che nel 1951 erano 7.810, mezzo secolo più tardi risultano 8.101. Ma la riorganizzazione della rete comunale è un compito storico, sul quale le nostre Regioni dovrebbero cominciare a lavorare con la solerte attenzione, per esempio, dei Laender tedeschi. Ma chi avrà il coraggio di affrontare il radicatissimo municipalismo italiano?

Nel nostro paese esistono ancora centinaia di micro-comuni. Ve ne sono con meno di cento abitanti: 45, in montagna, in collina e pure in pianura. Il più piccolo è il comune di Pedesina, in provincia di Sondrio, con appena 32 residenti. Meno di un modesto caseggiato. Fra le riforme possibili, v’è anche questa, riproposta da Walter Veltroni in campagna elettorale, cioè l’accorpamento dei micro-comuni, di quelli almeno che stanno sotto i mille residenti. I quali ammontano oggi a 1.963, addirittura un quarto del totale nazionale arrivato a 8.101.

UNA QUESTIONE SECOLARE

Si tratta in realtà di una questione più che secolare. All’alba dell’Unità d’Italia Giuseppe Mazzini propose che i Comuni italiani fossero non più di mille. Un disegno di legge in proposito lo presentò, nel 1860, nel quadro di una generale riforma delle autonomie, Luigi Carlo Farini, all’epoca ministro dell’Interno. Progetto poi ripreso da uno dei leader della Destra Storica, Marco Minghetti: accorpamento dei comuni con meno di mille abitanti e regioni quali consorzi di province. Con esiti scarsi. Ci provò anche Mussolini, e, usando la forza non contestabile dell’autorità centrale, in parte ci riuscì eliminando circa duemila comuni e dando vita alla “grande Milano” (che poi tanto grande non è) e alla “grande Genova”. Tuttavia, dopo la Liberazione, una parte di quei comuni forzosamente accorpati dal centro ripresero la loro medioevale fisionomia.

LE REGIONI PIÙ FRAMMENTATE

In effetti la dimensione territoriale dei nostri comuni è, più o meno, quella del Medio Evo e cioè la distanza che il viandante poteva percorrere a piedi nelle ore di luce (sulle strade di allora).
La Lombardia conta oggi ben 1.546 comuni dei quali 146 sotto i 500 abitanti e 340 sotto i mille, e il Piemonte ne ha 1.206. Queste sono le regioni più frammentate. In Lombardia anche in pianura: v’è, fra gli altri, il comune di Maccastorna nella piana verso il Po, con appena 90 residenti. Se mettiamo a confronto due province geograficamente omogenee (montagna, collina e pianura) di due diverse regioni, Pavia e Modena, la prima registra ben 190 comuni e la seconda soltanto 47. Dopo Lombardia e Piemonte, sono Veneto e Campania ad avere un elevato numero di comuni, ma siamo, rispettivamente, a 581 e a 551. Notevolmente polverizzata risulta pure la Liguria, con 235 comuni (47 dei quali sotto i 500 residenti) per una superficie complessiva però di neppure 520mila ettari, meno della sola provincia di Trento.
Poiché i comuni “totalmente montani” risultano da noi 3.541, cioè il 44 per cento del totale (con quelli “parzialmente montani” si supera la metà), le comunità montane avrebbero potuto, e dovuto, assumere le funzioni principali dei micro-comuni, nelle terre alte assai diffusi, lasciando loro i gonfaloni, gli stemmi e poco più, e presentandosi come un organismo amministrativo in grado di programmare interventi strutturali. Èprovato che i tanti micro-comuni garantiscono a stento la sopravvivenza avendo assai poco da investire in opere e in servizi sociali. Che mi risulti, nessuna Regione ha però intrapreso con energia questa utile strada, la quale avrebbe portato la montagna a gestioni più forti, più attente ai bisogni e anche più resistenti alle seduzioni molto concrete della speculazione edilizia. Le comunità montane si sono invece moltiplicate, in modo grottesco, arrivando sino al livello del mare, e finendo, in parte, sotto la scure virtuosa delle recenti riduzioni di spesa.

LA VIRTUOSA TOSCANA E L’EUROPA

Gli accorpamenti giudiziosi di micro-comuni avrebbero gradualmente reso inutili le stesse province le quali, se hanno una ragion d’essere, ce l’hanno laddove è maggiore la polverizzazione comunale. Vi sono regioni invece dove l’esigenza di fondere o integrare piccoli comuni appare meno pressante. In Toscana la rete municipale fu oggetto di una consapevole riforma a metà Settecento, affidata dal Granduca di Lorena a un grande studioso, Pompeo Neri, il compito di ridisegnarla sulla base dei nuovi punti di forza del territorio. Compito che il Neri doveva realizzare anche in Lombardia dove però poté portare a termine soltanto il mirabile catasto teresiano.
Negli altri paesi europei c’è stato un grande fervore riformatore in materia nell’ultima parte del Novecento. Nella Germania Federale i comuni erano addirittura 24.476. Ogni Land ha utilizzato le ricette ritenute più convenienti per gli accorpamenti. In Baviera è stato individuato un comune-guida per ogni comprensorio sul quale intervenire affidando a esso i compiti fondamentali dell’amministrazione. In Renania-Westfalia invece si è proceduto a fusioni vere e proprie con l’obiettivo di base di creare comuni con almeno 5mila residenti nelle aree agricole e con almeno 25mila in quelle industriali. Obiettivo raggiunto.
Nel Canton Ticino esistono dal 1995 opportuni incentivi alle fusioni: così 45 comuni si sono uniti in 15 nuove aggregazioni amministrative. In Danimarca hanno ridotto i comuni da 1.388 a 275 (e le province da 22 a 14), in Belgio da oltre 2.500 a meno di 600, nel Regno Unito – dove una opportuna riforma di County Boroughs e County Council era stata introdotta già nel 1888 –  da 1.830 autorità locali si è scesi a 486.
Siamo dunque i soli in Europa ad aumentare gli organismi locali e provinciali anziché ridurli di numero (e di costo). Le province, accusate da decenni di pratica “inutilità”, sono balzate da una novantina a 104. I comuni, che nel 1951 erano 7.810, mezzo secolo più tardi risultano 8.101, dei quali il 56 per cento al Nord, meno del 13 per cento al Centro e il restante 31 per cento nel Mezzogiorno, con una preoccupante polverizzazione in Calabria (409 comuni dei quali 58 sotto i mille abitanti), in Sicilia e in Sardegna. Lo stesso piccolo Molise conta un numero di comuni quasi pari a quello del Lazio, vasto oltre quattro volte di più.
Insomma, un compito storico, questo della riorganizzazione della rete comunale, per il quale, dopo quasi quarant’anni, le nostre Regioni dovrebbero cominciare a lavorare con la solerte attenzione, per esempio, dei Laender tedeschi. Vent’anni fa Massimo Severo Giannini invocò di nuovo la misura mazziniana della riduzione a mille dei comuni italiani. Invano. Chi ci riproverà? Chi avrà il coraggio di affrontare il radicatissimo municipalismo italiano?

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26 commenti

  1. Angelo

    Detta così sembra perfettamente logica: riuniamo i piccoli comuni e quindi riduciamo la spesa. In realtà, l’accorpamento comporta la centralizzazione di quei servizi sul territorio che spesso fanno la differenza tra l’esistenza e l’estinzione di alcune piccole comunità, in particolare nelle aree montane. Qui si aprirebbe un grande capitolo, quello di chi è o non è in montagna: criteri di altitudine, di disagio o di mera convenienza? In realtà il presidio del territorio riduce notevolmente i costi pubblici di mantenimento ed è quindi un obiettivo prioritario, se non si vuole pagare il filo del dissesto e del degrado. Propongo di riflettere sulle complicazioni burocratiche che hanno interessato la pubblica amministrazione, laddove un comune che aveva 1000 abitanti nel 1970 aveva 3 dipendenti, mentre oggi con la metà dei residenti ha dodici persone a libro paga.

    • La redazione

      E’ vero, la presenza umana nelle terre alte è stata per secoli fondamentale per manutenere un sistema idraulico-forestale fatto "a mano" nei secoli (si pensi al monumentale terrazzamento dalla Valtellina a Noto). Purtroppo però il piccolo Comune con 30-40 abitanti, per lo più anziani, non è in grado di fare nulla per arrestare lo sfacelo di quell’essenziale sistema. Per il quale occorrono altri interventi, altri incentivi, per esempio quelli previsti dai Parchi nazionali o regionali, con cooperative giovanili, ecc. Se gli Enti Parco potessero assumere tutta una serie di poteri oggi frantumati fra decine di Comuni (oltre tutto debolissimi nei confronti del primo speculatore che passa) credo che le cose andrebbero meglio.

  2. franco miglorini

    Solo per completezza del panorama europeo. La Francia di comuni ne ha oltre 30.000 e non si è mai azzardata a toccarli, in compenso ha predisposto una amministarzione dello stato efficiente, ancorchè piuttosto centralizzata con le sue prefetture, i dipartimenti e i suoi ministeri, ma ha saputo creare organismi periferici volontari, come le 51 Agence d’Urbanisme che provvedono alla gestione di gran parte delle realtà urbane importanti, mentre le regioni sono state create più di recente ma sono molto meno importanti che in Italia. Dunque a voler cercare soluzioni in Europa troviamo già tutto.

    • La redazione

      La Francia, come lei riconosce, è stata sino a ieri, e in buona parte lo è ancora, uno Stato fortemente accentrato in cui contava soprattutto Parigi, mentre gli enti locali erano terminali molto flebili del potere centrale. Da noi siamo da anni in mezzo al guado, con le Regioni avremmo dovuto snellire, qualificare e rafforzare il centro, come in Germania. Non lo abbiamo fatto, le Regioni anziché prograsmmare e indirizzare, hanno gestito o sub-delegato funzioni delicate (come la tutela del paesaggio) e siamo nei guai, temo, più neri, con uno scontento generale, una speculazione edilizia galoppante e rischi seri per la stessa "tenuta" nazionale. Problema che la Francia non si sogna nemmeno di avere.

  3. g. carbone - reggio emilia

    E’ impossibile abbattere i piccoli comuni (purtroppo!). Bisogna giocare d’astuzia. Svuotarli di poteri. Abolire le province solo dove si possono fare le città metropolitane. Aumentare poi le altre Province secondo un criterio razionale. Ai comuni lasciare l’anagrafe, lo stato civile e simili. Senza consiglio comunale e con una giunta con pochi componenti, ma con il sindaco componente del consiglio di queste nuove province alle quale trasferire tutti i poteri sull’area vasta di competenza, abolendo anche comunità montane, associazioni, fondazioni ecc. con consigli di amministrazione che distribuiscono solo indennità di carica sostituendole con aziende di gestione di servizi pubbli che rispondono alla giunta provinciale. Dunque un livello istituzionale su Regione, città metropolitana, nuove Province di cui gli attuali comuni, pur rimanendo formalmente tali, ne sono sostanzialmente articolazione. Sogni….vero…

  4. Francesco Sandroni

    La logica della razionalizzazione delle municipalità, a parte i casi estremi e indifendibili, è una logica che non funziona. I comuni (e le provincie, ma non le Regioni) in Italia non sono solo degli organi periferici della pubblica amministrazione, sono comunità che esprimono significati identitari, rappresentano un vissuto carico di senso che condiziona la stessa efficacia dell’azione amministrativa. Pensare di utilizzare un criterio di razionalizzazione esogeno alle logiche comunitarie del vissuto territoriale, se comporta una diminuzione dei costi assoluti, rischia di peggiorare i risultati di un’analisi costi-efficacia. Sembra strano che economisti accorti come voi tengano conto solo dei costi senza analizzare i loro rapporti con i benefici.

    • La redazione

      I benefici della micro-dimensione comunale francamente non li ho mai percepiti molto pur avendone conosciuti e praticati tanti. C’è più democrazia partecipata? Molto spesso una o due famiglie si spartiscono per anni e anni il controllo del piccolo Comune. Lo sosteneva nell’800 Carlo Cattaneo in opposizione a Mazzini. Io continuo a credere che avesse ragione il secondo. Certo è che la Toscana, razionalizzata dall’illuminista Pompeo Neri a metà Settecento, presenta una maglia comunale razionale e solida. Sono un inguaribile illuminista? Può darsi e però i dati concreti del buongoverno non pendono dalla parte dei micro-Comuni, neppure sul piano politico.

  5. renato foresto

    In provincia di Torino ci sono 64 Comuni con popolazione da 500 a 1000 abitanti. Per dare i loro servizi la metà dei più piccoli (tra i 500 e 756 abitanti) spendono in media 643 € per abitante mentre l’altra metà soltanto 544. Ma nel gruppo dei minori ve ne sono 8 che spendono di meno di 544. C’é senz’ altro una spaccatura dovuta alla dimensione ma é evidente un’altra spaccatura dovuta all’efficienza-inefficienza e altra ancora, tutt’altro che trascurabile, al diverso ammontare dei Trasferimenti di Stato e della Regione e del gettito ICI.

    • La redazione

      Non esistono, a quanto ne so, molte indagini approfondite e aggiornate sul rapporto fra dimensione dei Comuni ed efficienza/efficacia di quella spesa pubblica. Una indagine ormai lontana della Cariplo metteva in chiara evidenza che i Comuni minori impiegano le risorse – proprie e derivate – essenzialmente per la sopravvivenza, mentre i Comuni medi e grandi possono impiegarle in opere infrastrutturali e in servizi di primaria importanza.

  6. Luca Guerra

    La mia convinzione è che siano i comuni a dover essere aboliti e non le provincie, facendo confluire i primi nelle seconde, in quanto vi sono troppi micro comuni, vi sono molti comuni piccoli che già devono costituirsi in consorzi di comuni e per alcune entità si parla di città metropolitana, ovvero di raggruppamenti di comuni. Questo sarebbe un grande cambiamento, sopratutto di mentalità, che forse ci porterebbe ad una parallela crescita delle medie imprese, degli accorpamenti degli studi professionali micro (il precedente governo aveva timidamente intrapreso qualche passo in questa direzione), insomma ritengo sarebbe un gran cambiamento ed in meglio.

    • La redazione

      In qualche regione, peraltro non molto frantumata, come l’Emilia-Romagna vennero disegnati comprensori omogenei i quali avrebbero dovuto sostituire sia le Provincie che i singoli Comuni. Purtroppo non sono mai decollati. Il sentimento di appartenenza municipalistica è assai più forte di ogni altro sentimento, anche di quello nazionale (oggi peraltro in  crisi). Sono invece decollate imprese di servizi pubblici a dimensione sovracomunale sempre più vasta.

  7. ecomostro

    Secondo me basta evidenziare due soli dati numerici contenuti nell’articolo per capire quale è il problema: – numero totale dei Comuni in cui è suddivisa la Calabria: 409 – numero totale di Comuni in cui è suddiviso il Regno Unito: 486. Ogni commento è superfluo.

  8. Stefano D'Andrea

    In effetti, con le attuali capacità di comunicazione e di trasporto, la frammentazione del territorio è decisamente ridicola (basti pensare che il 72% dei comuni italiani ha una popolazione inferiore a 5.000 abitanti). Penso che un’organizzazione ottimale dovrebbe comprendere 300 o 400 comuni/provincia, ciascuno con una popolazione intorno a 150.000 abitanti. Si avrebbero economie di scala, minori campanilismi e, anche, la possibilità di formare un’ampia classe di amministratori esperti, capace di alimentare i quadri politici nazionali. Mentre i disagi per i cittadini non sarebbero superiori a quelli che già oggi affronta chi, come me, abita in una grande città (vivo in una circoscrizione che da sola ha più di 200.000 abitanti) e che, per raggiungere un ufficio comunale, spesso impiega un tempo sufficiente per percorrere una cinquantina di chilometri su strade extraurbane.

  9. Stefano D'Andrea

    Considerate le attuali capacità di comunicazione e di trasporto, la frammentazione del territorio appare decisamente ridicola (basti pensare che il 72% dei comuni italiani ha una popolazione inferiore a 5.000 abitanti). Penso che un’organizzazione ottimale dovrebbe comprendere 300 o 400 comuni/provincia, ciascuno con una popolazione intorno a 150.000 abitanti. Si avrebbero economie di scala, minori campanilismi e, anche, la possibilità di formare un’ampia classe di amministratori esperti, capace di alimentare i quadri politici nazionali. Mentre i disagi per i cittadini non sarebbero superiori a quelli che già oggi affronta chi, come me, abita in una grande città (vivo in una circoscrizione che da sola conta più di 200.000 abitanti) e che, per raggiungere un ufficio comunale, spesso impiega un tempo sufficiente a percorrere una cinquantina di chilometri su strade extraurbane.

    • La redazione

      Credo che la Costituzione affidi saggiamente alle Regioni – come in Germania Bonn (ora Berlino) lo affidò ai Laender – il compito di portare avanti questa complessa riforma, tanto più complessa in un Paese dove i Comuni hanno radici profondissime, più forti dello Stato (per non parlare delle Regioni). Ogni Regione dovrebbe tener conto della situazione data e della propria orografia: è chiaro che è facile accorpare Comunelli di pianura (e in Lombardia non mancano certo), mentre è più difficile fondere quelli di alta montagna. Però qualcosa di serio si può, si deve cominciare a fare in quella direzione. Con attenzione e gradualità.

  10. giloc

    In Francia, con una popolazione simile a quella italiana, i comuni sono 35000.

  11. Comma22

    Confermo e sottoscrivo, noi italiani più che una attitudine al federalismo siamo portati alla "municipalità, fino al ridicolo, vi sono municipi la cui popolazione non raggiunge le 150 persone! Nella mia Regione (Sardegna), da 4 Provincie siamo passati ad 8, per cui vi sono Provincie con meno di 80.000 abitanti. La provincia di Olbia ha perfino due capoluoghi per ragioni di campanilismo. Non si creda che sia un dato del solo sud, c’è stato un proliferare di provincie un pò in tutta Italia; risultato: moltiplicazione o sovrapposizione di enti, maggior costo della politica, aumento di personale a carico della collettività.

  12. FRANCESCO COSTANZO

    Ritengo che questa grande opera riformatrice potra essere affrontata quando si parlerà concretamente di federalismo. Dato il risultato delle elezioni, l’occasione sembra propizia. Personalmente, ritengo che, purtroppo, nessuno dei partiti, nè quelli che saranno presto alla guida del paese, nè quelli di opposizione, abbia uomini di Stato di tale capacità da affrontare una riforma così impegnativa. La mia paura (stando a quanto dichiarato da Bossi) è che il federalismo che si metterà in piedi sarà "frettoloso" e mirato a decidere come "spartirsi la torta" delle entrate fiscali, piuttosto che a stabilire come ridurre il peso della costosa burocrazia statale. Temo un "orrendo papocchio", ci vogliono ben altri politici per ottenere i risultati che l’Italia chiede.

  13. Mauro Molinaris

    Le provincie servono solo a collocare i politici “trombati”. E poi l’abolizione delle provincie è nel programma sia del centro-destra che del centro-sinistra. Insomma è proprio giunto il momento di attuare questa prima grande riforma! Per quanto riguarda le comuninità montane questa è una altra istituzione utile solo per trovare posti pubblici agli amici (basta leggere alcune pagine del Libro “La Casta” per rendersene conto), ed andrebbero abolite subito anch’esse! La parola d’ordine deve essere semplificare, semplificare, e semplificare, abolire, abrogare, accorpare. Di fronte ad un problema il politico capace lo risolve, l’incapace fa una legge, e così oggi ci ritroviamo con un mare di problemi in mezzo ad un’oceano di leggi (21.000)!

    • La redazione

      Non sarei così drastico, le Province hanno, o potrebbero avere un ruolo, nelle regioni, come Lombardia, Piemonte e Liguria, dove c’è u na enorme polverizzazione dei Comuni. Soprattutto nelle prime due una istituzione intermedia fra i tanti micro-Comuni e la Regione può risultare, almeno in via transitoria, utile. Purché si proceda all’accorpamento dei Comuni più piccoli. Cosa che nessuno invece fa. Neppure per gradi.
      Il nostro Paese non ha ereditato il pragmatismo del diritto romano bensì il formalismo del diritto bizantino. E’ vero che pensiamo di risolvere tutto con una legge o una leggina. Ugo La Malfa sostenne l’utilità delle Regioni le quali avrebbero liberato le Camere dal peso di una legiferazione assurda che ricomprendeva persino "i colori delle divise della banda di Barletta". Purtroppo hanno continuato a legiferare le Camere e hanno cominciato a legiferare le Regioni…

  14. Massimo Ribaudo

    In Italia, per troppo tempo si è parlato soltanto della sussidiarietà orizzontale. Torniamo a quella vera: quella che dalle istanze del singolo giunge alle istanze di ampiezza comunitaria. Così si potrebbe fondare una corretta rappresentazione delle competenze amministrative e politiche. Di fronte alla competenza vi deve essere una capacità di spesa. Con l’attuale localismo assisteremo all’esplosione delle associazioni di quartiere. All’aumentare vertiginoso di particolarismi comunali. Nessuno può arrestare per legge questa tendenza. Toqueville e Olivetti vedono nello spirito comunitario un virtuoso bilanciamento degli eccessi della società di massa. Basta che i localismi si paghino le proprie sperimentazioni e i propri fallimenti. Bisogna instaurare il passaggio da tassa a tariffa di tutti i servizi pubblici. Hanno voluto il darwinismo sociale ? Che ne si provi l’ebbrezza. Mi scuso per i toni. Ma siamo nel maggioritario. Si è fatta una scelta. La sinistra o sarà federalista (proseguendo il cammino iniziato con la riforma del titolo V della Costituzione) o perderà per i prossimi venti anni. E le province aumenteranno. Si chiameranno aree vaste. Ma aumenteranno.

  15. Simone Magnani

    Nelle parole indorate dei loro programmi, tutte le parti politiche si impegnano per una razionalizzazione degli enti pubblici territoriali. Poi singoli esponenti di tanti partiti cercano un facile tornaconto elettorale ponendosi come paladini di questo e quel territorio. "L’Onorevole Taldeitali è l’unico che ci ha portato nuovi posti di lavoro… ha fatto addirittura istituire una nuova provincia/comunità montana/entinutilivari…". Facile prendersela con questi politici. Ben più difficile è fare capile agli italiani che il piccolo vantaggio personale (a spese di tutti) è un cancro da estirpare. Questo dovrebbe essere fatto con un meccanismo che incentivi i cittadini a pensare in grande. Se i costi di una amministrazione pubblica (per esempio una parte degli stipendi degli impiegati comunali) fossero chiesti come tassa ai cittadini residenti, tanti comincerebbero a chiedere a gran voce una razionalizzazione e un risparmio. Nessuno vuole spazzare vie identità, tradizione e folklore delle mille (ottomila?) piccole italie. Ma è ora di tagliare le spese inutili.

  16. mario

    Per quanto riguarda la cancellazione delle provincie sono completamente d’accordo in quanto sono ormai enti inutili e ripetitivi (se non in opposizione) ad interventi deliberati ed eseguiti dalle regioni. Per i piccoli comuni, sopratutto montani, dovrebbero essere attuati contatti informatici tra le piccole comunità accorpate per evitare ai cittadini, anche per le più banali esigenze di documenti, spostamenti anche di parecchi chilometri per notevole perdita di tempo e denaro. Quindi in ogni comune soppresso dovrebbe essere istituita una minima struttura che, collegata ad un centro informatico generale, comprensivo di tutti i dati riguardanti i passati comuni soppressi, possa dare una risposta sollecita e precisa alla richiesta dei residenti.

  17. Dario Tomasello

    Ho scritto nel 2006 un articolo in merito all’abolizione delle amministrazioni comunali, sostenendo l’idea dell’impossibilità in Italia di tale operazione in quanto tutte le caste, tra cui quella politica, quella sindacale e quella dei giornali, traggono nutrimento da questo enorme dispendio di risorse economiche a danno del cittadino. Sono sempre più convinto della mia posizione. Poichè la mia idea era inedita, sono stato etichettato allora come qualunquista, anarchico e sovversivo. forse oggi queste posizioni così conformiste stanno venendo meno.

  18. Nicola Rebecchi

    E’ da condividere la riflessione. Ancor più dell’abolizione delle provincie, che pure sono proliferate troppo negli ultimi anni, sarebbe meglio ovviare attraverso la fusione dei Comuni. La Regione Emilia-Romagna ha dapprima incentivato le associazioni intercomunali ed oggi, visti i risultati, tutto sommato incoraggianti ma insufficienti, ha deciso di finanziare soltanto le unioni tra Enti locali. Il pregio è quello di un integrazione maggiore fra gli Enti locali. Il rischio è che le unioni sono autonome giuridicamente e quindi si crea un nuovo soggetto pubblico, con tutto ciò che ne consegue, inclusa la duplicazione di cariche amministrative e tecniche. La vera soluzione starebbe nella fusione tra gli enti locali, di realtà economiche e sociali omogenee, creando accorpamenti che consentano reali economie di scala. L’accorpamento consente la rappresentanza politica dei vari enti locali fusi assieme pure riducendo il numero di amministratori comunali. Difficile che questo avvenga, vista la fine ch ha fatto la proposta di riduzione dei consiglieri comunali contenuta nella bozza di Legge finanziaria per il 2008.

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