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COMUNI IN FUGA

Sempre di più i comuni che cercano di staccarsi da una Regione a statuto ordinario. Ovviamente per beneficiare del più favorevole regime finanziario di quelle a statuto speciale. Perché resiste una incomprensibile e anacronistica disparità di trattamento fra le une e le altre. Un problema che dovrà essere affrontato dal nuovo governo. E se il progetto della Lombardia prevede di applicare a tutte un meccanismo di finanziamento simile a quello delle Regioni speciali, sarebbe sbagliato discuterne senza porre la questione della riforma del regime finanziario di queste ultime.

Sono sempre più numerosi gli enti che hanno deciso di avviare l’iter che l’articolo 132, comma 2 della Costituzione impone a comuni e province che vogliano essere “staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra”. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di comuni appartenenti a una Regione a statuto ordinario, ma confinanti con una delle cinque a statuto speciale o con una delle due province autonome di Trento e Bolzano. (1)

SINTOMI E MALATTIE

Ci sono pochi dubbi su cosa abbia spinto tanti municipi, spesso placidi borghi montani, quasi sempre di piccole o piccolissime dimensioni, a tentare queste mini-secessioni: anche se quasi sempre contrabbandate per rivendicazioni di carattere storico-cultural-linguistico, le motivazioni sono di carattere (biecamente) finanziario. L’obiettivo è, infatti, quello di beneficiare del più favorevole regime finanziario che caratterizza quegli enti territoriali ad autonomia differenziata che sovente distano pochi chilometri dai richiedenti.
Difficile prevedere oggi quale sarà l’esito di tali iniziative. Per il distacco occorre, infatti, una legge del Parlamento, il cui apprezzamento non è vincolato dall’esito positivo del referendum comunale, ma rimane discrezionale e insindacabile. Tutti i disegni di legge presentati finora giacciono nei cassetti di Montecitorio e di Palazzo Madama, complice anche la fine anticipata della scorsa legislatura.
La vicenda, in sé tutto sommato modesta e talora quasi folkloristica, è però il “sintomo” di una delle “malattie” più gravi del nostro assetto istituzionale: l’incomprensibile e anacronistica disparità di trattamento finanziario fra enti territoriali ad autonomia ordinaria ed enti territoriali ad autonomia speciale. Per chiarire di cosa si tratta può essere utile dare qualche numero: un accurato studio di qualche anno fa aveva calcolato, ad esempio, che per ogni 100 lire pro-capite a disposizione della Regione Valle d’Aosta, la Regione Lombardia poteva offrire non più di 3 lire: una differenza enorme, solo in parte spiegabile con le maggiori competenze esercitate dalla Regioni speciali. (2) Negli ultimi anni, del resto, il divario pare essersi ulteriormente allargato, come confermano le periodiche, anche se non sempre accurate, misurazioni del cosiddetto “residuo fiscale” (differenza fra quanto si paga di tributi e quanto si riceve in termini di servizi/trasferimenti) nelle diverse Regioni. (3)
Cosa è stato fatto finora per eliminare questo squilibrio, che è sempre più difficile giustificare richiamando le ragioni che più di mezzo secolo fa avevano suggerito di riservare a talune aree “forme e condizioni particolari di autonomia”? In verità, assai poco (e a volte anche male).

LE SOLUZIONI DEL GOVERNO PRODI

Il governo Prodi ha messo in campo poche soluzioni per affrontare il “sintomo” (i tentativi di secessione da parte dei comuni), ancor meno per curare la “malattia” (lo squilibrio finanziario fra enti ordinari ed enti speciali). Per di più, si è trattato di soluzioni assai poco efficaci e talora discutibili.
Innanzitutto, è stato approvato un disegno di legge costituzionale di revisione dell’articolo 132, comma 2  finalizzato a rendere più complessa la procedura per il distacco (4): una cattiva idea, che guardava alla forma ed eludeva la sostanza della questione e che è fortunatamente naufragata con la caduta dell’esecutivo.
In secondo luogo, è stato stanziato un “Fondo per la valorizzazione e la promozione delle aree territoriali svantaggiate confinanti con le Regioni a statuto speciale” con l’obiettivo di finanziare “progetti finalizzati allo sviluppo economico e sociale” proposti dai comuni interessati e valutati da una commissione ministeriale a composizione mista tecnico-politica. (5)
Al fondo è stata assegnata, per il 2007, una dotazione finanziaria di 25 milioni di euro, ripartiti fra tre “macroaree” corrispondenti alle tre Regioni a statuto speciale del Nord (il Mezzogiorno è escluso): 20 per cento per la Valle d’Aosta, 30 per cento per il Friuli– Venezia Giulia e 50 per cento per il Trentino–Alto Adige.
Si tratta di un intervento maldestramente compensativo, che non potrà che avere un impatto limitato e che finirà verosimilmente per finanziare progettualità “di piccolo cabotaggio”, considerata anche la ristrettezza dei termini posti dal bando, pubblicato a fine marzo con scadenza 30 maggio 2008.
Ma soprattutto, è un intervento che ancora un volta guarda al “sintomo” e non alla “malattia”. Da questo punto di vista il bilancio del governo Prodi è complessivamente deficitario, anche se qualche tentativo di correggere la distorsione che privilegia gli enti speciali a danno di quelli ordinari è stato operato. In particolare, dapprima con la Legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006, art. 1, comma 661) e poi con il disegno di legge sul “federalismo fiscale” (mai approvato e quindi anch’esso decaduto) si è cercato di intervenire sui tre fattori che principalmente concorrono a determinare tale distorsione. (6)
In primo luogo, completando il decentramento alle Regioni speciali di funzioni per le quali sono già state trasferite loro le corrispondenti risorse; in secondo luogo, tentando di coinvolgerle, almeno quelle “ricche”del Nord, nel finanziamento della perequazione, che al momento è tutte sulle spalle delle Regioni ordinarie; infine, decentralizzando alle stesse Regioni speciali una parte del debito pubblico.
Nessuno di questi tentativi ha prodotto risultati concreti e apprezzabili, anche a causa delle forti resistenze opposte dalle stesse Regioni speciali, ovviamente gelose della attuale condizione di privilegio.

LA PALLA PASSA AL NUOVO GOVERNO

Sarà interessante vedere come la nuova maggioranza di centrodestra  affronterà la questione e che peso avrà, al riguardo, la sua componente leghista, di dichiarato credo federalista (in passato anche secessionista), il cui seguito in alcune delle aree territoriali in questione è fortissimo. L’unica proposta oggi sul piatto prevede di applicare alle Regioni ordinarie un meccanismo di finanziamento simile (anche se non identico) a quello delle Regioni speciali, con forti dosi di compartecipazione territoriale al gettito di tributi erariali e con un basso livello di perequazione delle capacità fiscali. È il progetto presentato nel 2007 dalla Regione Lombardia, esplicitamente richiamato dal programma elettorale del Pdl. Si tratta di un modello probabilmente insostenibile per il Sud, a meno di non prevederne un’applicazione a macchia di leopardo (si veda il recente intervento di Bordignon su questo sito). Ma, soprattutto, sarebbe sbagliato discuterne senza porre anche la questione della riforma del regime finanziario delle Regioni speciali.

(1)È stato creato anche un sito internet (http://www.comunichecambianoregione.org) dove, fra l’altro, si possono acquisire informazioni abbastanza aggiornate sullo stato di avanzamento delle diverse procedure in itinere.
(2) G. Cerea, I. Dalmonego e F. Debiasi, Le Regioni a statuto speciale. Profili istituzionali e finanziari, Milano, 1989.
(3)Spunti interessanti, al riguardo, si possono ricavare dalla ricerca I costi del non federalismo – Un confronto tra Veneto, Regioni italiane ed esperienze di decentramento in Europa, curata da Unioncamere Veneto, 2007.
(4) È stato approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 30 marzo 2007.
(5)Articolo 6 del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81 (convertito dalla legge 3 agosto 2007, n. 127), come sostituito dall’art. 35 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159 (convertito dalla legge 29 novembre 2007, n. 222).
(6)Per il disegno di legge vedi A.C. n. 3100 – XV legislatura. Per un’analisi più generale delal questione si veda il saggio di P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nell’articolo 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, n.  6/2001.

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L’ITALIA NELLA SPIRALE DEL “DEGIOVANIMENTO”*

  1. giorss

    Credo che l’isituto delle regioni / provincie a statuto speciale sia anacronistico. Comprensibile nel dopo guerra, ma dopo 60 anni …. non potrebbe configurarsi in ottica europea un aiuto statale alle aziende visti contributi e defiscalizzazioni?

    • La redazione

      Estendere a tutte le regioni gli attuali meccanismi di finanziamento di quelle speciali (e delle province autonome) è in teoria possibile, tanto che il progetto lombardo recepito nel programma del Pdl, come detto, si muove proprio in questa direzione. Ciò, tuttavia, significherebbe inevitabilmente allargare ancora di più la forbice fra il nord "ricco" ed il sud "povero". Vedremo se saràquesta (o quale altra) la scelta della nuova maggioranza di governo. Secondo alcuni (cfr, ad esempio, P. ROSSI, I labili confini della riduzione tributaria locale, in Il Sole 24Ore, 14 settembre
      2006), il regime finanziario delle regioni speciali (e delle province autonome) potrebbe configurare, sulla base della prassi della Commissione e della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, un aiuto di stato alle imprese ivi localizzate. Ma finora non vi sono pronunce puntuali sul tema.

  2. Leandro

    Non sottovalutate però il caso di quei Comuni che vogliono cambiare Regione non per motivi grettamente finanziari ed economici, ma per riparare a dei torti profondi che la storia ( anzi i cattivi politici di allora come ora ) ha riservato loro : è il caso di Cortina, Livinallongo e Colle S.Lucia. Per questi anche un federalismo fiscale spinto non avrebbe nessuna attrattiva perchè l’obbiettivo era, è e sarà uno solo: ritornare uniti agli altri paesi ladini dolomitici sotto la Provincia di Bolzano !

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