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Appare evidente in questi commenti una forte contrapposizione tra donne e uomini. Mentre le donne chiedono più opzioni, per aumentare la possibilità di conciliazione lavoro-famiglia e parità di responsabilità nella famiglia (part-time, reinserimento dopo i periodi di maternità,orari degli asili più flessibili, politiche aziendali  family..), gli uomini che tendono a considerare come vincolante  qualsiasi soluzione che possa incentivare il lavoro femminile, sostenendo l’importanza del lavoro familiare delle donne.
Inoltre emerge una radicata convinzione della componente maschile che le preferenze delle donne non siano ben note e male interpretate e che in realtà ogni donna desideri soprattutto rimanere a casa ad accudire marito e figli. Strano che nessuna donna che ci scrive rivendichi questa vocazione.
L’obiettivo qui era di ragionare su politiche che allarghino le possibilità di scelta e che rispondano ad esigenze diverse di famiglie diverse nell’ottica di una maggiore uguaglianza di opportunità più che uguaglianza degli esiti. L’obiettivo non è mandare tutti i bambini al nido ma mettere tutti nelle condizioni di avere per i figli piccoli di tipo di cura che ritengono più appropriata. Né di mandare tutte le donne a lavorare.
Siamo convinti che molte donne hanno preferenze per il lavoro in casa. Tuttavia una parte di esse desidera lavorare  e ne ha anche bisogno. Lo dimostrano un tasso di disoccupazione del 10% e il fatto che tra gli inattivi disposti a lavorare (secondo le indagini ISTAT)  il 67% sono donne. Lo suggerisce, tra le varie cose, il fatto che le giovani donne italiane di oggi siano in media più istruite dei loro coetanei maschi (il 25% delle venticinquenni raggiunge la laurea contro il 19% dei loro coetanei)
Lo desiderano e ne hanno bisogno anche perchè i redditi familiari italiani (soprattutto delle famiglie con figli piccoli) sono tra i più bassi d’Europa e i tassi di separazione/ divorzi sono in crescita e si stanno avvicinando a quelli degli altri paesi europei. L’obiettivo qui è pensare a interventi che aumentino le opportunità di fare la propria scelta con una varietà di opzioni maggiore di quella attuale.

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Per quanto riguarda il quoziente familiare per una spiegazione piu’ approfondita si rimanda “Imposte:una questione di famiglia”di Maria Concetta Chiuri e Daniela Del Boca a “Aliquote rosa” di Marco Leonardi e Carlo Fiorio) e a “Quel singolare quoziente di famiglia” di Claudio De Vincenti e  Ruggero Paladino, 5 Marzo 2007). Come si spiega in questi articoli, il quoziente familiare favorisce, rispetto al sistema attuale, la famiglie dove entra un unico reddito elevato tramite l’abbassamento dell’aliquota media che deve pagare. Mentre se ci sono due percettori di reddito, quello con reddito inferiore e’ sottoposto ad una aliquota marginale decisamente più alta elativamente al sistema di tassazione disgiunto (il reddito più basso è in genere quello femminile), con conseguente disincentivo a possedere un reddito da tassare.
E’ sicuramente vero che in Francia, dove è in vigore il quoziente familiare da molto tempo, il tasso di partecipazione femminile è tradizionalmente  molto più elevato  rispetto al caso italiano. E’ altresì vero che in Francia sono da tempo adottatati molti strumenti di conciliazione famiglia-lavoro decisamente carenti in Italia, quali asili statali e privati più diffusi ma anche forte presenza di asili aziendali, orari di lavoro più flessibili e ridotti, incentivi statali per l’assistenza domiciliare dei bambini e, infine, generosi sussidi per i figli (Allocation Parental d’Education). Tutto questi strumenti hanno contribuito al “miracolo” francese, ovvero alta natalità ed alta partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Per un confronto delle varie politiche per la famiglia e indicatori dettagliati che comprendono anche il benessere dei bambini (1)

Un ultimo aspetto riguarda il presunto effetto negativo dell’uso dei servizi educativi per la prima infanzia sul benessere dei bambini. Studi recenti che hanno analizzato a fondo questa questione (tra questi il premio Nobel 2000 James Heckman) mostrano come i servizi educativi per l’infanzia (quelli di alcune regioni Italiane  sono tra l’altro tra i migliori d’Europa) offrono ai bambini importanti possibilità di interazione, soprattutto per i bambini italiani che crescono spesso senza fratelli o sorelle, ed enormi possibilità  di stimolo e apprendimento. Vi è inoltre la convinzione che i bambini risentano del lavoro della madre in termini di minor tempo e minori attenzioni a loro dedicati. I dati Multiscopo  ISTAT mostrano, invece, che le donne che lavorano ‘compensano’ il minor tempo a loro disposizione riducendo in primis il proprio tempo libero piuttosto che quello passato con i figli; inoltre, tendono a incrementare le attività di qualità (quali lettura , gioco, etc) sicuramente positive per lo sviluppo del bambino. Rimane, pertanto, tutta da provare l’eventuale relazione negativa fra lavoro della madre e sviluppo del bambino. Queste ricerche mostrano anche che l’apporto dei padri e ‘ molto importante ai fini dello sviluppo cognitivo e non dei bambini piccoli indicando come anche dalle prime fasi del ciclo vitale il ruolo dei genitori potrebbe essere molto più intercambiabile.

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(1) si veda Del Boca D. e C. Wetzels “Social Policies Motherhood and Labour Markets” Cambridge University Press 2007

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  1. Milena Kotseva

    Io ho le idee chiare. So di voler lavorare e lavoro, nonostante abbia due figlie piccole, pochi aiuti extra familiari e un costo mensile fra scuola dell’infanzia e asilo nido di 700 € circa. E’ giusto che ogni donna scelga da sola, ma la società è quella che "paga" le scelte di tutti. Dal punto di vista economico, un tasso di occupazione femminile basso pone il problema del mantenimento, a spese di tutti noi, delle donne che non lavorano. Una mamma che lavora dà un contributo positivo non solo alla società, ma anche alla crescita dei figli che imparano ad essere indipendenti (vi ricordate i bambocioni?). Un mondo del lavoro dove sono presenti più mamme è un mondo a maggior efficienza: le donne sanno dare un valore del tempo, ogni minuto di inefficienza, di tempo perso, di lungaggini inutili, è un minuto rubato alla famiglia. Sono fermamemte convinta che le mamme al lavoro hanno un valore inestimabile per la società. E’ assolutamente ingiusto penalizzarle dal punto di vista fiscale. La domanda che ora mi pongo è: mi conviene forse stare a casa e dare lezioni private in nero?

  2. massimo

    Due cose sul quoziente familiare: a) l’imposta sul reddito in Francia produce un gettito di circa 50 miliardi di euro ed ha aliquote molto più basse della nostra Irpef, che produce un gettito triplo. In Francia il reddito complessivo (compresi i redditi di capitale) è tassato anche da un’altra imposta ad aliquota unica (9%) su cui non si applica il quoziente. b) lo stesso risultato del quoziente, cioè ridurre il carico fiscale sulle famiglie con figli, puo’ essere realizzato aumentando le detrazioni per figli, senza sconvolgere l’Irpef attuale, e soprattutto senza aumentare l’aliquota marginale sul lavoro femminile.

  3. Nicola Limodio

    Un dato grave è che le donne Italiane pur partecipando poco al lavoro (come le colleghe del Belize, e di altri paesi in via di sviluppo), presentino tra i tassi di fertilità (numero di bambini per donna in età da parto) più bassi del mondo. Cioè, le donne Italiane stanno a casa, ma non a tenere i figli (fattore che teoricamente giustificherebbe il fenomeno). Ora, smi piacerebbe sentir parlare di una vecchia idea di “incentivo fiscale”(riproposta in un recentissimo paper di Alesina, Ichino e Karabarbounis). Perché tagliare le imposte dirette sul lavoro delle donne? Il modello di Alesina prevede un differenziale di tassazione del 70% tra uomo e donna per aliquota! Per numerose ragioni. La prima è che in questo modo le imprese e le istituzioni troverebbero più conveniente assumere le donne degli uomini (evitando l’adozione dello strumento delle quote). Questo provocherebbe un incremento nel tasso di partecipazione e rappresenterebbe una scintilla verso l’imprenditorialità rosa. Chiaramente, le donne sarebbero incentivate a lavorare in quanto a parità di salario lordo col proprio coniuge, avrebbero un salario netto (lordo meno le tasse) molto più elevato…Questo provocherebbe un incremento nel tasso di partecipazione e rappresenterebbe una scintilla verso l’imprenditorialità rosa. Chiaramente, le donne sarebbero incentivate a lavorare in quanto a parità di salario lordo col proprio coniuge, avrebbero un salario netto (lordo meno le tasse) molto più elevato. Inoltre, questo provocherebbe una “rivoluzione culturale” notevole, in quanto i lavori domestici sarebbero ripartiti più equamente tra i coniugi (dopo un iniziale periodo a carico della donna). Siccome esistono già misure che ponendo in essere affermative actions (quote rosa % co) discriminano sul sesso, perché non introdurne una variante, quella fiscale (Gender Based Taxation), che potrebbe effettivamente implementare le pari opportunità?

  4. moreno

    gli uomini che non sono accoppiati? Dovremmo quindi tassarli di più come faceva Benito nel lugubre ventennio fascista?

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