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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Rispondo collettivamente ai MOLTI lettori che hanno avuto la cortesia di commentare il mio articolo. Alcuni di questi hanno sostenuto la loro netta contrarietà alla ripesa del nucleare sia per i livelli dei costi, sia per la minaccia alla sicurezza dell’ambiente e della popolazione . Altri, pur con molte preoccupazioni, hanno mostrato maggiore disponibilità alla ripresa del nucleare sottolineando la necessità di adottare ogni tipo di controllo. Altri ancora hanno valutato più importanti i problemi tecnici rispetto a quelli legislativi e regolamentari su cui mi ero soffermato.
Da parte mia desidero esplicitare ai lettori che non sono mosso da alcuna pregiudiziale scientifica e culturale alla ripresa del nucleare anche in Italia. La mia visione del problema dunque non è del tipo "nucleare si", "nucleare no", ma sul "come" si riavvia il nucleare nel nostro paese. Ciò che temo è una sorta di "via italiana" al nucleare che non adotti le "best practice" adottate nei paesi che da anni hanno promosso e potenziato il nucleare. Come noto l’industria civile del nucleare è una ricaduta dell’industria bellica (non a caso il prezzo dell’uranio è sceso ai minimi storici anche per effetto dell’abbandono della corsa agli armamenti); passaggio questo  che nel tempo ha creato competenze, controlli e accettazione sociale sostanzialmente in un processo di trial and error sia nel mondo dei privati sia in quello del pubblici controlli. In Italia, invece, nulla di tutto ciò da quasi venti anni. E’ possibile recuperare tale gap culturale, sociale e scientifico in un breve lasso di tempo in un paese (forse vittima di Croce) che – a scuola e all’università – ha troppo spesso trascurato l’istruzione scientifica di massa (non di alcune eccellenze) la cui conoscenza consentirebbe invece di non scorgere soltanto i fantasmi del nucleare?
Penso che sia possibile se per tempo si ragiona sul fatto che il la ripresa del nucleare non è soltanto questione che riguarda i tecnici del settore ( e la loro supposta supremazia), ma in particolare il ruolo e le competenze della pubblica amministrazione che deve esercitare i controlli  onde evitare che si formini vantaggi privati e costi collettivi. Osserviamo tutti i giorni che la nostra pubblica amministrazione non è in grado di esercitare con sufficiente efficacia il rispetto delle leggi (fiscali, sanitarie, ambientali, ecc.). Come deve cambiare dunque la pubblica amministrazione per la puntuale verifica del il rispetto delle norme in campo nucleare? Saranno sufficienti le abituali verifiche cartacee oppure saranno indispensabili quelle sul campo? E quale corpo dovrà effettuarle? Non a caso altri paesi hanno istituito apposite autorità per la sicurezza nucleare. Il governo ha annunciato che nei prossimi giorni adotterà alcuni provvedimenti al riguardo, Mi auguro che non siano soltanto quelli che daranno il permesso alla costruzione delle centrali nucleari (acciaio, cemento, piombo, rame, ecc) me che comprendano anche l’avvio di una riflessione sulle istituzioni pubbliche per il controllo di questo settore così delicato per la sicurezza della popolazione.
Vi  è infine chi mi a fatto notare che gli ingegneri nucleari già esistono in Italia. Ricordo al riguardo che per effetto dell’abbandono del nucleare molte università italiane hanno ridenominato i corsi di ingegneria nucleare in "ingegneria energetica" oppure "ingegneria nucleare e della sicurezza industriale" e così via. In ogni caso sono felice di scoprire che esistono ancora rappresentanti di una specie che consideravo, erroneamente, in estinzione se non del tutto estinta.

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UN TRATTATO DA ATTUARE COMUNQUE

  1. Massimo Bailo

    Invio in ritardo un contributo. 1. Il nucleare richiede investimenti ingenti e tempi di ritorno di 15-20 anni ma la vita utile delle moderne centrali è di 60 anni. Ciò significa l’abbandono della finanza mordi e fuggi, il ritorno a una pianificazione di lungo periodo, e magari un accordo tra produttori e finanziatori/clienti, come in Finlandia. Lasciamo stare il libero mercato, con l’energia non funziona (Alberto Clò "il rebus energetico"). 2. Il combustibile influisce per il 15% sul costo del kWh, ma il costo dell’uranio influisce per il 40 % sul combustibile, quindi in definitiva l’uranio pesa il 6% sul kWh. Per il gas il peso sul kWh è del 74% (dati OCSE). 3. L’autorità tecnica vigilante sulle attività nucleari è l’APAT. Un riavvio del nucleare richiede una sua rivitalizzazione. 4. Riavviare il nucleare non significa costruire 3 o 4 centrali, ma rimettere in moto tutto un sistema che comprenda: università ricerca e sviluppo industria nucleare impianti del cosiddetto "ciclo del combustibile". Pochi lo sanno, ne avevamo 5 che sono stati fermati. Le centrali da sole sono cattedrali nel deserto. 5. La IV gen. di centrali moltiplicherà per 30-50 il rendimento dell’uranio.

  2. Alessandro

    Grazie per la sua precisazione. Penso che per una persona come me, nata negli anni ’80 e che fa attività politica, sia fondamentale essere informato per poi poter valutare le decisioni degli organi politici e magari in futuro dover decidere in prima persona. Informo che al PoliTO c’è un corso dove si tratta l’energia nucleare http://www.ing1.polito.it/energetica/

  3. Gianluca Bidin

    Condivido il ragionevole e documentato punto di vista di Cavazzuti, sin troppo diplomatico. L’errore di fondo è ragionare sulle cose giuste "in linea di principio", quando l’oggetto vero è la loro realizzazione. Se questo è un problema universale, per l’Italia è macroscopico e impossibile da non considerare. La storia pone ahimé più di un dubbio circa la riuscita dell’esperimento. La malafede e la plateale scorrettezza dell’informazione mettono a dura prova il futuro. In alcune regioni (Marche, Emilia-Romagna, per es.) la gestione potrebbe anche essere accettabile, ma mi chiedo che senso abbia impostare un piano ventennale sul nucleare con tutti i problemi di legislazione e controllo che ci sono. Si cerca un banale sostituto del petrolio, senza guardare a come si consuma l’energia. Perché non si promuove la sostituzione di tutta l’illuminazione pubblica con una illuminazione a led, come a Torraca, nel salernitano? Un consumo nazionale di energia che diminuisse del 20/30 percento (almeno) rilancerebbe automaticamente fonti rinnovabili meno produttive (allo stato attuale della ricerca, da rilanciare anche qui!). Con infiniti minori rischi di salute pubblica.

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