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PLURALISMO: IL MALATO E’ GRAVE

La difesa del pluralismo nelle telecomunicazioni si affida in primo luogo a un’articolata struttura dei media e a una attitudine dei mezzi di comunicazione a riportare una pluralità di opinioni al proprio interno. Il quadro italiano resta perciò problematico anche per il 2007. Nel settore televisivo, esiste ora un terzo gruppo di forte impatto economico. Ma il modello di business dell’operatore pay ha scarsa incidenza su audience e pubblicità. E per la stampa, abbiamo molte realtà locali nelle quali pochissimi giornali coprono la gran parte delle scelte dei lettori.

Con la relazione annuale del 15 luglio 2008 il presidente dell’Autorità di garanzia delle comunicazioni, Corrado Calabrò, ha offerto un quadro aggiornato dell’evoluzione dei settori delle telecomunicazioni e dei media, occasione importante per fare il punto su un tema di sempre maggiore attualità in Italia, il pluralismo.

I DATI DELLA RELAZIONE

La difesa del pluralismo si affida prima di tutto a un’articolata struttura dei settori dei media, nei cui comparti (televisione, radio, stampa, internet) deve mantenersi una relativa frammentazione, e a una attitudine dei mezzi di comunicazioni a riportare una pluralità di opinioni al proprio interno. Il primo dato si rifà al cosiddetto pluralismo esterno, mentre il secondo viene solitamente definito pluralismo interno.
Va subito detto che, alla luce dei dati riportati dal Presidente Calabrò, la situazione italiana conferma la sua grave patologia sia in termini assoluti che nei confronti con altre realtà europee. Televisione e stampa quotidiana sono caratterizzate da una concentrazione elevata e da persistenti posizioni dominanti in palese contrasto con le esigenze del pluralismo. Ma veniamo ai dati, partendo dal settore televisivo.
La relazione annuale conferma la significativa evoluzione degli ultimi anni, che ha visto affermarsi un terzo operatore di grandi dimensioni, Sky Italia: nel 2007 ha raccolto, prevalentemente tramite abbonamenti, il 29,1 per cento dei ricavi del settore televisivo, contro il 33,8 per cento della Rai e il 29,9 per cento di Mediaset. Da questo punto di vista, il settore televisivo italiano è oramai caratterizzato da tre operatori di dimensioni economiche simili, ma con modelli di business profondamente diversi: Sky Italia come pay-tv raccoglie il 90 per cento dei ricavi dagli abbonamenti e solo l’8 per cento dalla pubblicità; Rai ottiene il 57 per cento dei ricavi dal canone obbligatorio e il 42 per cento dalla pubblicità, mentre il gruppo Mediaset deriva da quest’ultima fonte il 90 per cento dei suoi ricavi.
L’eterogeneità nei modelli economici fa sì che l’evoluzione del mercato abbia aumentato la competizione principalmente nel segmento dove tutti e tre i gruppi debbono necessariamente operare: la produzione e acquisizione di contenuti. Le profonde mutazioni nei palinsesti, con la quasi scomparsa di film e di molti sport dalle piattaforme in chiaro e una forte concorrenza sui serial americani, è il dato più evidente di questa evoluzione per ogni spettatore.   
Meno marcati appaiono invece i cambiamenti in altri segmenti cruciali per una valutazione del pluralismo, la ripartizione della audience e la concentrazione nel mercato pubblicitario, che influenza anche le risorse che vanno agli altri mezzi di comunicazione.
Dal momento che una pay-tv ottiene i propri ricavi principalmente con l’abbonamento, la capacità di realizzare elevate quote di audience e di avvalersi degli introiti pubblicitari non appaiono cruciali in questo modello di business. Questo è testimoniato dal fatto che nel 2007 i telespettatori hanno continuato a privilegiare i due grandi gruppi tradizionali, con una audience del 41,8 e del 40,5 per cento di Rai e Mediaset, contro l’8,1 per cento di Sky. Nella raccolta pubblicitaria, Mediaset ha avuto il 55,2 per cento dei ricavi contro il 28,9 per cento di Rai e il 4,7 per cento di Sky.
Se quindi la buona notizia per il settore televisivo italiano è quella di una maggiore articolazione, con l’emergere di un terzo gruppo di forte impatto economico, la cattiva notizia riguarda quei mercati (audience e pubblicità) dove maggiormente si gioca il tema del pluralismo, nei quali il modello di business dell’operatore pay determina una scarsa incidenza rispetto alle posizioni dei due gruppi tradizionali. Anche per il 2007 possiamo purtroppo concludere che, in tema di pluralismo televisivo, il malato è grave.

LA SITUAZIONE DELLA STAMPA

La relazione annuale offre anche importanti spunti relativi alla stampa quotidiana, settore nel quale i ricavi sono fortemente concentrati, ammontando al 75,6 per cento del totale se guardiamo ai primi quattro gruppi per dimensione: Gruppo Editoriale Espresso, Rcs Mediagroup, il Sole 24Ore e il gruppo Caltagirone. Le copie vendute possono, nel caso della stampa quotidiana, suggerire erroneamente una situazione di forte frammentazione guardando ai dati nazionali di diffusione, per il grande numero di testate esistenti. Se tuttavia teniamo conto che gran parte dei giornali, inclusi quasi tutti i quotidiani “nazionali”, hanno una diffusione prevalentemente in alcune aree geografiche ristrette, il quadro che emerge è quello di realtà locali nelle quali pochissimi giornali coprono la gran parte delle scelte dei lettori.
Televisione e stampa quotidiana confermano quindi anche per il 2007 una situazione in forte contrasto con le esigenze del pluralismo. La vittoria elettorale del centrodestra ha inoltre acutizzato quella patologia tutta italiana che va sotto il nome di conflitto di interessi, che porta a un controllo della televisione pubblica da parte del proprietario del maggior gruppo privato. Segnali preoccupanti di un forte conformismo e autocensura alle posizioni governative sembrano venire anche dalla recente evoluzione della stampa quotidiana dopo le elezioni, con una forte allineamento di testate tradizionalmente attente a una posizione di terzietà, come il Corriere della Sera e il Sole24Ore.
E’ allora tanto più importante che si rompa il tabù oggi prevalente, che vede il pluralismo come un tema scomodo e di cui è meglio tacere. I dati della relazione annuale dell’Agcom ci consegnano con la crudezza delle cifre una situazione di grave patologia che non è certo alleviata, ma semmai confermata, dal silenzio oggi prevalente. 

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21 commenti

  1. martino

    Fare i giornali costa. Gli italiani non li leggono e, quei pochi, li leggono su internet. Mi pare che del pluralismo non è che gliene importa molto a nessuno, se non all’authority che deve giustificare la propria esistenza. Se nessun cittadino, oggi, ritiene questa situazione un pericolo, forse allora vuol dire che non lo è. Mettiamoci poi che i giornali sono spesso autoreferenziali, parlano poco di fatti, non sono per nulla approfonditi e sono troppo pieni di notizie di scarso o nessun interesse. La cronaca nera è scritta talmente male che a volta non si capisce nemmeno cosa sia successo (ma si capisce che il giornalista ha ricopiato una agenzia). E non parliamo poi dei settori: cultura, moda, cinema libri etc. Grandissime marchette, e lo sanno tutti. Se una volta vedessi un giornale con scritto "la fiat bravo è sproporzionata, sarà difficile battere le concorrenti etc tec", no sono sempre stupende e vendono tantissimo (è un esempio, ma ne potrei fare mille): mi ricordo solo un titolo analogo "la tipo fa schifo": solo che era su Cuore! La bottom line è: giornali migliori, più lettori. La tv generalista invece non è un problema: è finita.

  2. Alberto

    Mi sembra ovvio in un paese nel quale il capo del governo controlla 3 televisioni direttamente e altre 3 indirettamente. Oltre ad avere 1 "malato" grave abbiamo un "medico" che ha tutto l’interesse a mantenere la situazione così com’è e un’ autority senza alcun potere effettivo. Chi parla di deriva non mi sembra un innocuo profeta di sventura, ma un attento osservatore, uno che odia prendersi in giro.

  3. Aldo

    Se tre gruppi televisivi si dividono il mercato pur nella differenza dei flussi economici con cui si sostentano, non balza agli occhi che è impossibile che Sky abbia solo l’8% di audience? Chi controlla i dati? I soliti noti. Se si tripartisse anche l’audience (come è probabile che sia), gli inserzionisti di Rai ma sopratutto di Mediaset griderebbero alla truffa per le tariffe pagate. Allora è meglio dare dati che molti contestano. Auditel, Auditel, dici davvero la verità?

  4. roberto simone

    Per sapere che la situazione è grave non occorre alcuna relazione: basterebbe accendere la tv o provare a leggere un giornale fra quelli più diffusi. Palinsesti televisivi pieni di giochi tutti uguali a prova di idiota, telegiornali che scimmiottano Novella 2000, giornalisti (si fa per dire) condiscendenti, opinionisti ridotti a megafoni del padrone. O forse abbiamo bisogno di sentircelo dire perché ormai siamo troppo decerebrati per accorgecene?

  5. habsb

    Concordando sull’assunto dell’articolo mi pare però che questa sia una tendenza comune ad altre nazioni. L’esempio del paese più simile al nostro, la Francia è estremamente sconfortante (per loro) e confortante per noi (mal comune mezzo gaudio). Il mondo televisivo privato è dominato dal sig. Bouygues, ricchissimo industriale, amico di infanzia del presidente Sarkozy, e padrino di suo figlio. I giornali più letti sono "Le Figaro", del fabbricante di armi Dassault, "Liberation" del finanziere Rotschild, mentre l’unico con qualche velleità di indipendenza "Le Monde" è in grave difficoltà finanziarie. Quasi tutte le notizie sono peraltro filtrate e ottenute dall’agenzia AFP, controllata dal governo (una specie di sovietica TASS alla francese). Il problema è che le nazioni di taglia media (come Italia e Francia) non possono permettersi una vera pluralità di ..’media’. Solo mercati fruitori linguistici di taglia planetaria come quello inglese, arabo, spagnolo etc possono farlo, e a condizione di non essere limitati da un potere dittatoriale come nel caso mandarino.

  6. luigi zoppoli

    E’ davvero singolare ascoltare o leggere opinioni secondo le quali l’Autorithy giustifichi la propria esistenza con temi ed argomenti dei quali ai cittadini non interessa. E’ esattamente il disinteresse che partorisce molti mostri senza che l’essere maggioritario gli conferisca ne’ dignità, ne’ decenza, ne’ condivisibilità. E’, guarda caso, la tesi dei valvassini del premier, quella che, ancora per caso, propagandano tambureggianti messaggi televisivi. Il conflitto di interessi, il monopolio mediatico e pubblicitario configura una posizione di potere inaccettabile sul piano della democrazia, dell’informazione ed anche dell’economia essendo notoriamente l’informazione una risorsa strategica. Ma non c’è problema: dopo la nefandezza perpetrata a danno del Garante per l’energia è stato stabilito un precedente. Beninteso democratico. E, beninteso, neppure questo interessa agli italiani, chè cittadini è un’altra cosa. luigi zoppoli

  7. gian

    Il pluralismo non è più sentito come un valore, la sua difesa è vista come una battaglia anacronistica. Mia madre pensionata, che passa la sua giornata in casa, dipende esclusivamente dal TG5: il mondo esterno gli arriva filtrato e deformato da una sola fonte. La realtà è quella televisiva, esclusivamente quella, le notizie che il TG5 non dà, non esistono. La vittoria elettorale dell’attuale maggioranza è dipesa da questo senso unico non certo dalla qualità della loro proposta politica e fa molto male vedere gli stessi giornalisti e soprattutto quelli (ad esempio gli editorialisti del Corriere), che si vogliono definire liberi, ignorare il problema e continuare a ritenere l’Italia una democrazia compiuta il cui il pensiero è libero ed ognuno può esprimerlo come vuole. Si, la libertà di espressione c’è, peccato che la voce non arriva.. ne arriva sempre una sola, quella del potere.

  8. Rufo

    Non vorrei che il mio intervento sia frainteso perchè ogni volta che in Italia si parla di questi temi c’è sempre un retro-pensiero politico, ma dai numeri della Relazione il panorama mi sembra diverso. Per quanto riguarda la stampa quotidiana l’indice di concentrazione (HHI) è stabile a circa 1.800 punti. Inoltre, questa è una stima per eccesso perchè considera solo il 75% dell’universo delle imprese Sostenere che un mercato è concentrato quando la concentrazione è largamente inferiore a 1.800 punti è francamente inusuale. Quanto alla televisione, il discorso è diverso. Il settore è indubbiamente concentrato, ma è altresì indubbio che la concentrazione è in diminuzione, anche dal punto di vista dell’audience: negli ultimi anni gli ascolti di RAI e Mediaset sono diminuiti di quasi 10 punti. Ancora poco, visto che il livello è dell’84%, tuttavia un’analisi più accurata dovrebbe rilevare tale dinamica e anche cosa c’è dietro (nuove reti, più accesso,…) Il malato è grave? Sicuramente sta migliorando. Ciò ci aiuterebbe a capire le migliori politiche a difesa del pluralismo, anche vedendo quello che si sta facendo all’estero (non tetti su singoli mercati, ma limiti inter-media)

  9. Wil Nonleggerlo

    Pluralismo è un termine bellissimo, evoca luoghi democratici composti da persone diverse che comunicano tra loro, offrendo alternative valide, pronti ad accogliere tra loro lo straniero che sta arrivando. Pluralismo è civiltà, rispetto della Costituzione, apertura sociale ed intellettuale. Pluralismo è mettere da parte l’interesse spicciolo del momento, e privilegiare un progetto a lungo termine, etico e condiviso. Pluralismo è tutto e niente. In Italia, per ora e da 15 anni, è sicuramente Niente.

  10. Bruno Cipolla

    Leggo regolarmente, oltre ai principali italiani, alcuni giornali stranieri, fa impressione trovare le traduzioni (spesso maccheroniche) di tanti articoli di economia e tecnologia apparire sui nostri giornali, firmate come se fossero originali e non pessime copiature. Il giornalista medio italiano confonde regolarmente i Milioni con i Miliardi, (sono comunque grosse cifre!) a volte scrive assurdità che oltre a non essere vere, non possono essere vere. Il giornalista italiano copia, traduce in fretta, non si firma e, se è "tracciabile", spesso mostra la sua coda di paglia, non accettando osservazioni e non ammettendo le proprie castronate. Sul Wall Street Journal online tutti gli articoli sono firmati e corredati di indirizzo e-mail, spesso si tratta di articoli originali. Ricordo un errore in un articolo, l’articolo fu corretto in pochi minuti dopo la segnalazione, l’articolista si scusò e ringraziò l’attento lettore per l’osservazione, proprio come da noi… Sigh! BC

  11. jordan

    Nella stampa direi che la concentrazione è sui livelli degli altri paesi europei, mentre per quanto riguarda la televisione ci manca a livello di ascolti un secondo forte gruppo privato che trasmetta in chiaro; è un vero peccato che La7, MTV, All Music, siano troppo piccole perché i loro azionisti non ci investono. Comunque il vero problema, il vero conflitto d’interessi, sta nella proprietà di chi controlla i vari mezzi d’informazione; non ci sono editori puri, ma imprenditori che hanno interessi in varie rendite, come l’immobiliare, i servizi di pubblica utilità, la sanità, etc, che utilizzano/considerano i mezzi d’informazione solo un mezzo "strutturale" per le altre attività.

  12. as

    Sostenere che Berlusconi controlli anche la rai mi pare ridicolo. per quanto riguarda l’informazione, facendo zapping vedo il tg1 diretto da Riotta, che è stato messo lì da Prodi dopo interviste genuflesse sul Corriere, su rai2 il principale programma d’approfondimento è quello di Santoro (che non mi pare precisamente un berlusconiano…) mentre rai3, com’è noto, è interamente appaltata alla sinistra. forse guardiamo tv diverse?

  13. Alessandro Sciamarelli

    ho letto molte cose condivisibili. Basta non eludere il problema invece di, come si fa in Italia, rimuoverlo. E’ ovvio che i conflitti di interesse non si fermano alla macroscopicità senza eguali del caso del presidente del consiglio attuale (inconcepibile, dico inconcepibile, in qualsivoglia paese civile, USA in primis); il punto è che gli editori non sono tali, bensì proprietari di grandi imprese, spesso concessionarie dello Stato, che si tengono un giornale o una tv come giocattolino e ne fanno il veicolo degli interessi della propria azienda. Questa è la prima stranezza, tutta italiana. La seconda è che uno di questi diventi anche, da concessionario dell’etere (in quanto proprietario di Mediaset che utilizza le frequenze pubbliche) azionista di riferimento del proprio concorrente, cioé della Rai (tramite il ministro del Tesoro da lui nominato) Senza contare che, come i "colleghi" De benedetti e i soci del patto di sindacato RCS, ha anche lui i suoi giornaletti che gli fanno già abitualmente da "voce del padrone". Per questo, leggere commenti come quelli del signor AS mi lasciano semplicemente basito.

  14. c.pileri

    L’oggetto è abbastanza elequente. Pochissimini ne hanno parlato.Prima ho poi a tutti noi italiani arriverà il conto da pagaare e pare sia salatissimo, allora, quelli che fingono di non sapere ed evitano, accuratamente, di parlarne faranno finta di non sapere? C.P.

  15. GIROLAMO CAIANIELLO

    La gente e gli stereotipi Da Rossana Rossanda a Furio Colombo, da Eugenio Scalfari a Barbara Spinelli, da Giorgio Bocca a Franco Cordero, da Gabriele Polo a Piero Sansonetti, dalla Gabanelli a Gianantonio Stella, e via seguitando con tanti altri nomi alla rinfusa, ditemi se si tratta di firme troppo insignificanti per dubitare che il giornalismo italiano sia fatto da una manica di servi del potere. E ditemi pure se parlar bene di Berlusconi (che personalmente detesto) dimostri automaticamente che chi lo fa è uno scrivano da lui prezzolato. E ditemi pure se la mamma di quel lettore che vede solo il TG5 vi sia costretta dal fatto che qualcuno (magari incaricatone da Buonaiuti o Gasparri) ha reso il suo televisore incapace di riceverne altri, ad esempio il TG3.

  16. habsb

    Chi parla di stranezza tutta italiana, sbaglia di grosso. Valichiamo le Alpi e spostiamoci in Francia, forse l’unico grande paese europeo paragonabile al nostro per taglia, cultura, storia. Due televisioni di Stato, e due televisioni private, controllate dal padrino del figlio del Premier, nonché suo amico di infanzia. Ora mi chiedo: se Berlusconi non sedesse al governo, ma vi mandasse un suo amico fraterno o figlioccio o simili, la situazione dell’informazione sarebbe fondamentalmente diversa? I maggiori giornali francesi (a parte Le Monde in gravi difficolta` finanziarie) sono le Figaro (destra), appartenente al fabbricante di armi Dassault e Liberation (sinistra) appartenente al finanziere Rotschild. C’è da invidiare l’Italia. Il punto (e lo ribadisco ancora una volta) e` che i media che usano lingue come italiano, francese, tedesco, che su scala planetaria sono diventate regionali, non possono sopravvivere da soli, e devono appoggiarsi ad un gruppo industriale o finanziario. Tanto fra 50 anni leggeremo tutti l’attualità in Internet su CNN, Fox, Bloomberg, o al Jazeera.

  17. Alessandro Sciamarelli

    Concordo sul fatto che la stranezza di un sistema in cui non vi sono editori puri, bensì industriali semimonopolisti che detengono la proprietà dei giornali di maggiore diffusione (con effetti immaginabili sull’imparzialità di questi ultimi) non sia prerogativa solo italiana. La sostanza del discorso però rimane in piedi: ovvero che in Italia la stranezza è più macroscopica che altrove. Per almeno 2 motivi da me citati: 1. In Italia non esiste neppure un giornale veramente `indipendente` come Le Monde (per quanto esso sia in crisi, come è stato correttamente scritto) ; 2. Un presidente del consiglio proprietario di 3 reti private (3!) ed azionista di controllo delle 3 reti rai (tramite il Tesoro), dunque più numerose che in Francia e giuridicamente tutte referenti ad una sola persona. Che sia lui e non un suo amico come in Francia è,semplicemente, ancora più grave. Dunque non ci consoliamo con le stranezze altrui. Non abbiamo proprio nulla da farci invidiare.

  18. Alessio

    Il punto del nocciolo non è quanti giornali o giornalisti sono schierati a destra o a sinistra (legittimo) ma quanti e quali di questi posseggono il mezzo. Non facciamo confusione tra proprietà e tendenza politica. Quest’utlima è infatti legittima qualunque tendenza sia. E’ essere al contempo un politico e possedere un mezzo di informazione la deformazione italiana. Non è vero che c’è pluralismo solo perchè esistono testate di sinistra e di destra in egual misura o idem per i tg. I lproblema è il ricatto: se hai una tendenza politica puoi criticare gli stessi che sostieni, se chi sostieni invece è anche il tuo padrone ed è quello che ti dà lo stipendio, non potrai mai dissociarti, nemmeno se commette la boiata più colossale della storia. Questo fala differenza tra pluralismo e non pluralismo: essere liberi di tendere a qualunque forza politica, essere liberi di criticare qualunque forza politica. Se il tuo editore è il presidente del consiglio, si capisce benissimo che si è liberi di sostenerlo ma non di criticarlo.

  19. lorenzo

    Il conflitto di interessi è il problema cardine a mio giudizio. Il fatto è che appena lo nomini sei tacciato di "comunista" oppure ti dicono che in questo momente c’è bisogno di tutto tranne che filosofeggiare sul conflitto di interessi. Invece questo secondo me è il problema che genera tutti i mali. Qualunque malattia cronica dell’Italia è tale perchè c’è il conflitto di interessi che nessuno ha intenzione di combattere; quali sono i problemi dell’italia? Mafia? Monnezza? Raccomandazioni? Aggiungete quelli che volete voi… Poi chiedetevi: "perchè non si risolvono?" Ora datevi una risposta… E’ amaro constatare che è sempre la stessa: "conflitto di interessi".

  20. giuseppe faricella

    Sono due anni che mi chiedo: se il centrodestra non avesse avuto il controllo totale di 4 telegiornali sui 6 più visti (considerando, poi, che il tg3 ha ascolti paragonabili a quelli del tg4, ma più bassi di quelli di studioaperto e del tg2), come sarebbero finite le elezioni del 2006, dopo 5 anni di governo sostanzialmente deludente? (si ricordi che non solo a qualche mese dalle elezioni mentana sostituì mimun, ma addirittura, su rete4 e italia1, nacquero trasmissioni di "approfondimento" politico che durarono lo spazio della campagna elettorale). Non è che, forse, con un sistema televisivo più neutrale, quelle elezioni avrebbero avuto un tasso di partecipazione più basso e un esito simile alle regionali del 2005?

  21. de santis umberto

    Il pluralismo dell’informazione forse ancora esiste, specialmente fuori dal circuito televisivo, anche se le spinte del controllo berlusconiano sono fortissime. Ma d’altronde per governare non occorre il 100% dei consensi, in un regime democratico! E in questo il nostro riesce perfettamente. Ma quello che viene controllato tenacemente è il monopolio della raccolta pubblicitaria, la fonte economica del potere del Signore di Arcore. E mentre anche nel forum si chiacchera di cose e aspetti di nessun conto per il nostro Padrone, non si va al cuore del problema: gli italiani pagano il canone Rai per permettere a Berlusconi, grazie alla legge Gasparri, di ricavare miliardi di euro. Infatti è questo il vero argomento tabù, tanto che Catricalà ha potuto fare le sue denunce e le sue constatazioni, tutte corrette, senza prendere bastonate dalla claque rumorosa del Premier. Santoro sparli pure, basta che non mi tocchi il portafoglio.

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