Alla vigilia della pausa ferragostana, la vicenda Alitalia è ancora lontana dall’essere risolta. Il Presidente Berlusconi parla ora dell’autunno come periodo in cui si risolverà, mentre in campagna elettorale diceva che sarebbero bastate poche settimane.
Intanto la liquidità di Alitalia è scesa a 375 milioni. Quindi, escluso il “prestito ponte” di 300 milioni – che la Commissione Europea potrebbe obbligare a restituire – in cassa rimangono 75 milioni “puliti”. Senza novità, il fallimento è alle porte.
Al di là delle indiscrezioni di stampa sulle soluzioni individuate dall’advisor, tre sono le notizie sufficientemente attendibili che vale la pena menzionare: 1) la rinuncia di Roberto Colaninno a far parte della “cordata italiana” in assenza di un forte partner internazionale; 2) l’indisponibilità a contribuire al salvataggio, dichiarata da Gilberto Benetton al Sole 24 Ore, in mancanza di un piano d’impresa serio e credibile; 3) la conversazione tra Eugenio Scalfari e Corrado Passera (l’advisor nominato dal governo), in cui quest’ultimo ha chiarito l’assoluta necessità di una newco libera da tutti i debiti della vecchia Alitalia e l’obiettivo strategico di riottenere almeno il 65% del mercato interno, “prelevando” la flotta e i migliori slot di Air One, in cambio di azioni della newco.
Le tre notizie ci dicono che, al momento, a) un vero piano industriale (alternativo a quello Prato-Air France-Klm) non c’è; b) non esiste alcun partner internazionale nel cui solido ed esteso network inserire l’indebolita Alitalia, generando sinergie positive e creando valore; c) l’unica idea “industriale” dell’avisor è puntare alla parziale rimonopolizzazione del mercato interno italiano, sulla base del non cogente argomento che “così fan tutte” (le compagnie di bandiera europee); d) che i debiti di Alitalia rimarranno sul collo dei contribuenti italiani, “perché nessun imprenditore metterebbe un centesimo nella vecchia struttura Alitalia”.
Come mai, viene da chiedersi, Air France-Klm erano disposte a farsi carico dei debiti Alitalia? Come mai l’odiato straniero avrebbe evitato l’ennesimo prelievo dalle tasche degli italiani, mentre la cordata di salvatori della patria pensa che proprio tale prelievo sia una condizione sine qua non? Interrogativi su cui meditare a Ferragosto.
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Si è laureato alla Sapienza di Roma e ha proseguito gli studi nel Regno Unito (M.Phil. Cambridge). Attualmente insegna Macroeconomia ed Economia Monetaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative. Ha fatto parte della Commissione tecnica per la spesa pubblica presso il Ministero dell’Economia (1993-2003) e delle commissioni incaricate del Piano generale dei trasporti (1998-2001), del Piano della Logistica (2004-2006 e 2010-2012). È stato consigliere economico del Ministro dei trasporti (1995-1996), componente del Consiglio di Sorveglianza e del Comitato remunerazioni di Banca Popolare di Milano (2013-2016) ed è stato “esperto” della Struttura Tecnica di Missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (2016-2018). Fa parte del Consiglio di Amministrazione de “la Verdi”, Fondazione orchestra e coro sinfonico. Autore di “Macroeconomia” (Il Mulino, 3° ed. 2019); “Sette luoghi comuni sull’economia” (Laterza, 2017); “L’economia in tasca” (Laterza, 2017); “Scusi Prof, cos’è il populismo” (con Rony Hamaui, Vita e Pensiero, 2019) e di varie pubblicazioni nazionali e internazionali in tema di economia della regolazione e dei trasporti, di macroeconomia e di economia applicata al settore bancario. Collaboratore di Repubblica – Affari & Finanza e de Il Sole 24 Ore. È stato membro del consiglio di amministrazione di Atlantia. Redattore de lavoce.info.
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