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IL PREZZO DELLA TRASPARENZA

La semplificazione delle informazioni trasmesse al mercato ha consentito alle banche di ampliare la platea dei compratori dei propri titoli. Ma ha anche determinato una catastrofica incertezza, che paralizza i mercati e si riverbera persino nelle scelte di politica economica degli Stati Uniti. La scelta di opacità degli emittenti e delle società di rating è stata socialmente dannosa e avrebbe dovuto trovare un argine molto più fermo nella regolamentazione. Anche se prima di oggi in pochi pensavano che la trasparenza potesse valere il 5 per cento del Pil degli Stati Uniti.

La caratteristica più sorprendente dell’attuale crisi è che la stima delle perdite delle banche ha subito continue e macroscopiche revisioni al rialzo. Quando i primi problemi nel settore dei prestiti “subprime” sono emersi nel 2006, il problema sembrava riguardare un settore tutto sommato modesto del mercato creditizio statunitense. Ma già nel dicembre del 2007, l’Economist stimava che le perdite legate alle insolvenze sui prestiti ipotecari fossero tra 200 e 300 miliardi di dollari. E nell’aprile del 2008 il Fmi prevedeva perdite di 565 miliardi di dollari sui prestiti ipotecari e sui titoli a essi legati, e di 945 miliardi includendo anche prestiti e titoli relativi agli immobili commerciali, al credito al consumo e ai prestiti alle imprese. Ora c’è chi suggerisce che l’entità delle perdite sia ancora maggiore. Come è potuto accadere che banchieri, banche centrali, istituzioni internazionali ed esperti economici abbiano compiuto errori così macroscopici nella stima delle insolvenze? E come può accadere che siano tuttora incerti sulla loro reale entità?

LE ORIGINI DELL’INCERTEZZA

L’incertezza deriva dalle stesse radici di questa crisi, cioè dall’opacità della cartolarizzazione (securitization) con cui le banche hanno “impacchettato” i loro crediti in titoli strutturati e poi li hanno venduti, spesso dopo averli suddivisi in tranche di diversa rischiosità. In questo processo, al mercato sono state trasmesse solo le informazioni rozzamente sintetizzate nel rating del portafoglio di crediti o delle sue tranche. Così si sono perse molte informazioni rilevanti per valutare la rischiosità dei crediti inclusi in quei portafogli.

Poiché i titoli strutturati e i loro derivati sono stati massicciamente acquistati da banche, compagnie di assicurazione e fondi di investimento, l’incertezza sul valore di questi titoli si è trasformata in incertezza sull’ammontare di perdite e toxic assets nascosti nei bilanci delle banche, e ha reso loro difficile o impossibile ottenere liquidità o capitali freschi per rifinanziarsi. Infatti, l’estremo grado di incertezza genera paura, e la paura genera paralisi. È sintomatica a questo proposito la vicenda di Lehman Brothers, la grande banca d’investimento che ha avuto un’importanza centrale nel processo di securitization. Quando Lehman è entrata in crisi, la primaria banca inglese Barclays è stata l’unica istituzione a manifestare interesse per l’acquisto di Lehman, ma per paura che il suo bilancio nascondesse più perdite e toxic assets di quelli dichiarati, ha chiesto che il Tesoro statunitense desse una garanzia contro questo rischio. Il Tesoro si è rifiutato di offrirla, la Barclays si è tirata indietro, e Lehman è fallita. Si può dire che questo fallimento, il maggiore nella storia degli Stati Uniti, sia il frutto dell’incertezza. Non si può escludere che in realtà Lehman fosse ancora solvibile, se solo il suo attivo e passivo avessero potuto esser valutati correttamente.
L’incertezza generata dalla mancanza di trasparenza è anche all’origine dell’illiquidità dei mercati dei titoli. Dopo il giugno 2007, il mercato dei titoli strutturati si è praticamente congelato, e perfino la liquidità sui mercati monetari si è rarefatta. Anche in questo caso la ragione è la paura creata dall’incertezza: ogni operatore temeva di acquistare titoli sotto i quali potevano celarsi prestiti inesigibili in misura superiore alle attese, e perciò se aveva liquidità preferiva tenersela piuttosto che metterla in circolazione. A sua volta, questa paralisi dei mercati ha aggravato la situazione delle banche, rendendo illiquide le loro attività e costringendole a ridurre il credito.
La stessa incertezza può infine spiegare il comportamento altalenante e intempestivo delle autorità statunitensi di politica economica: l’8 settembre il Tesoro ha nazionalizzato le due agenzie Fannie Mae e Freddie Mac, che garantiscono la maggior parte dei prestiti ipotecari degli Stati Uniti. Il Tesoro aveva ottenuto l’autorizzazione dal Congresso fin da luglio, e all’epoca aveva insistito sul fatto che non ci sarebbe stato bisogno di intervenire. Il 15 settembre lo stesso Tesoro ha lasciato fallire Lehman. Il 18 settembre la Fed ha salvato Aig, la più grande compagnia di assicurazione del mondo, facendole un prestito massiccio, con l’opzione di acquistare l’80 per cento delle sue azioni, sostituire i suoi dirigenti e quasi azzerare l’azionariato pre-esistente. Infine il 20 settembre, Henry Paulson ha chiesto al Congresso americano di stanziare 700 miliardi di dollari (pari al 5 per cento del Pil degli Stati Uniti) per rilevare i toxic assets delle banche, si spera a congrui sconti. Eppure, la proposta era stata avanzata fin dall’aprile 2008 da Luigi Spaventa sul Financial Times, che aveva osservato che non si potrà uscire dalla crisi fin quando le autorità non interverranno a ristabilire dei prezzi dei titoli strutturati, quei prezzi che a causa dell’incertezza i mercati non riescono più a determinare. (1)
Forse le dimensioni della crisi avrebbero potuto essere più contenute se la proposta fosse stata attuata prima. Ma anche il ritardo è stato probabilmente dettato dall’incertezza sulle reali dimensioni del problema.

UNA SCELTA SOCIALMENTE DANNOSA

Ma cosa spiega il comportamento che è all’origine di questa catastrofica incertezza, e cioè la distruzione di tante informazioni rilevanti nel processo di securitization e di rating dei titoli strutturati? La risposta è che la semplificazione delle informazioni trasmesse al mercato ha consentito alle banche di ampliare la platea dei compratori dei propri titoli: dare informazioni dettagliate e complesse avrebbe tenuto lontani dal mercato dei titoli strutturati molti operatori poco sofisticati, che sarebbero stati svantaggiati rispetto agli operatori capaci di interpretare queste informazioni. (2)
Quindi una maggior trasparenza avrebbe costretto gli emittenti a ridurre le emissioni di titoli o ad accettare un mercato primario meno liquido, il che avrebbe ridotto gli introiti degli emittenti e delle società di rating. Per evitare ciò, si è preferito ampliare a dismisura il mercato primario, a costo di compromettere stabilità e liquidità di quello secondario.
Ora sappiamo che questa scelta degli emittenti e delle società di rating è stata socialmente dannosa: la liquidità dei mercati e la stabilità del sistema creditizio hanno un valore sociale ben maggiore di quello privato, tanto che per tutelarlo il Tesoro statunitense oggi è disposto a sacrificare il 5 per cento del Pil del paese. Ma questo indica anche che la scelta di opacità degli emittenti e delle società di rating avrebbe dovuto trovare un argine molto più fermo e rigoroso nella regolamentazione. Che la trasparenza delle informazioni fosse importante per il funzionamento dei mercati finanziari lo si sapeva, ma prima di oggi pochi pensavano che potesse valere il 5 per cento del Pil degli Stati Uniti, e forse di più. Ora che ce ne siamo accorti, chi regolamenta i mercati finanziari dovrà tenerne conto.

(1)Luigi Spaventa, “How a new Brady bond could ease the strain”, Financial Times, 11 aprile 2008. Spaventa ha ulteriormente elaborato la proposta in “Avoiding Disorderly Deleveraging”, Cepr Policy Insight No. 22, maggio.
(2) Gli investitori capaci di interpretare rating più complessi avrebbero infatti lasciato solo i titoli peggiori a quelli meno sofisticati, un problema che nella teoria delle aste è noto come winner’s curse. Queste argomentazioni, nonché le loro implicazioni per la regolamentazione dei rating, sono sviluppate analiticamente in Marco Pagano e Paolo Volpin, “Securitization, Transparency and Liquidity”, settembre 2008.

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LA MADRE DI TUTTI I SALVATAGGI

  1. habsb

    Egr. prof. Pagano che ruolo ha avuto nella cartolarizzazione dei crediti immobiliari, l’abrogazione (firmata da Clinton nel 1999) dell’antica legge Glass-Steagall con cui si separvano le attivita` di banca commerciale e banca di investimento? E’ possibile richiedere alle banche un’informazione sugli investimenti proposti superiore a quella proposta sulle azioni dalle societa` quotate (i cui bilanci sono spesso diciamo creativi), e a quella proposta dagli Stati sul proprio debito sovrano, (quale è lo Stato che non ha mai fatto default sul proprio debito?). Gli investitori di tutto il mondo sapevano perfettamente che la riforma del Community Reinvestment Act (firmata ancora da Clinton nel 1995) obbligava le banche a concedere prestiti a soggetti privi di garanzie, contando solo sul collaterale di un immobile soggetto a svalutazione e al calo di una bolla immobiliare prossima a sgonfiarsi. Ma per eccesso di ottimismo, cupidigia o negligenza non hanno esitato a investire. Non compiangiamoli troppo!

  2. Piero Torazza

    Approfitto della sua competenza per chiederle 2 cose: 1) i telegiornali dicono che siamo più sicuri dopo la regolamentazione finanziaria post Parmalat/Cirio. Potrebbe darci qualche info? E’ davvero così? 2) la forte Depenalizzazione del Falso in Bilancio, valida anche x le banche, ha aumentato i nostri rischi finanziari. Il timore della sanzione giudiziaria poteva anticipare il mercato. Perchè nessuno oggi ne parla? Fa comodo a troppi, non solo ai soliti noti? Grazie per la cortese attenzione.

  3. Massimo GIANNINI

    Leggo che si stanno indagando varie compagnie di Wall Street su presunte frodi. E se si venisse a scoprire, magari, che non è un problema di regolamentazione ma di "semplice" frode? Già in passato si è scoperto che sono managers, finanziarie et banchieri ha commettere irregolarità. Società di revisione e di ratings non vedono nulla perché in conflitto d’interessi o perché non vogliono vedere…La regolamentazione magari c’è ma l’avidità e la stupidità umana fa commettere frodi e irregolarità con coperture nel privato e nel pubblico. Si pensi ad esempio che i segretari al Tesoro negli USA spesso provengono dalle banche d’investimento coinvolte…

  4. Gambetta Leone

    Le finanze e i governi del mondo sono manipolati da giudeimassoni sostenuti e difesi dalle mafie locali, che sfruttano gli stati nel perseguimento dei loro interessi incuranti dell’usura che provocano. La globalizzazione funziona: parlare di banche o rifiuti, di Napoli o New York è la stessa "cosa" il paese paga e loro, solo loro intascano. Bisogna cambiare i libri: il dottore non può studiare sul libro pagato dalla casa farmaceutica, l’informazione deve dare il nome dei mandanti e non dei pupazzi esecutori.

  5. bellavita

    Sarebbe interessante un commento tecnico su chi sono e quali ragionamenti fanno questi raffinati matematici che alla fine hanno prodotto qualcosa come la valigia chiusa che si può comprare a certe aste negli USA, senza sapere cosa c’è dentro, e qual è la catena di rispettate notorietà scientifiche che ha fatto accettare uno scherzo del genere come strumento finanziario fondamentale per l’impiego della liquidità bancaria. Magari alla fine si scopre che è il vecchissimo trucco della piramide…ma elaborato da premi Nobel.

  6. Alberto Pozzolo

    Caro Professor Pagano, ho trovato la sua analisi assai interessante, ma mi rimane un dubbio. Perché fondi d’investimento e assicurazioni hanno privilegiato la liquidità all’informazione? Non mi pare ci sia evidenza che i titoli emessi a fronte delle cartolarizzazioni siano finiti nei portafogli di investitori sprovveduti e incapaci di valutare il rischio di una tranche rispetto a un’altra. Non potrebbe piuttosto essere un problema legato al fatto che alcuni investitori sono obbligati dalla normativa o da regolamenti interni a detenere una quota di titoli con ratings superiore a una certa soglia, e quindi preferiscono una grande tranche prossima all’invesstment grade, piuttosto che una separazione più fine tra investment garde e non investment grade?

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