Lavoce.info

DOVE SBAGLIA PAULSON

Se per procedure simili a quelle del Chapter 11 non c’è più tempo, si possono però utilizzare altre strategie per fermare la crisi, senza per forza ricorrere a un salvataggio statale generalizzato a spese dei contribuenti. Ad esempio, una parziale cancellazione del debito oppure lo scambio debiti-azioni. Le decisioni di questi giorni non sono importanti solo per le prospettive dell’economia americana nel prossimo futuro, determinano anche il tipo di capitalismo nel quale vivremo per i prossimi cinquanta anni. E’ il momento di salvare il capitalismo dai capitalisti.

 

Quando una impresa si trova a fare i conti con perdite imponenti, come è accaduto per esempio a Texaco nel 1985 dopo aver perso una causa da 12 miliardi di dollari contro Pennzoil, la soluzione non è far acquistare dallo Stato i suoi beni a prezzi esagerati, la soluzione è il Chapter 11.
In genere, sotto il Chapter 11, le aziende con una solida attività d’impresa trasformano i debiti in  partecipazioni azionarie: si eliminano i vecchi azionisti e le richieste dei creditori divengono richieste di partecipazione azionaria nel nuovo soggetto, che continua a operare con una nuova struttura del capitale. In alternativa, i creditori possono accettare di ridurre notevolmente il valore nominale dei loro crediti in cambio di warrant. Ancor prima del Chapter 11, le stesse procedure sono state adottate nelle disastrose bancarotte delle compagnie ferroviarie all’inizio del Ventesimo secolo. Perché allora un approccio così ben conosciuto non è stato utilizzato per risolvere gli attuali problemi dei settori finanziari?

SOLUZIONE CHAPTER 11

La risposta ovvia: perché non c’è tempo: le procedure del Chapter 11 sono in genere lunghe e complesse e la crisi è arrivata al punto in cui il fattore tempo è cruciale. Lasciato ai negoziati delle parti interessate, il processo richiederebbe mesi e non possiamo permetterci questo lusso.
Ma se il momento è eccezionale, il governo degli Stati Uniti ha preso e si prepara a prendere misure senza precedenti. Come se non bastassero il salvataggio di Aig e il divieto di vendite allo scoperto di tutti gli strumenti finanziari, ora il segretario al Tesoro Paulson propone una sorta di Resolution Trust Company che dovrebbe rilevare (con i soldi del contribuente) le dissestate attività del settore finanziario. Ma a che prezzo?
Se le banche e le istituzioni finanziarie hanno difficoltà a ricapitalizzarsi (cioè a emettere nuove azioni) è perché il settore privato è incerto sul valore delle attività che hanno in portafoglio e non vuole pagarle in maniera eccessiva. Il governo sarebbe capace di valutare meglio il valore di questi asset? No di certo. Nel negoziato tra un rappresentante del governo e un banchiere che vede a rischio il proprio bonus, chi avrà più forza nel determinarne il prezzo? La Resolution Trust Company di Paulson acquisterà le attività finanziarie tossiche a prezzi esagerati, creando così un istituto caritatevole che darà benessere ai ricchi a spese dei contribuenti. Se il sussidio sarà sufficientemente ampio, riuscirà a fermare la crisi. Ma, di nuovo, a quale prezzo? La risposta è miliardi di dollari in denaro del contribuente e, ancora più grave, a prezzo della violazione del principio fondamentale del capitalismo: chi raccoglie i profitti, sopporta anche le perdite.
Nella crisi delle “savings and loan”, il governo americano fu costretto ad acquisire quelle istituzioni perché i depositi erano assicurati dal governo federale. Ma oggi non ha l’obbligo di venire in soccorso dei creditori di Bear Sterns, di Aig o di qualunque altro istituto finanziario trarrà beneficio dalla Resolution Trust Company di Paulson.

DECISIONI PER IL FUTURO

Poiché non abbiamo tempo per il Chapter 11 e non vogliamo soccorrere tutti i creditori, il male minore è fare quello che fanno i giudici quando i processi per bancarotta si allungano perché il contenzioso è aspro: costringere i creditori ad accettare un piano di ristrutturazione nel quale una parte del credito è cancellata in cambio di una forma di partecipazione azionaria o di warrant. C’è persino un precedente per una mossa così ardita. Durante la grande depressione molti contratti erano indicizzati all’oro. Quando la convertibilità in oro del dollaro fu sospesa, il valore di quei debiti andò alle stelle minacciando così la sopravvivenza di molti istituti. L’amministrazione Roosevelt dichiarò inammissibile la clausola, imponendo di fatto una cancellazione del debito. E la Corte Suprema confermò la decisione. Randall Kroszner, oggi membro del board della Federal Reserve, ha studiato questo episodio e ha mostrato che non solo i prezzi delle azioni, ma anche quelli delle obbligazioni salirono notevolmente dopo la decisione della Corte Suprema. Com’è possibile? Come gli esperti di finanza societaria hanno continuato a ripetere negli ultimi trent’anni,  avere una struttura del capitale con troppi debiti e poco patrimonio comporta costi reali cosicché una riduzione del valore nominale del debito comporta vantaggi non solo per gli azionisti, ma anche per i creditori.
Ma se entrambe le categorie traggono vantaggi dalla cancellazione del debito perché i creditori non l’accettano di propria volontà? Prima di tutto, esiste un problema di coordinamento. Anche se ogni singolo creditore si avvantaggia dalla riduzione del valore nominale del debito, avrà ancor più benefici se a tagliare il valore nominale sono tutti gli altri, ma non lui. Quindi, tutti aspettano che siano gli altri a fare la prima mossa, provocando così un ovvio ritardo nell’azione. In secondo luogo, dal punto di vista dei creditori, il salvataggio statale resta più vantaggioso. Così ogni voce a riguardo riduce gli incentivi dei creditori ad agire, rendendo il salvataggio statale ancora più necessario.
Come è avvenuto nella grande depressione e in molte ristrutturazioni del debito, nelle attuali circostanze sarebbe corretto arrivare a una parziale cancellazione del debito o a uno scambio debito-azioni: è una strategia ben sperimentata nel settore privato e non coinvolge il contribuente. Se è così semplice, perché nessun esperto l’ha proposta?
I principali attori del settore finanziario non amano questa strategia: all’industria finanziaria piace molto di più essere salvata a spese del contribuente piuttosto che sopportare la propria dose di pena. Imporre uno scambio debito-azioni o una cancellazione del debito non comporta una maggiore violazione dei diritti di proprietà rispetto a un salvataggio di grandi proporzioni, ma incontra resistenze politiche più forti. Il vantaggioso della soluzione Paulson è che tassa i più per dare benefici a pochi. Ma i più, ovvero i contribuenti, sono sparpagliati e non possono ingaggiare una battaglia in Congresso. Invece, l’industria finanziaria è ben rappresentata a tutti i livelli: basti dire che per sei degli ultimi tredici anni, a ricoprire la carica di segretario al Tesoro sono stati uomini con un passato in Goldman Sachs. Ma in quanto esperti di finanza, questo silenzio è anche nostra responsabilità. Proprio come è difficile trovare un medico che testimoni contro un altro medico nei processi per imperizia, anche nei casi più eclatanti, così gli esperti finanziari di entrambi i partiti politici americani sono troppo indulgenti con l’industria nella quale hanno studiato o lavorato.
Le decisioni prese in questi giorni non sono importanti solo per le prospettive dell’economia americana nel prossimo futuro, determinano anche il tipo di capitalismo nel quale vivremo per i prossimi cinquanta anni. Vogliamo un sistema nel quale i profitti sono privati e le perdite socializzate? Dove il denaro dei contribuenti è utilizzato per sostenere imprese fallite? Oppure vogliamo vivere in un sistema dove le persone si assumono la responsabilità delle loro decisioni, dove i comportamenti imprudenti sono sanzionati e quelli prudenti ripagati? Per chi come me crede fermamente nell’economia di mercato, il rischio maggiore nella situazione attuale è che l’interesse di pochi finanzieri vada a minare i meccanismi fondamentali del sistema capitalistico. È giunto il momento di salvare il capitalismo dai capitalisti.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  2024: come orientarsi nei mercati finanziari
Leggi anche:  Condividere costi e profitti nell’Eurosistema non sempre è un affare

Precedente

IN BANCA LA MEDIAZIONE NON BASTA

Successivo

LA MADRE DI TUTTI I SALVATAGGI

20 commenti

  1. Ilya Kulyatin

    Mi trovo piu’ d’accordo con questo punto di vista, piuttosto che con quello di Charles Wyplosz (http://www.voxeu.org/index.php?q=node/1671), Va bene salvare Fannie e Freddie (vistoche’ erano "garantiti" dal governo USA), ma non si può di certo continuare a perdonare questi errori.

  2. MaPe

    La trasformazione che lei auspicava del debito in partecipazioni azionarie, a mio avviso, avrebbe delle ripercussioni negative sulle decisioni di investimento degli individui negli anni a venire. Chi sarebbe disposto a sottoscrivere debito, che per definizione ha rendimento inferiore a quello azionario ma gode di maggior tutela giuridica, pur supportando il maggior rischio di vedersi trasformare, in caso di crisi, il capitale di debito in capitale azionario? Lo stato americano sta socializzando costi che derivano dalla sua inefficace regolamentazione.

  3. Francesco Merone

    Sono d’accordo con la sua tesi del dover applicare una normativa, chapter 11, che ha funzionato nel passato tranne nei casi eccezionali della AIG e Fanni/Freddi. Il piano presentato da Paulson mi sembra tanto quello dell’Alitalia. Il debito cattivo va assegnato ai cittadini mentre la parte sana dell’azienda va agli imprenditori. Prima la caratteristica distintiva dell’imprenditore era che rischiava per costruire e guadagnare qualcosa. Il cittadino invece non amando il rischio sottoscriveva in genere titoli di stato. Adesso il cittadino paga il premio per il rischio e l’imprenditore lo incassa. Non mi sembra complicato gestire un’azienda con migliaia di clienti e presente sul mercato da anni, una volta che gli hanno azzerato i suoi debiti, è più difficile farla fallire che farla guadagnare. Una volta si diceva che gli USA si distinguevano dal mondo perchè si premiava il rischio, il lavoro, la produttività, ecc… oggi sembra che stiano diventando molto europei, anzi italiani in questo…..

  4. Vince

    Caro Professore, l’impostazione dell’articolo è buona e la proposta valida. Però, si tratta sempre di una soluzione di salvataggio. Ora, ammettiamo per ipotesi che non sia possibile, per una qualunque ragione. L’alternatiava, secondo le regole del mercato, è lasciare fallire l’istituto. I creditori cercheranno di rivalersi su ciò che rimane. La quota di mercato lasciata sarà, con un po’ di fortuna, presto colmata da un altro soggetto che dovrebbe assorbire parte dei lavoratori lasciati a casa. Rimangono tuttavia alcuni costi sociali del fallimento. Di questi, e solo di questi, è accettabile che si faccia carico lo stato, soprattutto là dove è responsabile per carenza. (Per intesi, senza risarcire chi a sottoscritto un’obbligazione strutturata con sottostante i subprime, anche se Fitch o altri gli avevano attribuito una tripla A. I rischi sono rischi, e il mercato dovrebbe saperlo). Passata la crisi, dovremmo avere un mercato migliore, meglio regolamentato e più efficiente. Domanda: cosa c’è che non va in questa alternativa?

  5. habsb

    Egr. professore prima dire che un uomo dell’esperienza di Paulson sbaglia, ci penserei due volte. Io non credo che sbagli per il motivo seguente: non sono le banche e tantomeno le assicurazioni le responsabili questa crisi immensa. Procediamo a ritroso: da dove si originano i colossali ammanchi di questi crediti immobiliari subprime? Dai milioni di famiglie che hanno contratto prestiti elevati senza poterli rimborsare. Allora sarebbe responsabile il banchiere che glieli ha concessi, se tale concessione fosse stata frutto della sua libera decisione. Ma con la riforma clintoniana del preeeistente Community Reinvestment Act (1995), il banchiere non ha più scelta: è obbligato a prestare anche a chi visibilmente non offre alcuna garanzia. Allora non è piuttosto lo Stato ad aver sbagliato con questa legge assurda e contraria al libero mercato? Io credo di si’, ed e` quindi giusto che sia lo Stato a pagare.

  6. mirco

    Trasformare il debito in azioni significa in definitiva cambiare il capitalista che è a capo dell’azienda in diffcoltà. Non sei stato abbastanza bravo a gestire l’azienda tanto che ti sei riempito di debiti? L’azienda è economicamente ok e il problema è solo finanziario? Bene trasformare il debito in azioni significa iniziare un processo di sostituzione dei proprietari. Questo sarebbe il vero capitalismo, che è a mio avviso legato all’idea di democrazia.L’altra soluzione è "Feudalesimo", sempre gli stessi capitalisti a capo di enormi aggolmerati e multinazionali che si possono permettere tutto con il ricatto di mettere in crisi intere economie reali e interi popoli chiedendo di socializzare le perdite! Troppo comodo! Effettivamente è in gioco in queste settimane il futuro dei prossimi 50 anni di economia e se dovesse prevalere la soluzione "Feudale" la ricaduta sui sistemi politici democratici occidentali sarà enorme in fatto di riduzione di democrazia.

  7. Giovanni

    Sono fermamente contrario ad un fallimento delle banche finanziarie: le investment bank hanno fruito di ingente liquidità fornita dal sistema finanziario internazionale e non da una specifica Banca Centrale. Gli operatori economici non hanno fatto altro che utilizzare moneta finanziaria per conto di terzi senza tener conto che quella stessa moneta era di loro proprietà causando una eccessiva relativizzazione del proprio vincolo di bilancio.

  8. Fra.G

    Sono pienamente d’accordo con ciò che ha scritto all’interno del suo articolo. Probabilmente le manovre di Paulson appaiono più come un tentativo estremo di "salvare il salvabile", ma sono paradossali vista la politica americana degli ultimi anni. Tutto ciò appare quantomeno in controtendenza alla politica liberista che aveva caratterizzato il comportamento statunitense in materia economica. Un economia in cui nessuno paga per i danni arrecati all’intero sistema, può essere controproducente e creare dei precedenti pericolosi, in cui, si assiste all’intervento dello Stato che non si limita a regolare l’attività economica ma che assume quasi comportamenti paternalistici con chi ha sbagliato ed ha continuato a perseverare nell’errore. I comportamenti opportunistici perseguiti dagli operatori hanno deturpato l’immagine del capitalismo, forse, in maniera indelebile.

  9. Piero Torazza

    Forse giusto e sbagliato sono parole non proprio adatte, in questo caso. Dipende a chi il potere politico "vuole" far pagare il conto : 1) ai contribuenti americani: con tasse o nuova moneta inflazionistica? 2) ad azionisti e manager della finanza, con l’azzeramento del capitale e dei bonus? 3) in parte all’estero, attirando capitali per il Trust Statale, pagando tassi molto alti che si ripercuotono anche sui tassi dei paesi Indebitati dell’Europa (vedi Italia)? La politica americana è influenzata dal Voto (vedi punto 1) e dalle Lobby (vedi punto 2). Forse dal "loro" punto di vista, preferirebbero la numero 3 (pagano in buona parte gli Altri). L’Europa avrebbe un forte interesse ad evitarlo ragionando come Comunità. Ce la farà?

  10. ANTONIO ANDINI

    In linea di principio sono d’accordo con lei. Si sta facendo troppo largamente uso del concetto della socializzazione delle perdite e privatizzazione degli utili, il caso Alitalia/Cai potrebbe rappresentare un altro esempio. Tuttavia, mi sembra di poter affermare che l’applicazione della Chapter 11 comporterebbe troppo tempo. La situazione volge al peggio. Il credito a breve è assolutamente paralizzato così che anche quelle aziende "sane" potrebbero trovarsi esposte per momentanea illiquidità. Secondo me, per il presente il punto è il giusto prezzo a cui acquistare questa parte di attivioltre a prevedere per il futuro delle norme di trasparenza più forti e stringenti il credito a breve è assolutamente paralizzato così che anche quelle aziende sane tra virgolette potrebbero trovarsi esposte per momentanea illiquidità. Secondo me per il presente il punto è il giusto prezzo a cui acquisire questa parte di attivi oltre a prevedere per il futuro delle norme di trasparenza più forti e stringenti in ordine alle attività finanziarie.

  11. ANTONIO ANDINI

    In linea di principio sono daccordo con lei. Si sta facendo troppo largamente uso del concetto della socializzazione delle perdite e privatizzazione degli utili, il caso Alitalia/ Cai potrebbe rappresentarne un altro esempio. Tuttavia mi sembra di poter affermare che l’applicazione della chapter 11 comporterebbe troppo tempo. La situazione volge al peggio, il credito a breve è assolutamente paralizzato così che anche quelle aziende sane tra virgolette potrebbero trovarsi esposte per momentanea illiquidità. secondo me per il presente il punto è il giusto prezzo a cui acquisire questa parte di attivi oltre a prevedere per il futuro delle norme di trasparenza piu’ forti e stringenti in ordine alle attività finanziarie.

  12. Amedeo Pugliese

    Grazie Prof. Zingales, per la chiarezza e l’efficacia dei concetti espressi. Io trovo che la situazione sia ancora più grave rispetto a quanto indicato: a. Il salvataggio con fondi pubblici rappresenta un precedente pericolosissimo cheporta con se un forte incentivo per l’industria finanziaria a replicare cartolarizzazioni e assumere rischi eccessivi. b. A quali settori dell’economia reale sono state sottratte le risorse: immagino sanità, scuola, welfare. L’economia finanziaria batte sempre quella reale (?). Saluti

  13. Massimo GIANNINI

    Paulson is wrong simply beacause he also was a former co-CEO of Goldman Sachs. Like previous Treasury Secretaries, he has a bit of conflict of interest and he knew what was happening in the financial markets, didn’t he?

  14. AB

    Sono convinto che la soluzione proposta da Paulson sia giusta – e in effetti l’idea di una Super-SIV (benchè senza supporto pubblico) era emersa un anno fa. A posteriori forse è tardiva, ma è chiaro che una soluzione così costosa in termini finanziari e politici sarebbe stata dura da accettare se non in uno stato di emergenza. Restano da definire molti particolari essenziali, comunque (ad esempio il prezzo a cui i crediti tossici verranno passati in carico al fondo) ed è in base a questi "particolari" che si potrà dare un giudizio vero e proprio. Penso che si debbe essere pragmatici e non fermarsi a dire che dare al Tesoro americano la possibilità di convertire in azioni i crediti sia da evitare a priori in quanto nazionalizzazione del sistema: non si tratterebbe di una soluzione politica tesa a dare alla politica la possibilità di gestire direttamente le banche ma di una soluzione-ponte che darebbe anche modo al taxpayer di recuperare qualcosa. Quanto ai "colpevoli": non per sminuire le responsabilità dei CEO delle banche più coinvolte ma la radice del problema è stata l’arrendevolezza di Greenspan al governo. Chi propugna il primato della politica sulla BCE lo tenga presente.

  15. luis

    Se non ho frainteso, essendo solo un piccolo risparmiatore che segue la finanza, la soluzione prospettata dal professor Zingales è simile a quella messa in atto per gli obbligazionisti della Parmalat che hanno avuto, in cambio delle obbligazioni in default, titoli azionari e warrant ( rimettendoci, ad oggi, il 50% circa). In teoria è da condividere. Ma a me sembra che siamo seduti su un cratere che sta per esplodere e non c’è un attimo di tempo da perdere. Cosa faranno cinesi e giapponesi che hanno nei loro portafogli una quota altissima dell’astromico deficit americano? Se togliessero di colpo i loro investimenti non solo fallirebbero banche e assicurazioni ma anche gli Stati Uniti.

  16. Stefano Feltri

    C’è un pensiero di cui non mi riesco a liberare in queste settimane di crisi: il boom di Borsa degli ultimi anni e la crescita del pil dopo l’undici settembre sono stati sostenuti dalle stesse banche e dagli stessi fenomeni (credito facile, tassi bassi ecc.) che ora sono alla base della crisi. Di quel benessere hanno beneficiato tutti anche nella main street, non solo a Wall Street, ora il conto lo pagano tutti, ma il più salato viene presentato agli operatori di Borsa e agli azionisti. E’ così sbagliato?

  17. habsb

    La soluzione di Paulson è la stessa adottata all’inizio degli anni 90 dalle autorità scandinave, alle prese con una crisi dai contorni assai simili, ovviamente commisurata alla diversa taglia dei mercati in questione. Anche allora, le banche si trovarono in insolvenza dopo una crescita abnorme dei prezzi immobiliari. E anche allora, furono i governi a ripianare i debiti, senza che nessuno strepitasse di fine del capitalismo o tosatura dei poveri contribuenti. Ne’ tanto meno di ulteriore regolazione del mercato da parte di quelle stesse autorità che già lo regolano e che nel caso USA hanno causato la bolla immobiliare tramite leggi sbagliate e eccessiva offerta di moneta.

  18. Luigi Maria Sorrenti

    È vero quello che dice Zingales, e pure giusto. La domanda è: perché questa sorta di fuga generale dalle responsabilità con copertura governativa? Potrei rispondere che il libero mercato è un mito, mai esistito il libero marcato nella realtà! ma non è del tutto vero: è più facile ad esempio che il libero mercato operi in UE, col sistema che abbiamo. Le multinazionali hanno ricevuto condanne in Europa con effetti diretti sul mercato americano: fusioni avvenute in america sono state vietate in Europa dall’antitrust, e il divieto ha avuto effetti in USA rendendo inutili e dannose, per loro, quelle fusioni che a seguito delle decisioni USA sono state infatti annullate. In Europa questo si può fare, paradossalmente, perché c’è più stato che in USA. Quindi più stato – nel senso di più regole – può garantire più mercato. Non c’è altra via, è così. Ma come costruire più stato per avere più mercato? È questa la battaglia vera dei prossimi anni.

  19. Tarcisio Bonotto

    Zingales scrive: "Per chi come me crede fermamente nell’economia di mercato, il rischio maggiore nella situazione attuale è che l’interesse di pochi finanzieri vada a minare i meccanismi fondamentali del sistema capitalistico. Ebbene sarebbe meglio affermare che va a ‘minare la sicurezza e il benessere di tutti’. L’economia è per il benessere di tutti, non fine a sé stessa e perciò il mercato deve essere controllato, non libero. Sono proprio i fondamenti del sistema capitalistico che hanno portato alla sua recente bancarotta. Non sto elogiando il già fallito sistema comunista, come alternativa, ma un’economia socializzata, in cui le persone, già matura per questo salto, partecipino ai rischi e agli utili, alla gestione delle imprese. Un neo socialismo del 21mo secolo. Democrazia economica, partecipazione etc. Ormai il modello del singolo imprenditore è morto, ne vediamo i tetri risultati e questo modello non risponde più alle comuni esigenze di sicurezza economica. Il capitalismo scoppierà come tanti petardi, scrive Sarkar. Aspettiamo questo momento, come lo è stato per il muro di Berlino.

  20. Armando

    Secondo il professor Zingales "il rischio maggiore nella situazione attuale è che l’interesse di pochi finanzieri vada a minare i meccanismi fondamentali del sistema capitalistico." Io non vivo negli States, ma ho l’impressione che questo rischio proprio non esista. Per chi lavora nell’industria o nel terziario i meccanismi fondamentali del sistema capitalistico continueranno a funzionare come sempre, come prima. Il copione, di qua o di là dell’Atlantico sarà il medesimo: più finanza, meno economia reale; più mercato, meno welfare; meno tasse, più povertà, disuguaglianze, infelicità. Dov’è il problema?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén