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MA IL CAPITALISMO E’ VIVO

Tra il 2003 e il 2007 le banche hanno compiuto errori tanto gravi quanto grossolani. Ma il vero problema è che per più di un anno si sono ostinate a negare l’evidenza delle loro perdite. Ora arrivano i fallimenti. Ma non è certo la fine del capitalismo. Anzi è l’inizio della fine della crisi. Perché il fallimento è la sanzione ultima del mercato. Quanto alle regole, quelle attuali sono mal strutturate e sicuramente troppo complesse. E i controllori hanno lasciato che le banche le aggirassero. Anche perché tra controllore e controllato si gioca una partita diseguale.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni confermano che l’attuale crisi è senz’alcun dubbio la più grave verificatasi nella storia delle istituzioni bancarie. Wall Street è stata decimata, e non è ancora finita. Altri gioielli della finanza internazionale spariranno nei giorni o nelle settimane a venire. Il che, però, non sorprende, non rattrista, non preoccupa.

ERRORI DELLE BANCHE

Tra il 2003 e il 2007 le banche hanno compiuto errori tanto madornali quanto grossolani. Con forme e nomi complicati, hanno comprato enormi quantità di prestiti ipotecari americani, quando i prezzi dell’immobiliare erano alle stelle. Molteplici studi e accurate analisi continuavano a mettere in guardia i compratori, prevedendo che i prezzi delle case sarebbero crollati. Accecate dalla sete di guadagno, le banche hanno tuttavia continuato imperterrite. Il crollo preannunciato è avvenuto, con ovvie conseguenze. Mercati impazziti? Senza dubbio, ma anche macroscopici abbagli delle banche. Tutto ciò non mostra niente di nuovo sotto il sole. Errare è umano ed è umano anche il comportamento da pecoroni. Ciò che è realmente singolare e interessante è il seguito della storia.
Per più di un anno le banche hanno tentato di negare l’evidenza. Invece di riconoscere le loro perdite, hanno spiegato, con accenti dotti, che era impossibile valutarle. E se non esistono perdite, non esiste fallimento. Bastava attendere giorni migliori. Nell’attesa, la situazione era bloccata e le condizioni economiche iniziavano a degradarsi. A questo punto ecco un’altra idea brillante delle banche: i contribuenti potevano fare uno sforzo e tirarle fuori dal guado. Il che è lontano anni luce dal capitalismo. Fortunatamente le autorità non si sono lasciate convincere. I fallimenti della settimana scorsa hanno segnato la fine della ricreazione. Si comincia finalmente a tirare le conclusioni, il che significa l’inizio della fine della crisi. Ci saranno ancora alcuni scossoni, ma si è sulla buona strada.

LA SANZIONE DEL MERCATO

È la fine del capitalismo allora? Tutt’altro. Il fallimento è la sanzione ultima dei mercati. Le aziende nascono e, se sbagliano, muoiono. E sono rimpiazzate da altre più giovani e vigorose. È ciò che si chiama distruzione creatrice ed è la base fondamentale della dinamica economica dei mercati. Ci è voluto un anno perché venisse applicato questo principio elementare, un anno durante il quale il capitalismo è stato messo in difficoltà e osteggiato da una ristretta lobby, fatta di amicizie e intimidazioni, l’opposto cioè della concorrenza. La pulizia ora in corso a Wall Street segnala il trionfo del capitalismo e preannuncia un sistema bancario rigenerato. Quelle banche che si erano cullate sull’onda dell’autocompiacimento, vengono cancellate. Ne sorgeranno di nuove, pronte a trarre insegnamento dagli errori del passato. Un giorno anch’esse invecchieranno, faranno a loro volta grandi errori, magari gli stessi, e spariranno. Un mercato efficace significa un mercato in cui sopravvive solo chi vale. Wall Street ritroverà presto una nuova giovinezza.

REGOLE E CONTROLLORI

È la fine del laissez faire ? È il ritorno delle regole ? Assolutamente no. In materia bancaria parlare di laissez faire significa ritornare al diciannovesimo secolo. Oggigiorno la professione bancaria è soggetta a regole rigide. Il problema non consiste quindi nel porre o non porre determinate regole, ma nel migliorare quelle esistenti. La crisi ha dimostrato che l’attuale regolamentazione è mal strutturata, forse sin troppo pignola. E sicuramente troppo complessa.
Gli accordi internazionali di Basilea II hanno partorito uno strumento incomprensibile sia per i dirigenti delle banche, sia per i controllori. Vengono totalmente ignorate le situazioni estreme, le situazioni di crisi, proprio quelle in cui ci sarebbe più bisogno di un indirizzo preciso. Tali accordi prevedono il ricorso a società di revisione, aziende private i cui principali clienti sono proprio le banche: tali società finiscono pertanto con l’essere giudici e parti in causa allo stesso tempo, il che rende il loro lavoro assai difficile. Tutto ciò non ha niente a che fare col laissez faire. 
Ci si potrebbe quasi chiedere se non fosse preferibile il sistema del diciannovesimo secolo, che non aveva regole di sorta, invece di questo strettamente regolamentato, che conferisce una falsa impressione di sicurezza e che, in certa qual misura, coinvolge la responsabilità dei governi – e quindi quella dei loro contribuenti – che a tale sistema di regole hanno dato vita. Certo sto un po’ esagerando, ma è il messaggio che conta. Gli adepti di una maggior regolamentazione dovrebbero prima sperimentare se il rimedio è migliore della malattia. L’unica lezione certa che si può trarre, sin d’ora, da questa crisi è che in questo campo non siamo stati molto abili.
L’altra lezione è che i controllori – quelli cioè che controllano la regolamentazione – hanno fallito. Sapevano benissimo che le banche nascondevano i loro rischi aggirando le regole, il cosiddetto fuori-bilancio. Ma i controllori, in genere, sono pagati assai peggio di coloro che dovrebbero controllare. Gli esperti di finanza più abili non sono quindi attratti da questa professione. Tra il controllore e il controllato si gioca una partita diseguale. Se, in futuro, si vorrà evitare di rivivere situazioni così ingarbugliate, è necessario attirare esperti di finanza di alto livello anche nel campo dei controllori e non solo in quello dei controllati. Organizzare un sistema di regole che funzioni costa caro, a prezzo di mercato.

(traduzione di Daniela Crocco)

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L’EUROPA CHE NON C’E’

12 commenti

  1. giuseppe

    Le cronache di queste ore ci dicono che la crisi finanziaria, partita dagli Stati Uniti (ma con evidenti contraccolpi anche in Europa), è andata ben oltre il semplice fallimento. Qui si parla di catastrofe del sistema finanziario globale, per arginare la quale non basta più il ricorso al "semplice" fallimento delle banche e degli enti coinvolti perchè, in tal caso, la crisi finanziaria planetaria sarebbe esponenzialmente più devastante (inimmaginabile!). L’unico intervento che si spera possa arginare le conseguenze ben più nefaste del semplice fallimento è stato individuato nel salvataggio pubblico (dei Governi nazionali), a carico di tutti i contribuenti, sia negli Stati Uniti sia in Europa, tanto che alcuni deputati del Congresso Americano – a proposito della clamorosa operazione di "nazionalizzazione" delle imprese coinvolte – parlano apertamente di "socialismo". Cosa resta, a questo punto, della "mano invisibile" costretta a farsi salvare dalla "mano pubblica"? Non è forse proprio questo il grande limite del capitalismo: la ricerca senza limiti del profitto? Schumpeter, affermò che "sarà, infatti, proprio il successo del capitalismo a renderne inevitabile il declino".

  2. Massimo GIANNINI

    Tutto questo entusiasmo per questo nostro capitalismo io non lo vedo. Vedo piuttosto un continuo ripetere gli stessi errori. L’autore sembra infatti dimenticare quanto successo con lo scandalo delle Saving&Loans, il crack del fondo Long-Term Capital Management, il collasso di banche per traders fuori controllo, gli scandali Enron, Worldcom , etc. Ogni volta sembra piuttosto che si peggiori… Che dire poi del fenomeno di socializzazione e nazionalizzazione delle perdite e o controllo statale delle banche stesse. Sembra che più che di capitalismo si tratti di comunismo secondo il punto 5 del Manifesto del Partito Comunista di Carlo Marx: "Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo". Se quello che sta accadendo é capitalismo…crollerà come diceva Marx. Non ci resta che aspettare e sperare di superare ogni forma capitalistica.

  3. giacomo

    La mia opinione è che non si tratti solo di errori . C’è una trama luciferina in questo modo di fare Finanza , una larga area di connivenze interessate ; non oso pensare che gli organi di controllo non vedessero o fossero incompetenti (?) Leggere a posteriori tanti dotti interventi servirà alla storia , ma bisognerebbe che si muovessero ed in fretta i Giudici. Aspettiamo le conseguenze in Italia. Amen. Saluti

  4. Valerio Bra

    Veramente sono allibito da questa difesa d’ufficio del capitalismo, credo che se uno volesse spendere la sua vita nell’estasi di fedi dogmatiche troverebbe maggior conforto in ben altro che le idee schumpeteriane. Credo che sfugga completamente il senso delle ricadute del capitalismo, del liberismo (tanto io sono bravo), dei cocci che tutti pagheremo e quindi della "distruzione" sulla vita delle persone e sia sfuggito, dall’infatuazione delle politiche di Ronald Regan (!) che traspare dall’autore, il senso di cosa renda passabilmente coesa e accettabile una società, diciamo, moderna. Vivamente consiglierei di tornare almeno a J.K. Galbraith: The Economics of Innocent Fraud.

  5. Claudio

    Per avere una opinione fuori dal coro, puo’ essere utile, come in altre occasioni, leggere un editoriale del prof.Giavazzi pubblicato sabato sul Corriere della Sera: http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/27/Cosi_Nato_Google_co_9_080927017.shtml Potrebbe anche valere la pena di valutare quale sia stato il vero costo di introdurre per tutti gli strumenti finanziari la regola del mark-to-market, quando un vero mercato liquido di riferimento non e’ mai esistito: certo, ci viene insegnato che il valore di uno strumento finanziario e’ sempre il suo valore di sostituzione sul mercato, ma quando i prezzi riportati sul mercato non hanno piu’ relazione con la realta’ sottostante, che senso ha continuare a riferirsi a questi ? E’ piu’ irrazionale l’esuberanza di chi oggi posta accantonamenti per perdite non realizzate, ma che tra due anni postera’ lauti profitti (ottenuti rivalutando i presunti crediti deteriorati oramai ripagati) o la presunta ignoranza di chi valuta questi strumenti in un’ottica di costo storico e di cash flow ottenuti ?

  6. AZ

    Rileggendo un testo non di economia, ma un saggio storico (Arthur Schlesinger, "The Crisis of the Old Order: 1919-1933") ho la netta impressione che oggi si stampi la riedizione di un dibattito vecchio di un secolo, che precede/accompagna una crisi economico/finanziaria assai simile, mutatis mutandis, a quella del 29. Da profano e ignorante di scienza economica, mi pare anche di cogliere un parallelo tra il crollo dei prezzi agricoli che rovinò gli agricoltori americani negli anni 20 e la forsennata pressione al ribasso sui prezzi alla produzione in molti campi a cui abbiamo assistito negli ultimi 10 anni circa (calo dei prezzi alla produzione che in pochi casi si è tradotto in un conseguente e proporzionato calo dei prezzi al consumo). Ma sicuramente sono le rozze considerazione di un profano.

  7. giannidipillo

    Nessuno ha tirato in ballo le responsabilità delle agenzie internazionali di rating che hanno ignorato la reale situazione dei grandi nomi della finanza. Su quali informazioni e dati contabili queste agenzie pubblicano i loro ratings? Quale sarebbe, di grazia, la funzione di dette Agenzie, visto che macroscopicamente dimostrano di non aver saputo guardare più in là del loro naso?

  8. luciano

    Il fallimento viene considerato salutare perché elimina i più deboli e gli inetti dal mercato e questo è vero, ma il mercato non è una entità virtuale come, invece, sembra considerare l’autore, come del resto fanno tutti gli economisti, diciamo così, puri. Il mercato è fatto di uomini che nella maggior parte dei casi subiscono le decisioni di pochi che li possono costringere a rinunciare drammaticamente ai loro progetti di vita causa la perdita del lavoro e quindi del sostentamento. Certo che c’è una selezione e quindi, come sempre in questi casi, chi sopravvive è il migliore ma è proprio necessario che per ottenere il migliore, sia necessario fare milioni di vittime? Perché non si vuole cercare una strada che concili le benemerenze del mercato con il benessere di coloro che lo subiscono? Non mi piacciono i teoremi degli economisti per cui la concorrenza è l’unica strada per selezionare il migliore. I teoremi non fanno progresso civile perché il vero progresso deriva dalla scelta di una via di mezzo che tenga conto delle esigenze di tutti e non solo del profitto.

  9. mirco

    Quesnay se non ricordo male era un medico. Quando cominciò ad occuparsi di economia e scrisse il tableau economique, lo scrisse con la forma mentis del medico. Anche Marx quando parla di processi "merce denaro merce" e al contrario "denaro merce denaro" sembra a mio avviso che già in nuce avvertisse nel processo D-M-D una proliferazione metastasica dei soggetti economici in campo. Per il futuro, per l’economia che sarà, se non vogliamo distruggere tutto, occorre ripensare all’economia ad esempio partendo dalla funzione di produzione, inserendo le variabili ecologiche che permettono di considerare il concetto di riproducibilità della natura (Il progresso tecnicopotrà aiutarci moltissimo). Solo allora si potrà considerare il profitto una variabile utile ed accettabile nei limiti consentiti.

  10. Tarcisio Bonotto

    Il capitalismo come il comunismo nascono da una predisposizione psichica. P.R. Sarkar scrive nella sua teoria PROUT: Sia il capitalismo che il comunismo non sono perfetti. In entrambi questi sistemi le potenzialità psichiche, sono diretti, in un movimento mentale negativo, verso attività dannose nella sfera fisica, fisico-psichica e psichica. Nel capitalismo i ricchi dirigono la propria energia psichica nell’accumulazione di beni materiali. I poveri, in estrema povertà, nella lotta per l’esistenza mal utilizzano le proprie potenzialità psichiche e forza mentale in attività antisociali. Nel comunismo l’élite e i leader usano male le potenzialità psichiche nella manipolazione politica e repressione totalitaria. Nel capitalismo tali grezze tendenze e potenzialità mentali rimangono libere, senza controllo e nel sistema di mercato si trasformano in motivazioni di profitto senza fine. I capitalisti, industriali, commercianti soffrono della malattia psichica di accumulazione, al punto anche di privare gli altri delle necessità minime. In entrambi i casi le potenzialità psichiche sono usate male per attività sub-umane, nella sfera fisica, fisico-psichica e psichica. Questo deve finire.

  11. enki

    Articolo interessante. Sono invece colpito in negativo da alcuni dei commenti che lo riguardano. Chiedendo ipocritamente scusa per la polemica (essendo fine a se stessa sarebbe meglio non farla) vorrei dire una cosa: malgrado io sia di sinistra, svolga un lavoro "sociale" e venga da una famiglia operaia, certi commenti sul capitalismo-liberismo causa di tutti i mali contribuiscono a farmi diventare sempre + liberista, e a provare una simpatia sempre maggiore per gli imprenditori.

  12. mario ottaviani

    Traggo spunto da questa sua frase: "L’altra lezione è che i controllori – quelli cioè che controllano la regolamentazione hanno fallito…Ma i controllori, in genere, sono pagati assai peggio di coloro che dovrebbero controllare…" ma è anche vero che i controllori, società di Rating, società di revisione e quant’altro sono impossibilitati a lavorare in maniera approfondita perchè sono pagati dagli stessi soggetti che devono subire i controlli. Allora faccio una proposta per il sistema Italiano, anche per maggiormente qualificare la professione. Perchè non assegnare direttamente alla Consob il compito di incaricare i revisori e società di revisione per le verifiche previste dalla legge nelle varie società? Quando una società deve nominare i controllori dovrà rivolgersi direttamente alla Consob la quale assegnerà i revisori o la società di revisione in base ai propri criteri (intendo qualsiasi criterio che permetta di assegnare gli incarichi non più solo ai soliti noti); i compensi dovuti dalle società ai controllori saranno corrisposti direttamente alla Consob, la quale provvederà poi a girarli ai controllori stessi, magari trattenendo una piccola percentuale per il servizio.

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