Sul Corriere della Sera del 16 ottobre Giovanni Sartori stigmatizza gli economisti per non aver saputo prevedere nè evitare questa crisi, e ne trae la conclusione che leconomia è "un sapere «pratico» che consiglia male e che prevede altrettanto male, produce guai o comunque ci lascia nei guai". Certo, è difficile negare che nellinsieme il prestigio degli economisti esca abbastanza malconcio da questa crisi. Ma è vero che tutti gli economisti siano stati così ciechi come dice Sartori? Basta leggere per esempio gli scritti di un grande economista come Robert Shiller sulla bolla immobiliare per rendersi conto che non è così. E non pochi avevano sottolineato l’eccessivo lassismo della politica monetaria fino al 2005 e i conflitti di interessi nelle società di rating e nelle banche, che hanno avuto parte non piccola nella genesi di questa crisi.
Ma – si dirà – queste sono state posizioni minoritarie. Se così non fosse, perché avremmo avuto la crisi? Innanzitutto, una frase del genere presuppone che gli economisti siano sempre ascoltati e influenti: a noi piacerebbe che fosse così, ma non è vero. Ma facciamo pure lipotesi eroica che gli economisti siano sempre ascoltati e che quindi la terribile crisi attuale sia colpa della loro miopia. Allora, caro Sartori, quando le cose vanno bene dovremmo darne merito agli economisti: quante crisi sono state evitate o attutite perché gli economisti – per esempio, quelli al lavoro nelle banche centrali – le hanno previste e debellate sul nascere? Si ricorda per caso della sventata crisi finanziaria dopo la crisi di LTCM nel 1998? E di come sono state attutite le conseguenze del crollo di borsa del settore hi-tech tra la fine del 2000 e linizio del 2001, nonché quelle dello shock dell’11 settembre 2001? E si tratta solo di alcuni esempi recenti – la lista si allungherebbe fino alla noia se iniziassimo dalla fine della seconda guerra mondiale… Dovremmo allora portare gli economisti in trionfo per la maggior parte del tempo?
Ovviamente no. Innanzitutto perché è ingenuo pensare che, sia nelle scelte giuste che in quelle sbagliate, noi economisti abbiamo il ruolo determinante immaginato da Sartori, soprattutto a confronto con quello dei politici. E poi perchè siamo ben consci che il nostro "sapere pratico" è molto imperfetto e che di errori ne facciamo tanti, sia nella comprensione che nella previsione del comportamento di un sistema molto complesso, risultante dall’interazione di milioni di persone, il cui comportamento individuale è a sua volta solo parzialmente chiaro non solo a noi economisti ma anche a psicologi e medici. Al pari degli studiosi di meteorologia, che a volte non riescono a prevedere la formazione e la direzione di cicloni e tornadi, anche noi facciamo errori. Ma non ci risulta che nessuno abbia chiesto l’abolizione delle stazioni meteorologiche dopo un errore di previsione sul percorso di un devastante tornado.
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Riccardo Cesari
Aggiungerei che a nessuno sano di mente verrebbe da imputare la perdurante crisi politca italiana ai politologi italiani.
chiara rubino
…gli economisti fossero potenti!!
mirco
La polemica mi sembra un pò stucchevole. Credo che per gli esperti e i ricercatori un po’ in tutte le discipline, quello che serve è l’indipendenza di giudizio e la serietà della ricerca e dell’analisi. Come è disdicevole e poco morale il comportamento di un ricercatore ad esempio di nuovi medicinali che orienta lo studio su prodotti profittevoli per l’industria e inefficaci per la salute magari intervenendo sui media presentandoli come ottimi, allo stesso modo l’economista deve analizzare e studiare la scienza economica e i fenomeni senza badare agli interessi dei propri finanziatori. Credo che ci sia un male comune in tutte le discipline: la dipendenza verso i finanziatori della ricerca. E’ indispensabile l’indipendenza delle università e dei centri di ricerca e occorre che tutti combattano per la libertà dei professori e dei ricercatori! Ne va del bene comune. Che ne è stato della obiettività delle società di revisione? Quanti sono i cosiddetti "esperti" sui generis? Ad esempio un promotore finanziario ( o consulente finanziario) guadagna rispetto a ciò che vende o rispetto alla qualità della consulenza?
Giacomo Dorigo
Credo che la miopia che affligge Sartori vada oltre il confine delle scienze economiche e comprenda un difetto di visione generale nei confronti delle scienze. Molti infatti non hanno ancora capito che il pregio della scienza è sapersi correggere in base ai propri errori piuttosto che vivere di verità rivelata come le metafisiche devozionali. Questo processo di autocorrezione necessità dell’errore e della capacità critica di individuarlo. Purtroppo in economia, a differenza che in fisica o in ingegneria, non si possono fare centinaia di esperimenti di laboratorio o prove tecniche prima di estendere il frutto delle proprie ricerche all’uso quotidiano, però questo non vuol dire che l’approccio empirico sia da buttare, anzi seguirlo è l’unico modo per evitare di vendere fumo.
Gianni
Sarrtori ha ovviamente ragione. Gli economisti mainstream non sono riusciti a capire una banalità come quella che manipolare i prezzi (nel caso il tasso di interesse per così lungo tempo) produce una sitematica cattiva allocazione dei fattori e delle scelte degli individui. Non sono riusciti a capire che inondare il mercato di liquidità non equivale in nessun caso ad ampliare i mezzi investibili a meno di confondere pezzi di carta colorata con risorse materiali. Cio’ che è incredibile è che gli economisti mainstream pur vedendo collassare un sistema come quello socialista non piu’ di 20 anni in cui prezzi e quantità erano totalmente piabnificati proprio come nel caso del governo della moneta da parte di istituti pubblici come le banche centrali fa non hanno capito bulla di cosa siano i prezzi. Pagano sembrerebbe affermare che gli economisti hanno evitato il radicamento delle crisi, ma in realtà non hanno fatto altro che suggerire per ciacuna crisi esattamenmte le misure che hanno portato a questa e le hanno rese sempre piu’ violente (quella del LTCM è uno starnuto rispetto a questa, mentre la bolla della New Economy al piu’ una leggera influenza).
Massimo GIANNINI
Su questo sito lo scritto di Sartori non puo’,purtroppo, raccogliere molti consensi. Tuttavia il suo messaggio é tanto chiaro quanto provocatorio ed io lo sottoscrivo. Non mi limiterei alla questione se gli economisti sappiano fare previsioni o meno, non mi pare interessante perché quello é appunto il compito della metereologia e di chi si affida più a scienziati piuttosto che economisti o politologi. Sartori richiama pero’ l’attenziane alle regole, al loro rispetto e al buon senso in economia e non alla cultura economica da casino’, frutto di una dubbiosa innovazione finanziaria. E’ inutile ogni volta avere disquisizioni fideistiche sul mercato che vince o che perde (ce ne sono state molte qui in questo sito e anche oggi su Repubblica) o capitalismo vivo o morto. Andiamo al cuore dei problemi e cerchiamo di risolverli con analisi precise, numeri e come dice Sartori facciamo prevenzione. La logica del profitto non si puo’ spingere troppo e contro le regole, anche di gravità, solo perché si ha fiducia in un mercato senza regole.Non é fisiologico e non imparare dalle crisi (7-8 le grosse) é diabolico. Anch’io avevo scritto sul meccanismo di autodistruzione, ma non siamo al CERN…
Gianni Elia
Gli economisti mainstream non sono riusciti a capire una banalità come quella che manipolare i prezzi (nel caso il tasso di interesse) per così lungo tempo produce una sitematica cattiva allocazione dei fattori e delle scelte degli individui. Non sono riusciti a capire che inondare il mercato di liquidità non equivale in nessun caso ad ampliare i mezzi investibili a meno di confondere pezzi di carta colorata con risorse materiali. Ciò che è incredibile è che gli economisti mainstream pur vedendo collassare un sistema come quello socialista non più di 20 anni fa, in cui prezzi e quantità erano totalmente pianificati proprio come nel caso del governo della moneta da parte di istituti pubblici come le banche centrali, non hanno capito nulla di cosa siano i prezzi Pagano sembrerebbe affermare che gli economisti hanno evitato il radicamento delle crisi ma in realtà non hanno fatto altro che suggerire per ciacuna crisi esattamenmte le misure che hanno portato a questa e le hanno rese sempre piu’ violente: quella del LTCM è uno starnuto rispetto a questa, mentre la bolla della New Economy al più una leggera influenza.
Tarcisio Bonotto
C’è la sensazione che gli economisti e meglio gli intellettuali, compresa gran parte della politica, che dovrebbero segnare il passo dello sviluppo socio-economico, se hanno saputo analizzare, verificare i dati non sono stati in grado di educare i cittadini’ ai rischi e benefici di certe politiche, attraverso giornali, TV etc. Si dice che i parametri da verificare siano molti, ma ne se tenessimo presente i principali uno tra quali la ‘sopravvivenza di tutti i cittadini’, avremmo potuto sviluppare un sistema economico che distribuisce a tutti prima il companatico e solo dopo gli incentivi. Il rapporto tra stipendio minimo e massimo in Italia è di 1 a 2000. Nei Paesi Baschi tale rapporto è di 1 a 6 e vi è più sviluppo che in Italia. Perché gli economisti, se questa è un’anomalia e va contro il benessere generale, non hanno mai fatto fronte comune per correggerla? La globalizzazione andava bene, ma si sapeva che era una cospirazione delle multinazionali. Perchè gli economisti non hanno fatto una contro -proposta più umanistica e a beneficio di tutti? Dal 2001 ad oggi la forbice tra poveri e ricchi è aumentata. E’ un fallimento.
Stefano Clò
Più che a sostenere l’inutilità dell’Economia, la provocazione di Sartori mi sembrava diretta a sottolineare il fallimento del pensiero Economico dominante di questi ultimi due decenni che ha esaltato la finanza sullindustria, il debito sul capitale di rischio, ed ha esaltato la deregulation (no regulation as the best form of regulation). è vero, diversi economisti avevo già segnato l’allarme, ma rimane il fatto che questa crisi è endogena al sistema (non ci sono shock esterni o frodi come nel caso Enron), dimostrando che il modello di business ed il tipo di regolazione scelti (ciò che ha portato a questa crisi) non erano adeguati. è divertente osservare dai giornali le posizioni degli economisti, da un lato i talebani del liberismo, di cui Giavazzi è a capo, che sostengono che le banche dovevano esser fatte fallire ed applaudono il mercato (ma cosa sarebe successo?), e quelli del Too Big too Fail, come Zingales, secondo cui quando un settore è troppo importante perchè fallisca deve essere strettamente regolato o, meglio, deve essere pubblico (sole24ore). per evitare un domani lo stesso fenomeno amplificato sarà necessario adottare nuovi modelli, di business e regolazione.
Marco Di Marco
D’accordo con la tesi centrale, cioè che gli economisti non hanno sufficiente potere politico per prevenire le crisi, comprese alcune di quelle che riescono a prevedere. Tuttavia la provocazione di Sartori sul ruolo della professione mi sembra utile, perchè obbliga a chiedersi se gli economisti meritino una piena assoluzione. L’analisi economica è molto spesso utilizzata per giustificare obiettivi politico-ideologici dati esogenamente, cioè dal dibattito politico e dai rapporti di forza. Un esempio ovvio è la difesa di interessi di ceto e assetti distributivi vantaggiosi per alcuni gruppi sociali e dannosi per altri. La cosa più grave è che in questi casi pezzi di analisi normativa (così dovrebbe essere il mondo) vengono di fatto presentati come analisi positiva (il mondo funziona così e non lo si può cambiare). Quanti economisti sono in grado di distinguere, nell’esporre le loro idee, la parte scientifica da quella normativa, quella che dipende dalle loro preferenze personali su quale sia il migliore dei mondi possibili?
Francesco Renga
Un conto è non riuscire prevedere un tornado, e quindi una catastrofe naturale, in tempo brevi o, comunque, fisiologici. Un altro è non riuscire a prevedere un crollo del sistema creditizio, e quindi una catastrofe finanziaria ed economica, dopo un anno di segnali fortissimi: scoppio della bolla immobiliare (e con tutto ciò che ne consegue), crisi di liquidità di BNP Paribas nell’ estate 2007, crisi della Northern Rock ed il crack di Bear Stearns nell’autunno 2007, la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac. E chissà quanti altri segnali hanno avuto a disposizione gli economisti per capire benissimo a cosa si andava in contro…..ma che cosa è stato fatto? Nulla. Assolutamente nulla. Si è solo aspettato la goccia che facesse traboccare il vaso: Lehman Brothers. Si dice: "non c’è peggior sordo chi non voglia sentire" ma, aggiungo, "non c’è peggior cieco di chi non voglia vedere". La crisi era prevedibilissima, era stata prevista e si è preferito non vederla, con le conseguenze che oggi tutti vediamo e sentiamo.
Giovanni Somogyi
il simpatico Sartori farebbe bene a lasciar perdere gli economisti e le loro previsioni, visto che da sempre insiste, con singolare sprezzo delle conoscenze economiche e demografiche e del semplice buon senso, che la Terra è minacciata dalla sovrapopolazione e dall’alta natalità. Ma credo che noi economisti signorilmente sorridiamo del fatto che tutti, dai tassisti ai macellai ai filosofi politici ai chirurghi, si ritengono esperti di economia.
marzia
D’accordo pienamente sulle obiezioni contro la tesi di Sartori (che tra l’altro dovrebbe occuparsi dei fallimenti della scienza politica nel nostro Paese), credo invece che quello che si possa inputare agli economisti sia il non voler dichiarare pubblicamente che tutta questa finanza si concretizza in un circolo vizioso…non sta in piedi, non c’è base reale di produzione alla base. Sembra naturale il paragonare l’economia reale a un palazzo con fondamenta di cemento armato, e la finanza ad un castello di carte da poker. Non possiamo stupirci se crolla in un soffio…
luigi s.
Mi scusi ma il suo intervento sembra una classica autoassoluzione di categoria. Il punto è: eccezioni a parte, c’è stato negli ultimi decenni un conformismo imperante nella categoria degli economisti (anche quelli italiani), che gli ha impedito di accorgersi e denunciare gli squilibri che si venivano a formare? Il fatto che il top della formazione sia negli USA e che in quel paese ci sia stata una forte egemonia culturale e accademica monetarista foraggiata da gruppi di interesse (come spiegato da stiglitz e krugman) ha influenzato la nuova leva di economisti? Vi siete assegnati compiti troppo facili e troppo inutili (liberalizziamo i taxi!) e avete tralasciato i temi fondanti della società: la distribuzione del reddito, l’eguaglianza. vi siete raccontati la palla che l’ultraliberismo è il meglio della destra ma anche della sinistra e avete accettato in nome del mercato la formazione di ricchezze private inaudite e lo smantellamento di tutele sociali di base.
francesco scacciati
Ha un po di ragioni Pagano ma ne ha anche Sartori. Mi spiego: se Fleischmann e Pons, partecipando a un concorso presentassero il loro tristemente noto articolo sulla fusione fredda, pubblicato sul prestigiosissimo Journal of Electroanalytical Chemistry (1989), arriverebbero ultimi. Nel campo della scienza economica le cose vanno diversamente. Se cè UNA cosa che accomuna questa crisi a quella del 29 è il fatto che in entrambi i casi laccademia, la politica e la cultura diffusa sono state dominate per decenni da economisti di scuola neoclassica: il libero mercato (compreso quello finanziario…) crea sempre da sé lequilibrio, purché non disturbato da interventi pubblici che ne distorcono larmonia, la globalizzazione porta solo vantaggi per tutti, le variabili monetarie non hanno effetti reali, ed è inutile preoccuparsi della disoccupazione involontaria because there is no such thing (R. Lucas, nobel per leconomia nel 1995). Se invece cè UNA cosa che le differenzia è che le ricette per porvi rimedio sono belle pronte, scritte 75 anni fa. Nessuno di costoro (a differenza di ciò che accade nel campo propriamente scientifico) pagherà in termini di carriera o di prestigio.
Massimo Merighi
Diciamoci la verità oggi forse gli economisti pagano per la crisi etica di un sistema. E’ possibile ritrovarsi dal "il peggio è dietro le spalle" di Agosto 2008 a "siamo sull’ orlo della maggiore recessione mondiale mai vista" di Ottobre 2008 in poche settimane passando per il quasi fallimento di famose istituzioni bancarie senza pensare che qualcuno dubiti dell’ intelligenza di tanti economisti ?Perché se allora non mancasse l’ intelletto dovremmo pensare che manchi la buona fede in chi non ha letto i numeri. In recessione ci eravamo entrati già nel Marzo 2001, non a settembre a seguito dell’ attacco delle torri come tanti vi hanno fatto credere, con una politica monetaria discutibile ne siamo usciti, quello che si può obiettare e criticare è l’appiattimento di vedute e la mancanza di analisi critica, di voci fuori dal coro, ma non solo degli economisti ma di tanti giornalisti. L’unica soluzione è etica professionale che dovrebbe spingere i professionisti a scrivere ciò che veramente vedono e non ciò che fa comodo vedere a tanti!
Luciano Pontiroli
Premesso che i commenti (semi)anonimi non meritano critica, pur con qualche dubbio apprezzo le considerazioni di Mario Pagano; anche a me era venuto subito in mente Shiller, ma non era certo il solo tra gli economisti odierni (per non parlare di Minsky). Se non erro, anche l’Economist ha più volte parlato di bolla immobiliare … L’articolo di Sartori – che secondo qualcuno è un attacco non tanto nascosto a Giavazzi – non solo è banale nei suoi contenuti, ma è anche fuorviante perché, a mio avviso, punta su un bersaglio sbagliato. Buone o cattive che fossero, le regole esistevano ed erano anche molto severe – il prof. Sartori conosce il Sarbanes-Oxley Act? – ma probabilmente non erano applicata in modo adeguato. La pericolosità del subprime lending era nota da qualche anno, anche alle autorità del governo americano, ma cosa s’è fatto per impedire la diffusione di ABS e MBS?
enzo
Forse Sartori voleva dire questo: molti economisti "chiacchierano" spesso; i fatti vanno diversamente da quanto dicono e…Padoa Schioppa e Brunetta sono lì pronti ad aggiungere alle due categorie (bamboccioni e fannulloni) quella del "chiacchieroni"! Soltanto c’è da dire che quest’ultima sta diventando una categoria…"globale"!
FRANCESCO
Caro Pagano, non proceda per paradossi, le critiche di Sartori sono più che fondate. La stragrande maggioranza (il "grosso della disciplina" secondo Sartori e non "tutti" come lei ascrive) della scienza economica non è stata in grado di prevedere questa crisi, ed è un dato di fatto incontrovertibile. Non sappiamo se questa miopia sia dovuta a questioni di metodo o di onestà intellettuale. In entrambe i casi lei stesso riconosce che il prestigio della "scienza triste" ne esce piuttosto malconcio. A poco vale poi guardarsi soddisfatti allo specchio per i propri successi. Quanto cita, (LTCM e bolla della new economy) fa parte dell’ordinaria amministrazione. Mi pare invece di capire che al fondo della questione stia una tardiva presa di coscienza da part dell’establishment economico globale, anche a livello dottrinale, tale da ridefinire lo status epistemico dell’economia. Sui derivati e altre soluzioni dell’ingegneria finanziaria vada poi a leggersi un recente articolo di Luciano Gallino. E a proposito di metereologia le ricordo che tsunami e uragani (Katrina docet) sono puntualmente previsti.
paolo magrassi
Non so quanto consapevolmente, ma Sartori ha disvelato un problema sottile. L’economia non è una scienza, in quanto non può avvalersi del sostegno sperimentale. Non si può quasi mai organizzare un esperimento e poi divulgarne i risultati affinché altri possano replicarlo, come si fa nelle scienze dure. Gli economisti non possono creare artificiosamente una grande bolla immobiliare, oppure far fallire un paio di grandi banche d’affari, o creare il 25% di disoccupati in un Paese per poi vedere che succede. E questa lacuna metodologica, combinata con la formidabile complessità della materia, indebolisce le facoltà previsionali. (In medicina, per esempio, la complessità cè ma gli esperimenti sono possibili. Il risultato è che le previsioni che si fanno in medicina sono migliori di quelle che si fanno in economia).
giuseppe algfano
Condivido pienamente le accuse lanciate da Giovanni Sartori. Gli economisti non hanno saputo prevedere un bel niente, chiusi nelle loro torri d’avorio delle Università dove una buona parte di essi si cimentano a fare ricerche inutili sulle “nuove Economie”. Possibile che nessun economista si sia mai accorto, magari uscendo dalla torre per prendere una boccata d’aria, che un politico americano, anche se non molto amato dalla classe dirigente Usa, già due anni addietro ha annunciato questa nuova graande crisi. A questo punto è meglio non dare più soldi pubblici per una ricera scientifica sterile ed inutile. Questo è il mio pensiero : potete anche censurarlo non pubblicandolo, come avete fatto in altre due precedenti occasioni.
La redazione
Ho già risposto che NON è vero che nessun economista abbia previsto la crisi. Robert Shiller ha ripetutamente ammonito (almeno dal 2005) che la bolla speculativa del mercato immobiliare sarebbe scoppiata con grave danno per il sistema finanziario e l’economia reale. Negli ultimi anni (non mesi, anni), la rivista The Economist ha prodotto ripetutamente articoli nei quali veniva indicato con grande chiarezza che il mercato immobiliare era drogato da una bolla speculativa e se ne paventavano le implicazioni per il sistema finanziario. Questo pericolo è perfino illustrato vividamente da diverse copertine di questa rivista! Il problema è capire perche’ queste previsioni non abbiano avuto effetto sulla politica monetaria, sulla regolamentazione, ecc.
Questo non è (solo) colpa degli economisti, ma è (soprattutto) colpa dei politici che non hanno dato seguito a questi avvertimenti e degli uomini d’affari che li hanno respinti. Chi adesso dà la colpa di tutto ciò agli economisti e’ chiaramente poco informato. Ma e’ tipico di queste situazioni cercare un capro espiatorio, e la probabilità che accada è direttamente proporzionale all’ignoranza della popolazione, come gia’ illustrato dal Manzoni nella descrizione della caccia all’untore nella peste di Milano.
sara
Sono una studentessa di economia politica e ho anche lavorato in una banca nel centro di ricerca macro dove si fanno analisi che anche le Banche centrali compiono. (ovviamente ad un livello più alto!). Posso dire che da cent’anni a questa parte ha fatto presa il più arido e pericoloso dei pensieri economici: l’utilitarismo di Bentham, con il quale le persone sono esseri che pernsano solo come a massimizzare i loro acquisti. Detto questo, detto tutto. Lo studio dell’economia è fatto tutto su questa base e noi usiamo strumenti matematici per dire quanto una famiglia possa comprare e studiamo strumenti e modo di ragionare per creare bisogni materiali di cui non c’è assolutamente reale richiesta. Posso dire che nemmeno il più grande degli economisti come lo siamo oggi può capire dove stia il male, perchè egli stesso è il primo frutto del modello economico. Solo se si stacca la mente da tutte le cose che ti fanno studiare e solo se si ritrova la propria dimensione personale si può capire che c’è qualcosa che non va nel sistema.
Gianluca
Sapete chi è l’economista? Colui che ti dirà domani perchè non è successo oggi quello che aveva previsto ieri. Se l’economia fosse una scienza esatta, potremmo andarcene tutti a casa.
Gabriele Andreella
Mi sembra davvero inverosimile che l’autore dell’articolo e alcuni commentatori non abbiano capito che la critica di Sartori è stata scritta sottintendendo un’accusa proprio a quegli economisti che "hanno contato" nelle decisioni politiche di questi anni, e non "a tutti gli economisti", molti dei quali (si veda il Nobel) sono stati trattati per anni, dall’establishment, come degli appestati e dei catastrofisti. Il monito di Sartori è, al contrario, giustissimo, ed esorta dunque ad una riflessione sul "turbocapitalismo", a partire proprio dalle lacune e mancanze degli economisti "che contano".
Franco
Forse Sartori per conoscere ll futuro può provare a rivolgersi ai lettori dei fondi del te e loro simili.
Gli economisti non conoscono il futuro – nemmeno i politologi, avvocati etc. – siamo fortunati se riescono a evitare danni maggiori quando si verificano eventi negativi o quando politici populisti provocano danni per qualche voto in più.
Massimo GIANNINI
Sartori si è sentito in dovere di replicare subito agli articoli di noi economisti. Il dibattito potrebbe essere tanto infinito quanto sterile.Tuttavia nella sua replica Sartori continua a dire che nessuno avesse previsto la crisi. Un po’ ingeneroso, perché qualcuno se proprio non l’aveva prevista nel quanto e quando (variabili che un buon economista non esprime mai in contemporanea pena l’essere crocifisso) aveva in tempi non sospetti tirato l’allarme, e seguendo la linea di quegli economisti si poteva evitare il peggio e rimediare forse per tempo. Replicando quindi ancora a Sartori direi che si poteva prevenire ma non prevedere. La nozione di prevenzione poggia sulla regolamentazione e la sua applicazione e controllo, quella della previsione sul statistica e probabilità (analisi del rischio). E’ cosi’ che i maghi della finanza (non necessariamente economisti) hanno lavorato su analisi del rischio e ipotesi sballate mentre nessuno, o pochi economisti, si sono cimentati sulla prevenzione, fatta di regole e buon senso. E’ vero anche che tra gli economisti si hanno sempre pochi "contrarians", che aiuterebbero a fare prevenzione (lavoro ex-ante) pittosto che constatazioni con rimedi.
Claudio Maralfa
Credo abbia ragione Sartori, e chi fra i commenti, interpretava l’accusa di Sartori non verso tutti gli economisti, ma sicuramente verso i nuovi economisti, quelli piu’ ”integrati” nell’establishment, e perché no, quelli della finanza creativa, che spesso e volentieri coincidono con quelli istituzionali, a cominciare dagli USA. E poi, aggiungerei, i politici con i paraocchi e che ascoltano solo quelli che vogliono ascoltare. Non escluderei gli economisti, anche quelli che avevano letto gia’ come sarebbe andata, rinchiusi nelle torri d’avorio universitarie, pronti a lanciare, soli, gli strali dall’alto, ma incapaci di fare fronte comune, di agire insieme, di fare pressione sulla classe politica. Perché non a andate a leggervi l’articolo ”Who is Behind the Financial Meltdown?” di by Michel Chossudovsky ( 10-ott) su http://www.globalresearch.ca/index.php?
bellavita
se ben ricordo, la LTCM era un fondo spericolato avallato dai ragionamenti di alcuni matematici tra cui un paio di Nobel, che per poco non ha fatto saltare Wall Street. Solo adesso, che tutto sta nuovamente per saltare, gi accademici USA ci hanno informato che i matematici folli che pensano di aver la formula per annullare i rischi avevano elaborato i pacchetti delle cartolarizzazioni, che grazie al loro, si fa per dire, prestigio avevano la tripla A. In genere gli accademici sono propensi alle malignità e al pettegolezzo, gli economisti USA possono scrivere su tutti i giornali del mondo.
Stefano Mavilio
Il problema è un problema di "voce". L’economia è scienza umana e come tale ha tante "voci" ma nessuna ben rappresentata dei media (sarà un problema economico?). Perchè gli economisti non fanno lobby e si ritagliano una quota di visibilità sui media? Per spiegare, informare, controllare, tutelare la propria professionalità. Siete scienziati o stregoni? O quando avete un contratto con la Banca d’Italia e la Consob vi tagliano la lingua? Le nuove generazioni qualche infarinatura di rudimenti economici ce l’ha: quanti sono i laureati in economia che fanno i precari nei call center? Ha ragione Sara (post precedente) lasciate la vostra superbia e venite a confrontarvi nell’arena.