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CHE SPAVENTO LA CRISI IN PRIMA PAGINA

L’opinione pubblica cerca i responsabili della crisi tra gli amministratori delle istituzioni finanziarie. Ma non bisogna dimenticare il ruolo giocato dai politici e dai mass media durante espansione e scoppio della bolla. Stampa e tv diffondono oggi informazioni sostanzialmente esagerate. Le banche centrali dovrebbero quindi cimentarsi in un lavoro di analisi sull’andamento reale delle variabili finanziarie che più spaventano. Perché la gestione delle aspettative passa anche attraverso un oscuro lavoro di divulgazione.

 

“Quand’è che basta, Gordon?” Si potrebbe parafrasare (al contrario) Charlie Sheen nel film Wall Street, per esprimere lo sgomento degli investitori di fronte al tracollo dei mercati azionari negli ultimi due mesi. Nessuno sa dire con certezza quando basterà, ovvero quando verrà raggiunto il fondo e le quotazioni cominceranno a riprendersi.

IN CERCA DI CAPRI ESPIATORI

Durante queste settimane faticose, l’opinione pubblica si è esercitata nella ricerca dei responsabili della crisi. I primi a essere messi sul banco degli imputati, per ora in senso soltanto metaforico, sono gli amministratori delle istituzioni finanziarie fallite o salvate in extremis, e insieme con loro i responsabili delle società di revisione. La lista dei capi di imputazione è lunga, ma senz’altro uno dei principali è la sottovalutazione sistematica dei rischi, e in particolare di quelli connessi ai mutui subprime.
È piuttosto insensato incaponirsi nella ricerca di un unico capro espiatorio, quando le cause della crisi sono molteplici, e agiscono in maniera congiunta. E non bisogna dimenticare il ruolo giocato dai rappresentanti politici e dai mass media, sia durante la fase di espansione della bolla immobiliare e finanziaria, che durante la fase attuale di fragoroso scoppio.
Fiumi di inchiostro sono stati versati sugli errori a livello macroeconomico di Alan Greenspan, che come presidente della Fed nei primi anni del millennio si è sostanzialmente rifiutato di sgonfiare la bolla immobiliare con una politica monetaria più restrittiva. La recessione è stata evitata allora, ma probabilmente al costo di una recessione prossima ventura molto più severa. Contemporaneamente, Greenspan si è sempre opposto alla regolamentazione del mercato dei prodotti derivati: ad esempio i credit default swap, contratti assicurativi sul rischio di fallimento della controparte che hanno contribuito in maniera determinante al quasi-collasso della compagnia Aig, quando troppe controparti sono finite in default.
Se da un lato il problema sembra consistere in un eccesso di laissez faire, specialmente negli Usa, non manca chi giudica la situazione secondo un’ottica opposta, di tipo libertario, puntando il dito contro le distorsioni create dall’intervento pubblico. Ad esempio, Cliff Asness, il fondatore del fondo speculativo Aqr, in un blog del New York Times, si scaglia contro gli incentivi perversi connessi alle Gse, le Government Sponsored Enterprises come Freddie Mac e Fannie Mae, le quali hanno acquistato e cartolarizzato a man bassa i mutui subprime, potendo contare sulla garanzia implicita da parte del governo federale sulle proprie emissioni obbligazionarie. (1)

ELETTORI E GRUPPI DI PRESSIONE

Naturalmente i politici, e in particolare i legislatori, non agiscono nel vuoto: devono sempre mantenere il consenso da parte degli elettori, o di una maggioranza di questi, per essere riconfermati nel loro incarico. Accanto agli elettori, giocano un ruolo importante i gruppi di pressione: in un sistema con finanziamento privato delle campagne elettorali come quello statunitense, questo ruolo potrebbe essere ancora più rilevante, ma contemporaneamente la trasparenza del meccanismo permette di analizzare in maniera esplicita il legame tra le fonti di finanziamento dei diversi politici e quale sia il loro comportamento di voto.
Un recentissimo lavoro di Atif Mian, Amir Sufi e Francesco Trebbi della Chicago Business School prende in esame il modo in cui i membri della Camera dei rappresentanti Usa abbiano espresso il loro voto sul pacchetto di interventi di emergenza sul mercato immobiliare e finanziario, in funzione degli interessi dei propri elettori e dei finanziamenti ricevuti dai gruppi di interesse. (2)
Gli autori si focalizzano sull’American House Rescue and Foreclosure Prevention Act (Ahrfp) del luglio 2008 e sull’Emergency Economic Stabilization Act (Eesa) dell’ottobre 2008. L’Ahrfp consiste in una garanzia federale, fino a un massimo di 300 miliardi di dollari, sui mutui che siano rifinanziati a condizioni meno onerose, e nella concessione di linee di credito illimitate a Freddie Mac e Fannie Mae e alle altre Gse. (3)
Mian, Sufi e Trebbi sottolineano come il provvedimento possa essere considerato un trasferimento di risorse a vantaggio dei mutuatari in condizione di difficoltà. In effetti l’analisi econometrica mostra come la propensione dei membri della Camera a votare a favore di esso sia significativamente maggiore per coloro che rappresentano distretti elettorali colpiti da un tasso di crescita maggiore nelle insolvenze sui mutui immobiliari.
Dall’altro lato, l’Eesa autorizza il dipartimento del Tesoro ad acquistare fino a 700 miliardi di dollari di titoli basati su mutui subprime e a investire direttamente nel capitale di rischio delle banche in condizioni di difficoltà. A differenza dell’Ahrfp, si tratta (della promessa) di un sostanziale trasferimento di fondi dal contribuente alle istituzioni finanziarie in crisi. Gli autori dello studio mettono in evidenza come dal punto di vista statistico la probabilità di un voto a favore dell’Eesa da parte del singolo congressman sia significativamente e positivamente correlata con l’ammontare di contributi elettorali che ha ricevuto dall’industria finanziaria durante le campagne elettorali precedenti. Al contrario, la correlazione con la percentuale di insolvenze sui mutui è significativa solo per coloro che avevano votato contro la prima versione del disegno di legge e hanno poi cambiato idea, e soltanto per i congressisti democratici. In poche parole, i politici sembrano rispondere alle pressioni dei propri elettori e dei propri finanziatori in funzione della materia del contendere, ovvero di chi siano i beneficiari ultimi dei trasferimenti di risorse impliciti nei diversi provvedimenti di legge.

TRA NOTIZIE E LEGGENDE

E che cosa influenza la volontà da parte dei politici di intervenire? Vi sono pochi dubbi che la crisi finanziaria per se stessa sia estremamente grave, ma ciò non toglie che i mass media l’abbiano enfatizzata in misura forse eccessiva, sospinti dalla tipica passione per la notizia sensazionale. È una delle situazioni in cui la competizione tra i media, piuttosto che incentivare il pluralismo e rendere più difficili interventi di carattere censorio, finisce per esacerbare la ricerca spasmodica per la notizia a effetto, a prescindere dalle valutazioni oggettive. Le iperboli e i titoloni a cinque colonne spaventano i cittadini in quanto investitori ed elettori (già sufficientemente spaventati) e fanno rapidamente passare i politici dalla giusta reazione all’iperreazione.

Il fatto stesso che i mass media cerchino di cavalcare gli argomenti ritenuti più interessanti da parte dei propri lettori e ascoltatori, essendo contemporaneamente capaci di influenzare queste percezioni, contribuisce all’instaurarsi di circoli viziosi di silenzi e di grida assordanti: silenzi o scarsi bisbigli sulle mele marce durante la fase di espansione della bolla speculativa, perché l’argomento non interessa nessuno; grida quasi insensate durante il tracollo, perché tutti sono affamati di notizie.

E che i mass media nel loro complesso diffondano informazioni sostanzialmente esagerate sulla crisi finanziaria è dimostrato da un recente pamphlet di Patrick Kehoe, V. V. Chari e Lawrence Christiano, apparso come working paper della Federal Reserve di Minneapolis. (4)

Alzi la mano chi in queste settimane non ha letto o sentito o creduto che fosse vero uno dei seguenti “fatti”, almeno a proposito degli Stati Uniti: 1) che in questo periodo i prestiti bancari a famiglie e imprese non bancarie siano calati in maniera decisa; 2) che i prestiti interbancari siano sostanzialmente inesistenti; 3) che l’emissione di prestiti a breve termine da parte di imprese non bancarie sia calata in maniera altrettanto vistosa e che i tassi di interesse corrispondenti siano saliti a livelli mai visti prima;4) che le banche giocano un ruolo fondamentale nel trasferire fondi dai risparmiatori a chi prende a prestito. Ebbene, con dovizia di grafici i tre autori mostrano come ciascuno di questi “fatti” non sia un fatto, ma assomigli piuttosto a una leggenda metropolitana. Unica eccezione l’emissione di prestiti a breve termine da parte delle imprese finanziarie, che in effetti sono calati in maniera pronunciata nelle ultime settimane. Varrebbe la pena che qualcuno alla Bce e alle altre banche centrali effettuasse lo stesso tipo di analisi a proposito della propria area geografica di competenza: sarebbe una mossa utile per fare chiarezza, anche a livello comparato, sull’andamento delle variabili finanziarie che più spaventano in questi giorni. La gestione delle aspettative da parte dei banchieri centrali passa anche attraverso un oscuro lavoro di divulgazione.

(1)Joe Nocera, “Cliff Asness Is Mad as Hell”, Executive Suite Blog, 21/9/2008:
http://executivesuite.blogs.nytimes.com/2008/09/21/cliff-asness-is-mad-as-hell/

(2)Atif Mian, Amir Sufi e Francesco Trebbi, “The Political Economy of the US Mortgage Default Crisis”, mimeo, Chicago GSB:
http://faculty.chicagogsb.edu/francesco.trebbi/research/mst.pdf

(3) La parte del provvedimento relativa a Freddie Mac e Fannie Mae è poi diventata obsoleta per la successiva nazionalizzazione.

(4)Patrick J. Kehoe, V. V. Chari e Lawrence J. Christiano, “Facts and Myths about the Financial Crisis of 2008”, Federal Reserve Bank of Minneapolis, WP n. 666, 2008:
http://www.minneapolisfed.org/research/WP/WP666.pdf

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  1. e.villa

    In Italia è mancata la pubblicazione degli stipendi e delle stock option dei top manager nell’ultimo quinquennio. Le grandi banche sono quotate: basta una semplice ricerca nei siti istituzionali, poichè tali informazioni sono pubbliche. Si poteva considerare che: 1. l’arricchimento a rischio zero (così sono le stock option) tassato al 12,50% (fino all’anno scorso) era il nuovo "spirito capitalistico" alla base dell’imprenditorialità dei top manager; 2. tali flussi, prelevati dalle casse aziendale e da quelle degli azionisti (che apparentemente si arricchivano con la lievitazione dei corsi azionari) eguagliavano, di fatto, gli eccessivi tagli di costo. E quando non c’è più da tagliare, si alza la soglia del rischio. Questi sono fatti che vanno spiegati meglio da giornalisti preparati (e ne abbiamo in Italia), altro che urlanti talk show!

  2. elio di caprio

    Quando si tratta di una crisi finanziaria così enorme e complessa (ma non inaspettata) è ovvia la reazione del cittadino globale a ricercare i capri espiatori, gli untori del secolo. Anche gli americani in questo senso sono diventati populisti. La disinformazione, che c’è, è dovuta alla complessità? Poi vai sul sito http://www.movisol dell’economista La Rouche e scopri che da due anni si predica quello che sta puntualmente avvenendo. Lo sapeva Tremonti e lo sanno ora Rampini che scrive su Repubblica e Mucchetti che sul Corriere della sera di oggi offre cifre impressionanti sulla mina degli hedge funds. E’ una mina che sta scoppiando o scoppierà? Spiegazioni troppo puntali e ricette miracolistiche suscitano sempre diffidenza, è vero. Ma chi è in grado di dare infomazioni esatte in una situazione ancora mobile? Per altre analisi sul tema vedi anche il sito http://www.terzarepubblica.it

  3. luis

    Effettivamente i media, eccetto pochissime eccezioni (i vostri articoli), hanno enfatizzato la crisi ripetendo per mesi e mesi i soliti titoli: lunedì, giovedì, venerdì nero, bruciati 300 milardi, crollano le borse ecc. La maggior parte degli italiani, che nulla conosce di finanza, alla fine si sarà certo fatto il callo alla notizia, ma ha tuttavia avvertito il clima cupo e ha ridotto ulteriormente i consumi. Diverso il discorso per i risparmiatori. Terrorizzari e spaventati da oltre un anno di crolli a ripetizione penso che si siano chiesti: ma perchè risparmiare? Fanno bene gli americani. Spendono tutto, fanno debiti e non hanno risparmi, hanno solo debiti. Pertanto gli effetti della crisi urlata sono: calo ulteriore dei consumi e crollo della fiducia nel risparmio. Le conseguenze peggiori. Ma la questione dei media in Italia è grave. Si va avanti per titoli gridati, spot, veline, calciatori, pacchi, isole dei famosi ecc. Ma dove possiamo arrivare? E’ come il castello di carte creato dalla finanza dei derivati, prima o poi crollerà e gli italiani dovranno prima o poi riaprire gli occhi.

  4. Mario U. Corvo

    Tutti gli articoli pubblicati da giornali, riviste, ecc. dovrebbero concludersi con il numero (da 1 a 9) corrispondente al grado della scala di Rio che l’autore ritiene adeguato. Analogamente le trasmissioni tv dovrebbero avere sempre l’ultima videata con il numero in nero a tutto schermo su fondo grigio.

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