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DIMENTICARE KYOTO CI COSTA CARO

Un dibattito acceso sui costi per adempiere al 20-20-20 europeo. Ma non si tiene conto che il nostro paese è ben lontano dal raggiungimento degli obiettivi assunti con la firma del protocollo di Kyoto. Forse, accettare l’obbligo di una riduzione del 6,5 per cento delle emissioni di gas serra è stato eccessivo. Ma una volta preso l’impegno, i governi che si sono succeduti avrebbero dovuto onorarlo. Così non è stato. Anzi, le emissioni hanno continuato a crescere. Il mancato rispetto di Kyoto, ormai un dato acquisito, potrebbe costare intorno ai 2 miliardi di euro per anno.

 

La discussione sul “pacchetto clima” europeo, il cosiddetto 20-20-20, occupa da qualche giorno i palinsesti televisivi e le pagine dei giornali. In modo molto sommario gli obiettivi del pacchetto sono così riassumibili: riduzione del 20 per cento delle emissioni di anidride carbonica rispetto al livello raggiunto nel 1990; incremento dell’efficienza energetica del 20 per cento; aumento al 20 per cento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili. I tre obiettivi devono essere raggiunti entro il 2020.

PRIMA C’ERA IL PROTOCOLLO

Non pare tuttavia che vi sia sufficiente chiarezza sui termini precisi della questione. Il primo problema riguarda la relazione tra il pacchetto clima e il protocollo di Kyoto. Cominciamo dalle riduzioni richieste e dai tempi di attuazione dei due diversi interventi. Per il nostro paese il protocollo prevede una riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5 per cento rispetto al livello del 1990. Il risultato deve essere ottenuto negli anni che vanno dal 2008 al 2012. In altri termini, siamo già dentro il protocollo. Il pacchetto clima prevede invece una riduzione del 20 per cento delle emissioni, sempre rispetto al 1990, da ottenersi però entro il 2020.
È ragionevole affermare che il pacchetto clima europeo possa essere visto come una prosecuzione temporale del percorso virtuoso che ha visto le emissioni ridursi in (quasi) tutta Europa per effetto delle politiche di Kyoto. Qui nasce il primo problema. Possiamo discutere se l’obiettivo di Kyoto assunto dall’Italia fosse o meno ragionevole. Accettare l’obbligo di una riduzione pari al 6,5 per cento è stato forse eccessivo. Va ricordato, tuttavia, che se un ministro (Ronchi) ha firmato l’accordo, l’intero Parlamento lo ha ratificato. Una volta preso l’impegno, i governi che si sono succeduti avrebbero dovuto onorarlo. Così non è stato e dal 1997, anno della firma del protocollo, le emissioni hanno continuato a crescere senza dar il minimo cenno di poter mai raggiungere l’obiettivo prefissato. Èstata una manovra di entrambi gli schieramenti politici, nessuna coalizione al governo è riuscita a scalfire minimamente la crescita delle emissioni complessive.
Il risultato finale, e non poteva essere diversamente, è riassumibile in pochissime cifre. Le emissioni di riferimento al 1990 erano pari a 516,9 Mton (milioni di tonnellate) di carbonio. L’obiettivo da raggiungere era pari a 483,3 Mton, ovvero il 6,5 per cento in meno rispetto al livello del 1990. Le emissioni al 2006 erano pari a 567,9 Mton. (1) Le emissioni complessive nel 2006 erano dunque superiori di circa il 10 per cento rispetto al livello del 1990 e di quasi il 18 per cento rispetto a quello obiettivo.
Naturalmente, l’Italia ha presentato nel tempo una serie di misure che, se adottate, porterebbero l’obiettivo meno lontano. Tuttavia, gli ultimi dati disponibili per l’anno 2007 portano le emissioni ancor più in alto e dunque l’obiettivo di Kyoto deve essere considerato non raggiunto né raggiungibile. Il ministro Prestigiacomo ha parlato espressamente di emissioni superiori del 13 per cento rispetto all’anno base.
Non tutti i paesi europei hanno avuto questo comportamento non conforme. Anzi, tutti i paesi europei, meno Spagna, Danimarca e, appunto, Italia, sono considerati dalla Agenzia europea in linea con gli obiettivi previsti. Paesi come la Germania, che pur s’avvantaggiava di una drastica riduzione delle proprie imprese legate al carbone, sta raggiungendo il proprio ambizioso obiettivo del -21 per cento rispetto al 1990, Il Regno Unito è già sotto il proprio obiettivo di -12,5. Naturalmente, si ripete sempre che le condizioni in partenza erano diverse e il risultato finale dipende in modo cruciale dalle condizioni di partenza. È un’osservazione vera solo in parte. L’Italia può aver firmato un obiettivo ambizioso, ma l’assenza totale di politiche rende il risultato odierno difficile da giustificare.

I COSTI

Il dibattito mediatico sul pacchetto clima si è velocemente spostato sul tema dei costi.
È evidente che il problema non si esaurisce considerando solo gli oneri relativi al pacchetto clima europeo. È indubbio, infatti, che l’Italia debba fare fronte anche al mancato raggiungimento del protocollo di Kyoto. Per meglio capire i costi associati, facciamo due rapidi conti che vanno presi, come usa dire, cum grano salis.
Le emissioni in Italia nel periodo rilevante per il protocollo (2008-2012) potrebbero essere circa 614 Mton di CO2 con un surplus rispetto al 1990 di circa 128 Mton di CO2. (2)
L’esatto ammontare di questa differenza dipende in modo cruciale dalle politiche che l’Italia vorrà darsi nel periodo che resta da oggi alla fine del 2012 oltre che dalle future emissioni. Immaginiamo che i settori soggetti allo schema di emission trading europeo valgano per circa il 40 per cento di questa differenza, ovvero 51,2 MtonCO2. (3) Al resto dei settori rimangono da coprire 76,8 MtonCO2.
Si deve ora stabilire il costo per il mancato adempimento. Per la parte non coperta dalle emissioni soggette alla direttiva europea sul trading, osservando i prezzi medi che emergono dal mercato dei meccanismi flessibili e in particolare quelli che provengono dal Clean Development Mechanism, è possibile ipotizzare un costo medio per tonnellata di 10 dollari. (4) Dunque, 768 milioni di dollari per anno. Anche in questo caso bisognerà vedere come il governo italiano intende comportarsi. L’acquisto anticipato di crediti su progetti ancora non operativi o nemmeno pienamente registrati, può valere uno sconto che arriva a 5-6 dollari per tonnellata. L’Italia ha lavorato in questa direzione con la Cina, per esempio. Cina che, sia detto per inciso, è di gran lunga il principale venditore nel mercato dei permessi. Occorre tuttavia agire con rapidità. È necessario capire con quali accordi e a che prezzo l’Italia intende volgere la propria attenzione al mercato.
Per la parte soggetta invece all’emission trading europeo il prezzo è molto superiore, forse tre volte, diciamo per semplicità due volte e mezzo, ovvero 25 dollari per tonnellata. Questo perché le imprese coinvolte nello schema europeo, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, non possono utilizzare gli strumenti di flessibilità internazionali, ovvero il Cdm, ma devono prioritariamente acquistare i permessi messi a disposizione da altre imprese europee soggette all’emission trading che però si sono comportate virtuosamente, ovvero hanno generato crediti emettendo meno di quanto avrebbero potuto. Con un prezzo di 25 dollari per tonnellata, il costo complessivo potrebbe essere vicino ai 1.300 milioni di euro. Quindi, il non raggiungimento di Kyoto, che è da darsi per acquisito, potrebbe costare intorno ai 2 miliardi di euro per anno, cui va sommato l’onere di un incremento per il mancato raggiungimento dell’obiettivo da prevedersi in un ipotetico Kyoto 2.

(1) Greenhouse gas emission trends and projections in Europe 2008 – Eea Report No 5/2008.Questi dati sono comunicati periodicamente dall’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) al segretariato della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici.
(2) Vedi Quotidiano Energia del 30 settembre 2008.
(3)Il sistema europeo di Emission Trading stabilisce un limite massimo alle emissioni realizzate dagli impianti industriali che rientrano nel campo d’applicazione della direttiva 2003/87/Ce attraverso il Piano nazionale di allocazione, nel quale viene assegnato un certo numero di quote a ogni impianto che rientra nelle categorie previste dalla direttiva.
(4)Vedi http://siteresources.worldbank.org/NEWS/Resources/State&Trendsformatted06May10pm.pdf. Il rapporto della Banca Mondiale State and Trends of the Carbon Market 2008 , May 2008, contiene molte interessanti osservazioni.

Foto: Images © Greenpeace/Gisone

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13 commenti

  1. LUCIANO

    Si tratta di realizzare un taglio del 20 per cento delle emissioni serra al 20-20-2020. Ma ha un reale senso economico il "20"?

  2. Bruno Stucchi

    Non solo l’Europa e’ in delinquency per quanto riguarda Kyoto: Fonte: REUTERS http://www.planetark.com/avantgo/dailynewsstory.cfm?newsid=51041
    TOKYO – Japan’s greenhouse gas emissions rose to a record high in the year to March, putting the world’s fifth-largest carbon dioxide producer at risk of an embarrassing failure to achieve its Kyoto target over the next four years. The increase of 2.3 percent last year, largely due to the closure of Japan’s biggest nuclear power plant after an earthquake, will ratchet up the pressure for it to give up its efforts to control emissions through voluntary measures and adopt tougher limits on industry like the European Union and Australia. With developing countries already questioning Tokyo’s political will to rein in emissions and top CO2 polluters China, the United States and India free from Kyoto’s 2008-2012 targets, Japan’s actions will be seen as a milestone as governments struggle to agree on a successor to the protocol next year. Emissions rose to 1.371 billion tonnes of CO2 equivalent in the Japanese fiscal year through March, after a 1.3 percent decline the previous year, Ministry of the Environment data showed on Wednesday.

  3. Lorenzo Consoli

    Finalmente un articolo che dà fatti, non opinioni o dati manipolati, su questa questione. La protesta del governo italiano per dover pagare circa il 40% in più della media comunitaria per il pacchetto Ue su clima ed energia (secondo i dati ‘veri’ della Commissione Ue, non quelli falsi – 180 miliardi di euro in 10 anni – che le sono stati attribuiti dal governo) parte da un fatto che il governo non menziona: l’Italia deve pagare di più perché per raggiungere gli obiettivi del pacchetto clima deve conseguire, prima, le riduzioni di emissioni per cui si era impegnata con il sistema di Kyoto. Quel 40% in più, insoma, è il costo dell’inadempienza che gli altri paesi Ue (quasi tutti) non dovranno sobbarcarsi perché hanno fatto ciò che l’Italia non ha fatto: ridurre le emissioni di CO2 rispetto al 1990, calcolando questa riduzione sul valore medio delle emissioni nel periodo 2008-2012 . Il negoziato attuale è sul ‘post-Kyoto’, non sugli impegni precedenti, e quindi i costi calcolati da Lanza non sono ‘negoziabili’ . In realtà, i costi saranno ben maggiori, perché bisogna aggiungere le sanzioni che l’Ue imporrà alle imprese inadempienti, pari a 100 euro per tonnellata di CO2 in eccesso.

  4. Alessandro Cipolla

    Vorrei esprimere dubbi circa il problema delle emissioni: – questa recessione colpendo l’economia reale causa la riduzione di imprese in italia che permette una riduzione forte delle emissioni. – ci sono stati sviluppi tecnologici, nel campo automobilistico soprattutto, per quanto riguarda le emissioni e questo comporta minori emissioni Poi 2 domande: – quali sono in realtà i settori inquinanti? – acquistare crediti per inquinare mi sembra sciocco, non sarebbe meglio investire in opere pubbliche es. ferrovie e disincentivare il trasporto su gomma?

  5. marco sacmardella

    Durante la rivoluzione industriale e nel dopo guerra si assistette a una diminuzione di temperatura, all’epoca gli scienziati prevedevano un nuova era glaciale. Non si vuole accettare che esistono cicli climatici indipendenti dalla Co2. Senza Cina, India Usa, Kioto è una barzelletta ed anche con loro la diminuzione non potrebbe influire sul clima. Sulla base di questa nuova religione verde con annessa bolla speculativa su prodotti che non assistiti sarebbero fuori dal mercato e dal senso comune ci si permette un sistema di sanzioni economiche assurde e insostenibili.

  6. Andrea Marroni

    Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, l’Italia può ricorrere ai meccanismi di flessibilità (misure esterne) per una quantità totale max di circa 49 mil ton CO2/anno. Così suddivise: 1. l’acquisto di crediti generati da progetti CDM – JI riguarda il settore privato per un totale di circa 30 MtCO2/anno (ci si riferisce agli obblighi imposti con l’EU ETS (Direttiva 2003/87/CE) ai settori industriali coinvolti nel PNA 2008-2012; 2. l’acquisto di crediti attraverso i meccanismi riguarda direttamente i settori non ETS (di diretta responsabilità dello Stato) per un totale di circa 19 MtCO2/anno. Acquistare queste quote potrebbe costare circa due miliardi di €. Stiamo parlando di costi per il raggiungimento degli obiettivi e non ci stiamo soffermando sulla opzione prevista dal terzo meccanismo flessibile: l’art. 17 del Protocollo (IET). Le “sanzioni” per il mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati sono altro. Andrea Marroni

  7. Gabriele Guadagni

    Da uomo della strada non addetto a (questo tipo di) lavori, ma come cittadino italiano (sigh) elettore e, soprattutto, contribuente, sono semplicemente scandalizzato per come il ceto politico italiano si sia comportato con inefficienza, insipienza e irresponsabilità in tutta questa vicenda di Kyoto, prima velleitariamente (e forse neanche solo: probabilmente prevalse la solita ottica ombelicocentrica di preparare una polpetta avvelenata per la controparte politica interna). Sottoscrivendo un accordo (il protocollo) cui già sapeva che non avrebbe nè potuto nè saputo tener fede, poi volpescamente tentando di non pagarne il pegno e tutto, come sempre, nel più olimpico e sublime "non cale" rispetto ai reali interessi e obiettivi della società italiana che pure si scannano per poter governare…evidentemente per altri scopi.

  8. Rinaldo Sorgenti

    Interessante e lineare la riflessione di A.Lanza quando ricorda che accettare l’impegno di Kyoto (-6,5%) è stato eccessivo, ma una volta preso l’impegno i Governi avrebbero dovuto onorarlo. Il problema però è che la Dir. ETS 87/2003 era impostata per consentire il ricorso fino al 50% per i CDM/JI che invece le successive dissennate azioni del Ministro Verde hanno tagliato drasticamente, dopo aver gravato quasi tutto sul settore termoelettrico. Ora, l’Italia non è vero che non abbia fatto nulla: Basti considerare che negli ultimi 5 anni sono stati investiti ben 24 miliardi di Euro per trasformare molte centrali a gas (unici in Ue) e nonostante questo l’Italia appare ancora in ritardo! L’obiettivo Germania (-21%) NON teneva affatto conto della reale condizione di quel Paese, che avrebbe dovuto subire una riduzione ben maggiore. Idem per U.K.. (Vedere su EEA-2008 il rapporto emissivo tra Paesi Ue). E’ quindi evidente la forzatura contro l’Italia. Inoltre, se si pretende che l’impegno rimanga tale, lo stesso deve valere per le condizioni vigenti al tempo. Occorre quindi analizzare bene nel dettaglio quale avrebbe dovuto essere un corretto e proporzionale obiettivo per il Kyoto-1 per evitare che la beffa si ripeta con il Kyoto-2 (20-20-20). Purtroppo, e contrariamente a quanto pensa Lorenzo Consoli (post nr.1), la Commissione Ue ha invece predisposto vincoli che ripeterebbero, aggravandola, la situazione precedente, guarda caso ancora a vantaggio dei soliti noti (Germania, UK, Francia, Olanda, ecc.). Non è affatto vero che il divario tra l’enorme maggiore costo per l’Italia sia dovuto al ritardo rispetto alla "beffa" del Kyoto-1, ma è invece causato dall’azione dei rappresentanti degli altri Paesi che agiscono a Brux., che fanno di tutto per difendere gli interessi nazionali e conseguire un vantaggio competitivo per le loro industrie, mentre chi ci ha rappresentato in Ue evidentemente aveva latri obiettivi, diversi dall’interesse Paese. Sempre su EEA-Report 2008 è solare constatare la virtuosità dei dati emissivi italiani e non si capisce perchè non dovremmo tutti lavorare perchè al nostro Paese sia riconosciuto un impegno proporzionale agli altri Paesi Ue!

  9. Federico Arzilli

    Mi sembra che l’articolo abbia centrato un punto focale, anche se ha sbagliato terminologia. Non è vero che l’Italia non ha attuato politiche per la riduzione, ma esse sono state tardive o non efficaci. Faccio notare che lagnarsi della dimensione della riduzione delle emissioni, che ci è stata imposta da Kyoto, è un falso problema: per assurdo anche se ci avessero permesso di mantenere i flussi al livello del 1990, saremmo comunque fuori target di quasi il 10% (EEA 2008). Ciò è dovuto alla schizofrenia dei nostri amministratori ed alla nostra scarsa cultura ambientale. Un esempio? Andatevi a informare sulla vicenda della detrazione fiscale del 55%, prima costruita e poi frettolosamnete revocata in meno di un anno. Conclusione: ci manca ancora una vera strategia.

  10. Rinaldo Sorgenti

    Ancora una volta ci troviamo di fronte alla difficoltà di far valere i numeri (per tutti) perchè la disinformazione (o speculazione?) è stata tanta che noi stessi facciamo fatica a credere che un obiettivo per l’Italia di +10% delle emissioni rispetto ai valori già raggiunti nel 1990 (i migliori di tutti nel confronto tra i Paesi Ue) sembrerebbe fantasioso o non possibile. Al riguardo basti considerare che degli allora Ue15, 8 hanno avuto obiettivi di riduzione e 5 di aumento (Spagna +15; Grecia +25; Portogallo +27%) e 2 Paesi (Francia e Finlancia obiettivo 0 ! Ora, basta esaminare il Report EEA 2008 per valutare la NON obiettività di quanto sopra. Per fortuna il Governo attuale ha compreso il problema ed ha fatto il possibile per ottenere una parziale correzione dello squilibrio per l’obiettivo 2020. Ancora una volta, perchè (essendo i più virtuosi) dovremmo pagare di più e per gli altri? L’obiettivo medio Ue non cambierebbe !

  11. Federico Arzilli

    Scusate l’insistenza, ma forse sono un po’ tardo. Rileggendo i commenti, anche di altri articoli di questa questione, continuo a non capire questa diatriba sui numeri. Il senso ultimo dell’articolo penso sia un altro: è veramente avvilente vedere i governi italiani (beninteso di qualsiasi colore), barcamenarsi sempre in posizione di retroguardia. Altri paesi, come Germania e GB, hanno ben capito l’antifona di Kyoto ed hanno assunto misure ambientali fin da subito che, adesso, sono in grado di "vendere" sul mercato dell’energia ad altri stati come l’Italia, che invece ha iniziato ad affacciarsi seriamente sulla questione solo in vista del traguardo. Cominciamo a pensare che, forse, questa palesata volontà punitiva nei nostri confronti, derivi da questi atteggiamenti furbetti e lagnosi, che ci piace tanto assumere. Inoltre, il confronto con Grecia, Spagna e Portogallo non regge per niente. Al tempo dell’accordo, erano paesi con un contesto produttivo "in via di sviluppo", e quindi, giustamente, è stata concessa loro molta libertà in materia.

  12. Rinaldo Sorgenti

    I numeri sono numeri e diventano importanti al momento in cui sono legati ad un volume di emissioni certo e penalizzante, rispetto a quelle concesse ai nostri principali concorrenti in Ue: Germania, U.K. e Francia. L’Italia ha preso tanto sul serio (troppo, forse) la cosa al punto da aver rivoluzionato il suo parco di generazione, trasformando quasi tutti gli obsoleti impianti da olio a gas metano (praticamente unici in Ue negli ultimi 5 anni), col bel risultato di avere il costo dell’energia significativamente più alto in Ue! Uno può anche non considerare gli Stati Ue minori (Grecia e Portogallo), ma il vero problema (inganno?) è che quelli maggiori (D – UK – FR) hanno avuto quote di emissione CO2 che non rispecchia parametri oggettivi: procapite – PIL – emissioni dal fossile. Si veda il Rapporto European Environment Agency 2008 per credere! L’Italia si è svegliata tardi perchè prima non voleva vedere e voleva "apparire" il primo della classe, non preoccupandosi affatto di quanto questo sarebbe costato al ns. Paese in termini di capacità competitiva.

  13. Stefano Verde

    L’analisi non considera il taglio delle emissioni che ci si attende per effetto delle varie politiche e misure di mitigazione (quelle gia’ implementate e quelle future). Secondo il Rapporto ENEA "Post Kyoto e cambiamenti climatici (2008)", per rispettare l’obiettivo di Kyoto il gap da coprire con l’acquisto di carbon credits (cioe’ al netto delle misure di mitigazione) e’ di circa 40Mt CO2e (milioni di tonnellate di CO2 equivalente) all’anno, e non 128! Certo, si potrebbe discutere di come l’ENEA abbia stimato l’efficacia delle misure di mitigazione, ma resta che il costo del "mancato rispetto di Kyoto" dovrebbe essere comunque al netto di queste. Similmente, l’autore considera la totalità delle emissioni del settore ETS, anziché – come dovrebbe essere – soltanto l’eccesso di emissioni rispetto al cap. Inoltre, in seguito alla cosiddetta Linking Directive dell’UE, le imprese che fanno parte dell’ETS possono rispettare i propri obblighi di emissioni utilizzando i carbon credits generati dal Clean Development Mechanism e dal Joint Implementation. Per questo, non si capisce perche’ applicare il prezzo €25.

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