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LA BORSA INCERTA NON DA’ DIRITTO ALLO STUDIO

Il decreto legge 180 aumenta le risorse per il diritto allo studio universitario per il 2009, che erano state tagliate con la legge 133. E porta a 246 milioni lo stanziamento del fondo integrativo per le borse di studio. Una buona notizia. Che non risolve però i problemi di fondo: cattiva individuazione del bisogno sociale a cui il programma dovrebbe rispondere, pessimo assetto istituzionale del sistema, enormi difetti nella sua attuazione. Ma anche un’insufficienza cronica di risorse e soprattutto mancanza di certezza su base pluriennale.

Il decreto legge 180, “Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca”, varato pochi giorni fa dal governo, aumenta le risorse per il diritto allo studio universitario per l’anno 2009, che erano state tagliate con la legge 133. In particolare, lo stanziamento del fondo integrativo per le borse di studio, originariamente previsto dalla legge Finanziaria per il 2008 in 144 milioni, ridotto a 111 milioni dalla manovra estiva, è stato portato a 246 milioni. Per gli anni successivi al 2009 restano invece confermati, i tagli decisi a giugno (vedi tabella). L’integrazione del fondo per il 2009 dovrebbe consentire per la prima volta di coprire il 100 per cento degli idonei. Un bel segnale dunque? Sì, ma con molte cautele.

GLI OBIETTIVI DELLE BORSE DI STUDIO

Sotto il profilo dell’equità, le borse permettono agli studenti meritevoli e privi di mezzi di affrontare la formazione superiore, l’investimento in capitale umano, compensando almeno in parte i costi che questa comporta, cioè il mancato reddito derivante dall’alternativa d’impiegare lo stesso tempo lavorando.
Sotto il profilo dell’efficienza gli obiettivi sono diversi: consentire agli studenti di raggiungere l’investimento ottimale d’istruzione, evitando di sprecare talenti; permettere agli studenti di cercare il corso che preferiscono, anche se non è offerto sotto casa: “votare con i piedi” e stimolare le università a migliorare la loro offerta formativa.
Affinché questi obiettivi siano effettivamente realizzati in un contesto in cui, più che le condizioni economiche in senso stretto, conta l’ambiente sociale ed educativo della famiglia di origine, è però necessario che il sistema sia ben disegnato, che le risorse siano adeguate e che venga pubblicizzato con convinzione. Detto in altre parole, è necessario che il sistema delle borse sia concepito in modo tale da modificare ex ante il piano delle scelte degli studenti target, ossia di coloro che hanno maggiori difficoltà a programmare un investimento pluriennale in istruzione.
Un sistema ben disegnato implica, ad esempio, che gli importi delle borse siano congrui, che siano pagate anticipatamente e, soprattutto, che lo studente target abbia la certezza di poter conservare la borsa lungo un intero ciclo se mantiene un comportamento responsabile, cioè se si impegna negli studi. Questa ultima condizione è particolarmente importante: se il diritto alla borsa di studio non è garantito fino a completamento dell’investimento, la borsa perde inevitabilmente la sua efficacia e si trasforma in una compensazione ex post, a favore di chi ha affrontato quella decisione scontando il rischio che la borsa può anche non riceverla.

DALLA TEORIA AI FATTI

Naturalmente ci sono notevoli differenze territoriali, a causa della scelta, molto discutibile, di rinviare questa materia alla competenza delle Regioni. Ma se andiamo a vedere che cosa è successo in questi anni al sistema delle borse di studio, possiamo osservare che, per la mancanza di risorse, solo una parte degli studenti idonei ha effettivamente ricevuto la borsa. (1) Si tratta quindi di un diritto, di cui la norma definisce il livello essenziale, ma che non è reso esigibile a tutti gli studenti sul territorio nazionale.
Quale è la conseguenza di questo sistema? Le borse si trasformano in una sorta di lotteria: lo studente privo di mezzi, pur avendo mantenuto un comportamento responsabile e meritevole, non prende la borsa.
Inoltre, poiché la maggior parte delle aziende per il diritto allo studio paga con molto ritardo, il sistema funziona come un prestito a rovescio: prima gli studenti debbono anticipare le risorse, molto spesso anche quelle delle tasse universitarie, per le quali sono esonerati, e poi, con comodo, dopo molti mesi, arriva l’assegno. Si parla da tempo di una possibile trasformazione delle borse in prestiti d’onore. Sarebbe intanto importante trasformarle almeno in vere borse di studio, eliminando il prestito di “disonore” implicito nell’attuale sistema.
Anche sulla congruità degli importi ci sarebbe molto da dire. Sono pochissime le Regioni che ne hanno affrontato la revisione, espressamente prevista dalla normativa, alla luce degli effettivi costi di mantenimento che gli studenti affrontano nelle diverse realtà.
Il sistema del diritto allo studio si mostra, infine, incapace di fornire adeguata informazione: gli studenti target e le loro famiglie dovrebbero essere precocemente e massicciamente informati, già a partire dalla scelta della scuola superiore e non invece, come avviene ora, se va bene, mentre frequentano l’università. I pochi dati disponibili mostrano che gli immatricolati al primo anno che fanno domanda sono molti meno rispetto a coloro che potrebbero farla (studenti target). Ciò segnala un deficit di informazione anche per questo sottoinsieme, già selezionato, di studenti.
Sono cose che gli addetti ai lavori sanno benissimo. Alcune, pochissime, aziende le hanno verificate puntualmente. L’azienda di Modena e Reggio Emilia, ad esempio, ha scoperto che su 100 studenti che hanno ottenuto la borsa di studio al primo anno, solo 40 l’hanno mantenuta per l’intero triennio; per tutti gli altri c’è un affastellamento incredibile di posizioni: chi la prende al primo anno, poi la perde e poi la riprende; chi la prende per un anno solo eccetera (vedi figura). Una delle principali ragioni è che negli anni considerati l’azienda non ha mai avuto a disposizione le risorse necessarie per coprire il 100 per cento degli idonei.
Evidentemente i problemi sollevati dipendono da numerose circostanze: una cattiva individuazione del bisogno sociale a cui questo programma deve rispondere, a partire da una non chiara individuazione degli obiettivi; un pessimo assetto istituzionale del sistema; enormi difetti nella sua attuazione. Ma dipendono anche da un’insufficienza cronica di risorse e soprattutto dalla mancanza di certezza delle stesse su base pluriennale.

SONO SOLDI SPESI BENE?

Ritorniamo dunque alla questione iniziale. Il governo ha fatto bene a integrare le risorse per le borse di studio, per un anno, consentendo, per la prima volta, di coprire il 100 per cento degli idonei.
Ma è sufficiente uno stanziamento annuale? La risposta è certamente no. Il sistema non può funzionare se chi deve fare fronte a un bisogno che ha un profilo pluriennale non è quantomeno messo nella condizione di avere la certezza di risorse su base appunto pluriennale. Se poi si considerano tutti gli aspetti critici richiamati, che rendono evidente la necessità di un ridisegno complessivo del sistema, si capisce che questo provvedimento costituisce solo un “cerottino” posto a rimedio di un rilevante problema sociale.

Fondo integrativo per le borse di studio (milioni di euro)

 

(1) Nel 2006/07 la percentuale di idonei che ha percepito la borsa è del 78,5 per cento. Le differenze tra aziende per il diritto allo studio sono piuttosto marcate: 33 su 58 non garantiscono la copertura integrale degli idonei; in alcune di queste i tassi raggiungono a malapena il 30 per cento.

Coorte degli immatricolati nell’anno 2002/03: evoluzione dei richiedenti i benefici lungo il primo triennio (Azienda per il diritto alla studio di Modena e Reggio Emilia)

Fonte: Rapporto annuale 2004/05 sui servizi. Le borse di studio. Arestud

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  1. pippo

    Questo è un paese che ha una classe dirigente inadeguata. E’ stata legittimata da milioni di persone per cui anche queste persone sono espressione dell’incapacità scrisciante, o forse, non sapevano per chi votare, quarant’anni di DC han modellato per benino le menti, il resto lo hanno fatto le lobby. Probabilmente v’è anche quella parte del paese che è restia ai cambiamenti, (come han votato i professionisti?) come se i cambiamenti in peggio devono essere sopportari solo dalle classi più disagiate. Mi fa schifo il sistema che si è delineato, l’atmosfera che si respira e l’impossibilità con uno stipendio da fannullone che porta alla fame. Complimenti al governo e all’opposizione!

  2. Roberto

    Non si cita nel testo il fatto che in realtà, alla fine dei conti, l’unico parametro preso in considerazione per l’assegnazione della prima borsa di studio è il livello di reddito (tralasciando il fatto che ottenere un ISEE ridotto è fin troppo facile attraverso semplicissime manipolazioni contabili) e in seguito comunque il merito ha un’importanza ridottissima. Basta navigare tranquillamente con un rendimento medio-basso per i 3 anni (che poi diventano 4 o più) e si ottiene una laurea senza pagare. Chi sgarra, come al solito in Italia, non paga.

  3. giuseppe

    Non vi è dubbio che le borse di studio incerte non danno (in concreto) il diritto allo studio. Ma c’è anche un altra causa che concorre, insieme all’incertezza, a negare il diritto allo studio e riguarda l’equità. Sarebbe bello, infatti, che le borse di studio fossero assegnate effettivamente agli studenti meritevoli e privi di mezzi. Ma come si misura la condizione economica degli studenti privi di mezzi? Ieri, nella trasmissione televisiva Anno zero, uno studente di Roma ha ricordato come – dati statistici alla mano – l’evasione fiscale rappresenta un evidente e macroscopico limite all’assegnazione secondo equità delle borse di studio, attesa la palese inverosimiglianza dei redditi dichiarati dagli studenti aspiranti alle borse di studio. Come si risolve questo problema? Si può parlare di equità senza avere la garanzia che le condizioni economiche dichiarate dagli aspiranti alle borse di studio corrispondano al vero? Come ha evidenziato il Prof. Pietro Schlesinger, nella stessa trasmissione, il nostro Paese è in profondo declino a causa della straordinaria mancanza di etica – in tutti i settori della società – che mina alla radice qualsiasi discorso sulla meritocrazia.

  4. antonio p

    Sono d’accordo con questa asserzione che principalmente riguarda i politicanti catto-comunisti e la triplice confederale che hanno dominato dal 1960 al 1990 che "imparato" agli italiani che studiare e lavorare era disumano, mentre truffare e spendere era il "verbo" degli uomini. Negli anni ’70 era vietato ai lavoratori dipendenti denunciare redditi extra perchè pagavano già troppo (ed era verissimo) dopo è stato reso possibile, ma il doppio lavoro "in Nero" è continuato e forse aumentato in modo esponenziale anche grazie alle casse integrazioni e mobilità a tempo indeterminato come nel caso Alfa Romeo. Chi ha guadagnato da questo marasma è, ad esempio, la Fiat che ha munto oltre 250.000 miliardi di lire dalle casse dello stato e dei lavoratori grazie al concerto con la triplice confederale. Ricordate 50.000 miliardi del Fondo Gescal (case popolari) ed i 25.000 miliardi del fondo pensioni del 1980?

  5. Anna Di Giovine

    Ho due figlie che sono state escluse dalla borsa di studio per non aver firmato le domande. A me non sembra che l’E.DI.S.U. del Piemonte abbia applicato la legge vigente. Difatti l’art. 71 comma 3 del D.P.R. 445 del 28/12/2000 dispone, nel caso della mancata firma, che il funzionario competente a ricevere la documentazione da’ notizia all’interessato di tale irregolarità e il richiedente potrà così regolarizzare la richiesta apponendo la firma. Cosa posso fare per farglielo capire all’E.DI.S.U. che non ha applicato la legge e che io ci rimetto due borse di studio che avrei dovuto ottenere per meriti di studio e per reddito?

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