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IL RITORNO A COLBERT

Il recente articolo di Salvatore Rossi ha sollevato l’importante questione: chi ha fallito, lo stato o il mercato?Chi è stato a causare la crisi finanziaria ed economica che stiamo attraversando? Per alcuni osservatori la risposta è ovvia. Il fallimento è avvenuto nel mercato. Siccome molti esponenti politici di alto rango condividono questo punto di vista, ci troviamo di fronte alla possibilità di un ritorno a Colbert ed alle nazionalizzazioni delle imprese, ai dazi doganali, alle banche di sviluppo con crediti agevolati, ai sussidi alle imprese, e così via. Tanto, se il mercato non funziona, perché non lo sostituiamo con le decisioni dei politici che non farebbero gli errori del mercato e che potrebbero introdurre più etica nelle relazioni economiche? Ciò vorrebbe dire abbandonare le lezioni che abbiamo appreso da tanti esperimenti falliti nel secolo scorso.

Come sosteneva Rossi nel suo articolo, ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il mercato ha fallito perché lo stato o meglio quelli che lo rappresentano non hanno fatto quello che era loro responsabilità fare. Cosa avrebbero dovuto fare? I lettori mi scuseranno se per rispondere a quella domanda riferirò ad alcuni miei articoli scritti anni prima della crisi che stiamo attraversando. Come esponente senza apologie del pensiero liberale – che crede che il mercato libero sia lo strumento più efficiente per migliorare il tenore di vita dei popoli (dando allo stesso tempo maggiore libertà) – non ho mai creduto al fondamentalismo di mercato, ossia all’idea o alla religione che il mercato ha sempre ragione. Questo è il pensiero di una setta religiosa e non di molti economisti liberali di cui Einaudi era l’esponente più importante in Italia.

Il Cato Journal, uno dei più autorevoli rappresentanti del pensiero liberale attuale, nel 2005 (autunno) mi fece l’onore di pubblicare un mio articolo su quella che dovrebbe essere la funzione economica dello stato.A pagina 631 l’articolo riportava che:

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“Nei mercati finanziari….c’è bisogno che il governo eserciti una funzione di vigilanza e di regolamentazione. Questa funzione non si può e non si dovrebbe lasciare al settore privato….Dovrebbe essere una delle attivita’ fondamentali dello stato.” In una “Special Invited Lecture” all’Università Cattolica di Milano (14 giugno 2005), pubblicata dalla Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze (fascicolo 3-2005) avevo ripetuto che “In una economia di mercato la funzione più essenziale o più fondamentale dello Stato dovrebbe essere quella di far funzionare il mercato nel modo più efficiente possibile. Conseguentemente una funzione regolatoria efficiente dello stato, verso il funzionamento dell’economia, dovrebbe essere considerate assolutamente fondamentale”.
Quest’ultima frase era addirittura in corsivo.

E’ ovvio da questi riferimenti, e potrei darn altri, che far parte del pensiero liberale non vuol dire essere contro le regole. Alcuni osservatori confondono i “fondamentalisti di mercato” con i liberisti che credono in uno stato efficiente ma ridimensionato insieme ad un mercato con regole precise imposte da politici intelligenti. Sicuramente Luigi Einaudi non era un fondamentalista di mercato. Speriamo che ci sIano ancora politici intelligenti capaci di capire la loro funzione in una economia di mercato.

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  1. Massimo GIANNINI

    Sono rimasto colpito da questa frase "le decisioni dei politici che non farebbero gli errori del mercato e che potrebbero introdurre più etica nelle relazioni economiche". A trovarli…E se in un caso come l’Italia non c’è ne Stato né mercato cosa si fa? Leggiamo Einaudi o altri e/o ci si consola dicendo che va tutto bene.

  2. Luigi Bernardi

    Si deve poi distinguere tra fondamentalismo di mercato (che noi tutti non vogliamo, ma Bush forse sì e Greenspan pure), libero mercato con un piccolo stato che assicura solo i beni pubblici, come vorrebbero Buchanan e Nozick, e forse anche l’autore), stabilisce le regole del gioco per i mercati, ma si disinteressa di interventi diretti nell’economia privata e nel welfare. Infine c’è lo stato liberale-sociale, che crede nel mercato per i beni privati, produce direttamente o regolamente quelli misti o sociali, anche per le esternalità positive che ne provengono a tutta una nazione. Io sono per quest’ultimo, in buona compagnia, con il modello nordico e, sostanzialmente, anche renano. Ma ci vogliono le tradizioni culturali e molto capitale umano.

  3. Giuseppe Lupoi

    Molto modestamente, dato che non sono un economista: per me non ha fallito nè il mercato nè lo Stato, ma entrambe. A me avevano insegnato che la borsa titoli serve per finanziare le imprese e la borsa materie prime (dal petrolio al grano) per consentire alle imprese di programmare le proprie produzioni con sicurezza. Se questa è la loro funzione qualcuno mi deve spiegare a cosa servano tutte le sovrastrutture che sono state inventate (di cui i derivati sono solo una delle ultime invenzioni) se non a trasfromare la borsa in una roulette (di Stato) dove di solito guadagna chi ha più risorse e a perdere sono sempre i veri risparmiatori? Ed ancora perchè nessuno si lamenta o si meravigla che il valore dei titoli di borsa faccia agio e di molto su quello del PIL mondiale? Quando i guadagni possono diventare così ingenti non c’è controllo che tenga: si comprano gli Stati e nessun Ente ha più la forza di controllare.

  4. luigi zoppoli

    Ho letto alcuni degli scritti di alcuni esponenti politici di alto rango, incluse prolusioni tenute all’inaugurazione di Anni Accademici. Mi sono sovvenute alcune curiosità. La prima: cosa c’entrano il Pontefice e Domeneddio con la crisi finanziaria e con una economia migliore? Il secondo: quando si censura il capitalismo e la finanza, di quale paese parla l’autore? Perchè se per caso si riferisse all’Italia scoppierei a ridere. E ulteriori motivi di ilarità mi suscitano i riferimenti all’etica.

  5. Massimo D.

    L’autore è noto per le sue posizioni di spinto liberismo (basta leggere l’articolo che lui stesso cita dal Cato Journal). E tuttavia distingue la sua posizione da quelle dei fondamentalisti del mercato (mi chiedo chi siano a questo punto costoro), dicendo di aver sempre sostenuto che il ruolo dello stato dovrebbe essere quello di vigilare perché il mercato funzioni bene. È un argomento che mi pare molto debole. Tanto per fare un parallelo, è come se un sostenitore del sistema sovietico dopo il 1989 avesse sostenuto che il sistema pianificato aveva solo bisogno di essere meglio governato. Tanzi potrebbe provare a spiegarci come mai una cosa così ovvia per tutti come la necessità di far funzionare in modo efficiente i mercati non sia stata fatta proprio nel paese in cui i principi che lui difende sono più radicati. Non è che qualche responsabilità ce l’ha proprio il pensiero liberista?

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