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A 65 ANNI IN PENSIONE, SE BEN CHE SONO DONNE

La Corte di Giustizia Europea ha stabilito l’equiparazione dell’età di pensionamento tra uomini e donne. E in Italia nasce un vivace dibattito. Ma che cosa dice esattamente la sentenza? Ecco chi sono le lavoratrici coinvolte, come si applica la disposizione, e qual è il senso. Ma è davvero un provvedimento contro le donne o un altro passo verso la parità?

Molte lavoratrici del settore pubblico hanno accolto con apprensione la sentenza della Corte di Giustizia Europea (C-46/07) che stabilisce l’equiparazione dell’età di pensionamento di uomini e donne.

Cosa dice la sentenza?

La Corte ha giudicato l’Italia inadempiente nell’applicare l’articolo 141 del Trattato CE, il quale stabilisce che «Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore ».

… Cosa c’entrano le retribuzioni? Qui si parla di pensioni!

Anche le pensioni possono essere considerate come parte della “retribuzione”. In particolare, la Corte ha confermato che una pensione corrisposta da un datore di lavoro ad un ex dipendente per il rapporto di lavoro intercorso costituisce (ai sensi dell’art. 141 CE) una retribuzione.

… Perché solo i lavoratori pubblici, e non i privati?

Il principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale – e dunque anche i regimi previdenziali legali- è disciplinato dalla direttiva 79/7/CEE. Tale direttiva, nel sancire l’assenza di qualsiasi discriminazione in base al sesso, lascia la facoltà agli Stati membri (articolo 7) di mantenere età di pensionamento diverse per gli uomini e le donne.
Tale Direttiva si applica ai regimi legali, e non ai regimi cosiddetti professionali. In questo caso, la Corte ha stabilito che la pensione percepita dai lavoratori pubblici è da considerarsi professionale, venendo corrisposta dallo Stato in quanto ex-datore di lavoro. Per i lavoratori del settore privato iscritti all’INPS, invece, la Comunità Europea non è in grado di imporre età di pensionamento uguali per uomini e donne, e dunque continuano a valere le regole precedenti.

Ma a chi si applica, esattamente, questa sentenza?

La Commissione Europea, nel suo ricorso, contesta l’articolo 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (cd. Riforma Amato), il quale sancisce che per la pensione di vecchiaia per le “forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria” (tra le quali è ricompresso il regime INPDAP per i dipendenti pubblici) valgano le regole sancite dall’articolo 1 della stessa legge: 60 anni di età per le Donne, 65 anni per gli uomini.
Tale norma oggi si applica solo a quei lavoratori che al 1 gennaio 1996 potevano vantare almeno 18 anni di anzianità contributiva, venendo dunque esclusi dalla riforma Dini (1) che introduceva, assieme al metodo di calcolo contributivo, un’età di pensionamento flessibile tra i  57 e 65 anni uguale per uomini e donne. La sentenza, dunque, riguarda direttamente solo i dipendenti pubblici più “anziani”, rimasti sotto il sistema retributivo.

… le dipendenti pubbliche "contributive", possono stare tranquille?

Non esattamente. Infatti, la riforma Maroni ha reintrodotto (2) un’età di pensionamento diversa per donne (60 anni) e uomini (65), rinnegando i principi di flessibilità e uguaglianza stabiliti dalla riforma Dini.
La Commissione potrebbe fare nuovamente ricorso contro l’Italia con riferimento questa volta al regime contributivo. E l’esito sarebbe scontato.

Perché la Corte se la prende con le donne? Non si trattava di un vantaggio?

Il citato articolo 141 CE, nello stabilire la parità di retribuzione tra uomini e donne, permette agli Stati membri di mantenere o adottare misure che prevedano vantaggi specifici «[…] diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne nella vita professionale». Ebbene, la Corte ha ritenuto che fissare una diversa età di pensionamento a seconda del sesso non compensi gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere delle dipendenti pubbliche e non le aiuti nella loro vita professionale. In altre parole, andare in pensione prima non viene ritenuta una misura compensatoria adeguata e non agevola le donne a superare i problemi che possono incontrare durante la loro carriera professionale. Misure compensatorie di altro tipo sono invece ben accette.

Chi è esattamente un "dipendente pubblico" secondo la Corte?

Questo interrogativo pone delle difficoltà interpretative. Infatti la Corte nel definire il regime INPDAP come professionale ha ritenuto i dipendenti pubblici una “categoria particolare” di lavoratori. La Repubblica Italiana ha provato a opporsi a tale interpretazione, asserendo che «[…] il regime pensionistico dell’INPDAP comprende oltre ai dipendenti pubblici, anche lavoratori del settore pubblico e lavoratori che in passato avevano prestato servizio per un ente pubblico» (3).
La Corte ha però rigettato tale argomento, in quanto: «nella presente causa, non si tratta di determinare se i lavoratori del settore pubblico e i lavoratori che in passato avevano prestato servizio per un ente pubblico costituiscano anch’essi una categoria particolare di lavoratori o se costituiscano, considerati unitamente ai dipendenti pubblici, una sola categoria particolare di lavoratori […]. Il fatto che il regime pensionistico gestito dall’INPDAP si applichi non solo ai dipendenti pubblici ma anche ad altre categorie di lavoratori non può privare i dipendenti pubblici della tutela conferita dall’art. 141 CE […]» (4).

Che differenza c’è tra "dipendente pubblico" e "lavoratore del settore pubblico"

A questo proposito, è d’aiuto la versione in lingua francese della medesima sentenza (5): confrontando il testo, si scopre che la dicitura “dipendente pubblico” è stata tradotta con “fonctionnaires”. È lecito ipotizzare, dunque, che i dipendenti pubblici a cui fa riferimento la sentenza, siano da intendersi in senso stretto come funzionari pubblici (di ministeri, prefetture, forze armate e di pubblica sicurezza, corpi diplomatici, magistratura, ecc): tutte funzioni non assimilabili a rapporti di impiego di tipo privato.

(1) Legge n. 335 dell’8 agosto 1995.
(2) Legge n. 243, 23 agosto 2004 art. 1, comma 6, lettera b
(3) Punto 42 della sentenza.
(4) punto 43 della sentenza.
(5) Disponibile qui.

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17 commenti

  1. Maurizio Benetti

    Le iscritte della Cassa Stato, compresa la scuola, vanno in pensione di vecchiaia a 65 anni. Il d.lvo 503/93 che ha innalzato l’età di pensionamento di vecchiaia ha lasciato inalterato gli ordinamenti che prevedevano un’età superiore. La legge 335 ha dato a queste lavoratrici la possibilità, fermo restando i 65 anni, di andare in pensione a 60. La legge 903/77 stabilisce che tutte le lavoratrici, pubbliche o private, possono scegliere di continuare il rapporto di lavoro fino a 65 anni. Tutte le lavoratrici, se vogliono e in particolare le dipendenti dello Stato, possono restare al lavoro fino a 65 anni (a 67 nello Stato). Non vi è nessuna norma pensionistica che le obbliga ad andare in pensione prima. Ne hanno la possibilità.

    • La redazione

      La ringrazio per la puntualizzazione. Il fatto che il pensionamento a 60 anni sia una facoltà e non un obbligo, pare non sia stato preso in considerazione nel dibattimento. Quantomeno, la sentenza non ne fa cenno.

  2. RITA

    Ho iniziato a lavorare in un ente pubblico nel 1992 ed ho 55 anni lavoro come cuoca in una casa di riposo. Ho iniziato a lavorare a 16 anni e mi sono passate per ben due riforme sulle spalle. Ora sono anche nonna e speravo di poter accudire mia nipote affinchè mia figlia potesse andare a lavorate, soprattutto oggigiorno che se non si lavora in due non si può tirare avanti dignitosamente. Speravo tanto di riuscire ad andare in pensione con il sistema contributivo a 57 anni di età e 35 di contributi, pur rimettendoci una parte di pensione, pur di non fare perdere il lavoro a mia figlia. Ma non so se sarà possibile. Speriamo di riuscirci, altrimenti mi toccherà per forza licenziarmi con una prospettiva di pensione a 65 anni, al che anche nella mia famiglia mancherà un secondo reddito per andare avanti. Questo non e giusto dopo due riforme che mi hanno già penalizzato abbastanza la carriera e ormai non la posso la più fare e comunque più in la di così non ho prospettive.

  3. luisa 51

    Chi ha queste intenzioni non ama le donne, ma le rende ancor più schiave del lavoro e degli uomini di quello che già sono! Passano la vita a lavorare dentro e fuori casa. Per quanto si curino, si trascurano e trascurano le persone e le cose che amano di più: i figli, il marito, i propri genitori, fratelli, sorelle, amici, casa, sport, ecc. Mettono al mondo i figli. Si fanno in cento per dividersi fra lavoro e famiglia. Rinunciano a mille cose, subiscono mille umiliazioni. Affrontano mille fatiche pur di contribuire al bilancio famigliare, pur tuttavia, secondo chi non ha mai provato a fare questa vita e non sa quindi che cosa significhi. La donna non ha ancora diritto di decidere quando fermarsi e cambiare vita. Vivere una vita a misura di essere umano, non di robot.

  4. ledyma

    Per me e solo allungare i tempi per dare le pensioni. E’ vero che le donne hanno voluto la parità dei diritti, ma prima bisogna tenere conto di quello che fanno in più. Puliscono casa, allevano i figli e lavorano fuori di casa, fanno più lavori degli uomini e, quindi, ovvio che sono fisicamente più sfrutttate e più stanche e questo che dovrebbe dargli il diritto di andare in pensione prima. I più lavori che svolge e quelli che riguardano la famiglia sono i più pesanti, l’uomo ne fa solo uno o al massimo due se è un lavoratore.

  5. Busso Franco

    Chi parla di pensione a 65 anni per le donne, si rende conto di quale aggravio di costi per la maggior parte delle famiglie italiane costrette a sostituire appunto le donne madri o nonne che siano tra i 60 e i 65 anni che attualmente fanno le baby sitter e/o badanti, costrette ancora a lavorare? Senza contare che le donne svolgendo un "doppio" lavoro per tutta la vita possano meritare un pò di riposo già dai 60 anni di età (non dimentichiamo che uno dei due lavori continua sino alla fine della vita). Se tale eventualità dovesse proprio capitare, sarebbe una catastrofe nazionale. Se proprio si volesse fare una cosa simile lo si faccia su base volontaria (mi riferisco ovviamente anche alle pensioni di vecchiaia). Se è una questione di soldi, penso che il governo abbia infinite altre possibilità di ricuperarli in altri modi.

  6. Desolina

    Ma a chi si applica, esattamente, questa sentenza? …Tale norma oggi si applica solo a quei lavoratori che al 1 gennaio 1996 potevano vantare almeno 18 anni di anzianità contributiva, venendo dunque esclusi dalla riforma Dini (1) che introduceva, assieme al metodo di calcolo contributivo, un’età di pensionamento flessibile tra i 57 e 65 anni uguale per uomini e donne. La sentenza, dunque, riguarda direttamente solo i dipendenti pubblici più “anziani”, rimasti sotto il sistema retributivo. Sono nata nel 1950, insegnante di Scuola Primaria, a fine agosto 2009 avrò maturato più di 35 anni di contributi. Ho un figlio con grave handicap e sto usufruendo del congedo biennale retribuito fino al 2010. Se le regole attuali dovessero cambiare, potrò comunque percepire la pensione a 60 anni, avendo acquisito il diritto al pensionamento nel 2009? (età 59 contributi 36 anni) Cosa potrà mai succedere? Che fare?

    • La redazione

      Bisogna attendere di vedere che provvedimenti prenderà il Governo. Al momento, le posso solo dire che le riforme previdenziali hanno in genere tempi di attuazione lunghi. E una volta acquisito il diritto al pensionamento tale diritto viene salvaguardato.

  7. giulia lombardo

    Ancora una volta le donne penalizzate. Fra maternità e la famiglia la carriera la fa solo chi non ce l’ha e nel mio caso che adesso ho 58 anni la carriera me la scordo perché lavorando in ospedale fra corsi vari dovrei maturare almeno 5 anni per averne benefici ma con quale rendimento se già adesso si è stanchi vorrei sapere come si fa a fare l’infermiere dopo i 60 anni si dovrebbe rendere la cosa facoltativa o per categoriae poi questi continui cambiamenti ci stressano.

  8. Claudio Lama

    Perché l’equiparazione è sempre verso l’alto e mai verso il basso? Potrebbero equiparare l’età pensionabile degli uomini a quella delle donne, portandole entrambe a 60. Perchè no?

    • La redazione

      Ha perfettamente ragione. è tuttavia da escludere un abbassamento generalizzato a 60 anni, per ovvi motivi di finanza pubblica. Una alternativa percorribile potrebbe essere di (re)introdurre età di pensionamento flessibili, uguali per uomini e donne.

  9. Ottavio

    La Corte ha potuto fare riferimento all’articolo 141 CE perché sostiene che la pensione sia calcolata sulla base dell’ultimo stipendio e che il pensionamento a 60 anni di età sia obbligatirio ma non è così. L’importo della pensione: con il sistema di calcolo contributivo, prende a riferimento la contribuzione dell’intera vita lavorativa; con il sistema retributivo siamo ormai alla media delle retribuzioni relative agli ultimi 10 anni. Il pensionamento a 60 anni è una facoltà e non un obbligo; si veda l’articolo 4 della legge n. 903/1997 e l’articolo 30 del DLgs n. 198/2006. Sul punto, leggendo il dispositivo, non sembra che cisi trovi in presenza di una sentenza da eseguire. Se sarà avviata una procedura d’infrazione l’Italia potrà chiarire i termini della questione (cosa, evidentemente, non fatta durante lo svolgimento del processo).

    • La redazione

      La Corte, citando sentenze precedenti, considera retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE anche una pensione calcolata sulla media di un ultimo periodo limitato ad alcuni anni precedenti il pensionamento (quale ad esempio la media degli ultimi 10 anni), nonché una pensione calcolata sulla base dell’importo di tutti i contributi versati opportunamente rivalutati.
      Riguardo al secondo punto, relativo alla facoltà di proseguire la carriera lavorativa compiuti i 60 anni di età, è lecito supporre leggendo la sentenza che la questione non sia stata sollevata durante il dibattimento.
      Le ricordo, infine, che questa è una procedura di infrazione a tutti gli effetti, conclusasi con una condanna per la Repubblica Italiana. Un non intervento porterebbe a ulteriori sanzioni per inadempimento.

  10. luigi

    Sono perfettamente d’accordo a portare la pensione per le donne, così come gli uomini a 65 anni. Tuttavia, considerata la condizione della donna, sulla quale continuano a gravare carichi maggiori, introdurrei una serie di correttivi: primo: la facoltà, a domanda, di andare in pensione anche al raggiungimento di 60 e prima dei 65 con una pensione decurtata in relazione ai mesi mancanti al 65° anno d’età; secondo: per le donne che hanno avuto dei figli il riconoscimento di versamenti, figurativi, di un anno per ogni figlio, pertanto queste possono anticipare l’età pensionabile, non perdendo nulla, in ragione del numero di figli avuti. Ad esempio una donna che ha avuto due figli potrà andare in pensione a 63 anni, maturando contributi figurativi, ai fini pensionistici, come se fosse andata in pensione a 65 anni.

  11. rosy

    Il comportamento dei nostri governanti senza distinzione tra destra e sinistra mi sembra molto disonesto nei confronti delle donne .anche in italia come nei paesi islamici le donne non vengono valorizzate, volete metterci anche il burca? la pensione ce la state rubando lentamente!

  12. marina

    Si è passati da un estremo all’altro. Dalle baby pensioni alle matusa pensioni, basta pensare a come fa una insegnante di oltre i 60 anni a reggere una classe di alunni di questi tempi! Avremo un esercito di nonne che popola gli uffici pubblici e di certo non si può contare su una resa reale data da una ragione fisiologica quando non subentrano problemi patologici affrontabili inevitabilmente con la malattia.

  13. Lucia Baldini

    Quando potranno entrare in ruolo i docenti precari, di conseguenza? Quali i risvolti nella scuola del permanere in servizio di insegnanti "nonni", magari stanchi, demotivati e non in grado di competere con le nuove tecnologie? Dov’è la carriera per un insegnante e come quantificare i suoi meriti? Regalando promozioni? Non si potrebbe prendere in ipotesi la volontarietà dopo i 60 anni?

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