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MA I PATTI NON SONO ANCORA CHIARI

Rating e Var non sono gli strumenti più adeguati per decidere se un titolo sia o meno sicuro. Per indicarne il valore, i prezzi di mercato sono un miglior giudice del giudizio degli analisti. Meglio dunque orientarsi verso i Cds. Soprattutto se si introducono sostanziali aggiustamenti in grado di garantire liquidità e trasparenza, riducendo la possibilità di manipolazione di prezzo. Attenzione alla commistione banche-associazioni dei consumatori: mette a rischio l’indipendenza nell’opera di tutela contro eventuali negligenze degli istituti di credito.

 

Le considerazioni sollevate da diversi lettori in merito all’articolo pubblicato su queste pagine, sono spunto di ulteriori riflessioni.,

VAR E RATING

Nella vicenda Patti Chiari, desta in effetti curiosità l’enfasi posta dai media più sul criterio del rating che su quello del rischio di mercato (Var) nella definizione che il consorzio Abi dà di bond “poco rischioso” e a giustificazionere del suo inserimento nella lista delle obbligazioni “sicure”. In caso di eventuali azioni di responsabilità nei confronti di Patti Chiari, dovrebbe infatti essere rilevante solamente il mancato rispetto del secondo requisito e non del primo. Calcolando ad esempio un Var semplice su un orizzonte annuale (biennale) e considerando rendimenti settimanali su un nozionale di 100, la serie temporale del capitale a rischio con riferimento al bond Lehman bros.hdg. 2001 6 3/8% 10/05/11, caduto poi in default, presenta l’andamento descritto dal grafico

La posizione a rischio settimanale diviene superiore al limite massimo fissato da Patti Chiari, pari a 1 (1 per cento di 100 investite), già diversi mesi prima del fallimento del titolo, avvenuta a settembre 2008. Si potrebbe dunque sostenere che doveva essere rimosso dall’elenco dei titoli “sicuri” fin da marzo 2008. Tuttavia, la mancata conoscenza di alcuni dettagli metodologici utilizzati da Patti Chiari nel determinare la posizione Var, relega tale conclusione all’ambito di validità delle ipotesi formulate. (1) D’altra parte, la scarsa pubblicità dei dettagli metodologici può essere interpretata anche nell’interesse stesso del risparmiatore: il consorzio ha la finalità di semplificare le scelte di investimento dell’investitore retail e “troppa informazione” potrebbe generare un fenomeno di “poca informazione”.
È lo strumento Var a essere inadeguato. Propendere infatti per metodologie Var più forward-looking onde evitare l’errore del tacchino di Taleb non sembra poter affatto risolvere il problema: un lettore suggerisce l’utilizzo di simulazioni Montecarlo, ma resta l’interrogativo su come queste siano effettivamente in grado di rimuovere il problema legato all’utilizzo di dati storici. D’altra parte, l’eccessiva sofisticazione non sembrerebbe comunque sposarsi con l’esigenza di semplicità e trasparenza richiesta dal risparmiatore.

IRRAZIONALITÀ E PREZZI

Se il criterio Var presenta problemi, quello del rating non sembra certo più affidabile. Chi, per avere un’idea del valore di un’azione, preferirebbe utilizzare i suggerimenti degli analisti piuttosto che osservare direttamente sul mercato i valori di borsa del titolo? In relazione al rischio di credito, le valutazioni degli analisti corrisponderebbero al rating mentre il valore di mercato corrisponderebbe ai Cds (Credit default swap).
È indiscutibile che quest’ultima misura possa essere affetta da errore ed è tanto più vero quanto più i mercati di riferimento sono inefficienti, illiquidi e non regolamentati. D’altra parte, però, desta stupore leggere analisi di prima pagina, come quella pubbicata suIl Sole 24 Ore del 24 gennaio 2009, in cui si afferma che, data la presunta irrazionalità delle quotazioni dei Cds (in quel caso, il riferimento era al livello dei Cds sulla Fiat) e, di conseguenza, la loro inaffidabilità, bisognerebbe in qualche modo limitarne l’utilizzo. Anche i prezzi delle azioni esprimono prezzi che potrebbero sembrare a prima vista irrazionali, ma non per questo si è mai pensato di limitarne l’operatività o di arrivare persino a chiudere i mercati. Non sembra un caso il fatto che nel giorno in cui i Cds su Fiat toccavano i livelli ritenuti irrazionali, anche le azioni Fiat toccavano i minimi (sempre irrazionali?) degli ultimi anni. Quanto all’irrazionalità di un prezzo di mercato, può essere giudicata tale solamente ex-post. Se non fossimo persone responsabili sfideremmo chiunque ritenesse il mercato irrazionale a sfruttare queste “incredibili” opportunità di guadagno semplicemente prendendo posizioni opposte (nello specifico vendendo protezione su titoli Fiat).
Poiché anche la letteratura ha ampiamente dimostrato la superiorità dei prezzi di mercato rispetto ai giudizi degli analisti nell’esprimere il valore di un titolo, la strada maestra da seguire sembra quindi quella di orientarsi verso i Cds. Al tempo stesso, è chiaro come sia opportuno prevedere sostanziali aggiustamenti: la riconduzione della loro negoziazione all’interno di mercati regolamentati, l’istituzione di una clearing house in grado di eliminare il rischio controparte  rappresentano indubbiamente elementi indispensabili che potrebbero garantire liquidità e trasparenza riducendo al contempo la possibilità di manipolazione di prezzo.

L’IPOTESI DELL’AGENZIA PUBBLICA

Un lettore si domanda se in realtà non si potrebbe salvaguardare il criterio del rating semplicemente eliminando l’annoso problema dei “conflitti di interessi” attraverso l’istituzione di un’agenzia di rating di natura pubblica. Diversi contributi accademici dissuadono dall’intraprendere siffatte soluzioni: mostrano che la commistione politica-finanza inibisce sistematicamente lo sviluppo di un sistema economico. Si provi infatti a immaginare un’agenzia governativa chiamata a stabilire quali imprese (o quali bond) siano meritevoli di credito (alto rating) e quali invece non lo siano (basso rating). Al libero agire delle forze di mercato si sostituirebbe probabilmente la mera e continua ricerca di consenso politico da parte delle imprese. Certo, una soluzione simile piacerebbe ai politici, ma c’è da dubitare del giovamento che potrebbe trarne l’economia nel suo complesso.
Appare doveroso, infine, richiamare l’attenzione su un punto finora passato inosservato. Per la ri-definizione di “nuovi” Patti Chiari sono stati chiamati al tavolo di negoziazione, oltre alle banche, le associazioni dei consumatori. Se da una parte l’iniziativa appare lodevole, dall’altra suscita qualche inquietudine. La commistione banche-associazioni dei consumatori potrebbe ridurre l’indipendenza di queste ultime nell’opera di tutela contro eventuali negligenze delle prime. Se ad esempio si rivelasse una qualche responsabilità nella vicenda bond Lehman, chi avrebbe interesse a tutelare i risparmiatori e a incentivarli ad agire nei confronti delle banche?
Ovviamente, non sono altro che mere congetture. Averne consapevolezza, però, può permettere che rimangano tali.

(1) Nell’esempio è stata utilizzata una finestra temporale pari a uno e due anni. Non ci è dato conoscere quale sia quella utilizzata da Patti Chiari né con quale periodicità le analisi vengono aggiornate.

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  1. Anonimo consumerista

    Noto che l’articolo, davvero ben scritto entra nel dettaglio delle falle tecniche del progetto patti chiari (evidenti a occhio umano, ma ora lampanti dopo la spiegazione). Ci sono degli esempi supportati da dati che parlano chiaro. Resto sorpreso però che sulla questione dell’indipendenza delle associazioni dei consumatori si spendano parole generiche di preoccupazione senza citare dati certi. Anche qui si potrebbero invece citare dati numerici molto eloquenti, quelli del passaggio di denaro tra aziende e associazioni dei consumatori. Sia per patti chiari che per altri progetti. Non credo che due studiosi tanto preparati avranno soverchie difficoltà a reperire questi dati e a pubblicarli. Complimenti e auguri.

  2. Stefano Spada

    Il CDS senza dubbio rimane il miglior strumento finanziario per negoziare il puro rischio di credito di una società. I livelli irrazionali degli ultimi tempi sono causati principalmente dall’eccessiva volatilità storica ed implicita che oggi incorporano e dalla mancanza di una clearinghouse che faccia da compensazione per queste transazioni tuttora OTC. E’ plausibile dire che venuta meno questa eccessiva volatilità e la creazione di una clearinghouse, i livelli di molti CDS si normalizzeranno. Ergo, non per questo bisogna buttare all’aria uno strumento tuttora utile per la gestione del rischio.

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