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OMBRE SULLA PREVIDENZA

Il presidente di Confindustria chiede al governo di lasciare il Tfr dei lavoratori presso le imprese, apparentemente una proposta ragionevole in tempi di stretta creditizia. Ancor più grave è la sospensione del metodo contributivo decisa per i dipendenti della Camera. Due fatti che lanciano un messaggio sbagliato, con il rischio di allontanare i lavoratori dai fondi pensione e, di conseguenza, da una decorosa integrazione alla pensione pubblica. Il pericolo è un ripudio del metodo contributivo, l’unico compatibile con la sostenibilità finanziaria del sistema.

Due fatti recenti, apparentemente di scarso peso e tra loro scollegati, ma in realtà importanti e interconnessi, gettano ombre pesanti sul futuro del nostro sistema pensionistico.
Il primo è la richiesta avanzata al governo dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, di lasciare il Tfr presso le imprese, in un momento in cui hanno gravi difficoltà a ottenere credito. Il secondo, più inquietante, è la sospensione del metodo contributivo di calcolo delle pensioni per i dipendenti della Camera. (1).

SE IL TFR TORNA IN AZIENDA

Cominciamo dalla proposta Marcegaglia. Scaturisce da un provvedimento della legge Finanziaria per il 2007 sul trasferimento del (flusso di) Tfr a fondo pensione mediante la clausola del silenzio-assenso. In base a questa clausola, che si applicò nel primo semestre di quell’anno, se il lavoratore intendeva evitare il trasferimento del Tfr doveva dichiararlo espressamente. Altrimenti, cioè in caso di silenzio del lavoratore, il Tfr sarebbe stato devoluto a un fondo pensione occupazionale o, in sua mancanza, di altro tipo. In quell’occasione, forse anche per evitare pressioni sui dipendenti, fu altresì deciso di sottrarre in ogni caso il Tfr alla disponibilità delle imprese – con l’eccezione di quelle con meno di 50 dipendenti – e di devolverlo invece all’Inps, presso il quale venne istituito un apposito Fondo, deputato proprio alla gestione del trattamento di fine rapporto dei dipendenti del settore privato. Qualcuno osservò, forse senza eccessiva malizia, che in ogni caso i flussi di cassa dell’Inps, e quindi indirettamente del Tesoro, ne avrebbero tratto sicuro giovamento, essendo il Tfr considerato un’entrata e non registrandosi invece, per effetto della gestione a ripartizione, il debito futuro nei confronti dei lavoratori. 
Sono queste le risorse finanziarie, stimabili in 5-6 miliardi di euro, che il presidente di Confindustria chiede siano ora “restituite” alle imprese. Tra i due “litiganti” normalmente il terzo gode; non in questo caso, però. Il “terzo” è il lavoratore che, attraverso la devoluzione del Tfr, dovrebbe alimentare il proprio risparmio pensionistico, destinato all’età anziana.
Certo, oggi, in piena crisi finanziaria nessuno osa promuovere i fondi pensione e il tasso di rendimento garantito dal Tfr non è facilmente replicabile dai mercati finanziari. L’ottica del risparmio previdenziale, però, non è, e non può essere, quella del breve periodo. Meno che mai quella di un breve periodo dominato dalla crisi e dalla sfiducia. In questo senso, la proposta Marcegaglia sottende un messaggio sbagliato, ossia che il Tfr sia destinato a rimanere tale e che quindi la prospettiva previdenziale sia da dimenticare, almeno per il momento (e fino a quando?). Si rovescia cioè l’impostazione corretta, che è quella della gestione del risparmio di lungo termine, per concentrarsi sull’utilizzatore di breve periodo dei fondi.
Questo messaggio rischia di allontanare ulteriormente i lavoratori dai fondi pensione e, di conseguenza, di lasciarli esposti al rischio di una inadeguata accumulazione per l’età anziana. A oggi sono ancora relativamente pochi i lavoratori che aderiscono ai fondi, e quelli che lo fanno contribuiscono in misura insufficiente a precostituirsi una decorosa integrazione alla pensione pubblica. Anziché mandare messaggi negativi sarebbe opportuno affrontare il tema di come rafforzare le protezioni a favore dei lavoratori nel comparto dei fondi pensione, che la crisi finanziaria rende non meno, ma anzi più necessari. È urgente che se ne affrontino i rischi, oggi generalmente addossati agli stessi lavoratori, perché la formula del contributo definito adottata dalla previdenza complementare del nostro paese non prevede garanzie di sorta. Occorrerebbe discutere di come mitigare i rischi, ben sapendo che le garanzie costano, sia che siano offerte dal mercato (nel qual caso si riduce il rendimento netto), sia che siano pubbliche, nel qual caso il loro onere ricade sulla collettività.

METODO ED ECCEZIONI

Ancor più negativo è il secondo fatto, ossia la sospensione del metodo contributivo per i dipendenti della Camera. A parte gli aspetti giuridici (di costituzionalità?) sulla disparità di trattamento, il provvedimento assesta un colpo devastante alla riforma del 1995 e al metodo contributivo che ne era l’elemento fondante. Il metodo non fu infatti introdotto per “fare cassa”, riducendo l’importo delle pensioni, ma per porre fine al vecchio vizio di scaricare oneri sulle generazioni future e per abolire gli inaccettabili privilegi del vecchio sistema retributivo, attraverso l’ancoraggio a un principio di uniformità nel calcolo delle pensioni. Anche questo provvedimento, quasi insignificante in cifra assoluta, sottende però una pericolosa lesione del metodo contributivo, aprendo la strada ad altre eccezioni e forse a un vero e proprio ripudio. Il contributivo rimane però l’unico metodo veramente compatibile con la sostenibilità finanziaria del sistema, e perciò con la stabilizzazione del debito implicito rappresentato dalla ripartizione. Che si creino, a opera del Parlamento, isole di privilegio è inaccettabile in sé, ma il danno in questo caso potrebbe essere davvero incalcolabile, se dovesse condurre a ripudiare nei fatti una riforma partita ormai tre lustri or sono e non ancora concretamente applicata. Torneremmo a una logica redistributiva, fatta non tanto per proteggere i più deboli, ma per concedere vantaggi ai più fortunati, e ciò aprirebbe la strada a pericolose rincorse.
Vi sono molte correzioni che si potrebbero utilmente apportare per migliorare il sistema previdenziale, sia nella componente pubblica sia in quella complementare privata. Proporre invece misure che potrebbero rappresentare un’involuzione, anche se apparentemente ragionevoli come nel caso della proposta di Confindustria, è davvero poco saggio.

(1) Il fatto è citato in un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di venerdì 19 febbraio 2009.

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11 commenti

  1. giuseppe marini

    L’Autrice fa evidente confusione tra FONDINPS (FPC gestore residuale di TFR per i ‘silenti’) e FONDO DI TESORERIA, che l’INPS gestisce per conto dell’ERARIO e non raccoglie i ‘Risparmi previdenziali’ dei lavoratori come asserito ma il TFR che, esplicitamente lasciato dai lavoratori in azienda per essere gestito dal datore di lavoro, questi – caso al 31.12.2006 avesse avuto 50 addetti – deve versarlo all’INPS affinchè sia messo a disposizione di capitoli di spesa dello Stato, individuati gia nella stessa legge 296/2006, e che sarà restituito ai lavoratori solo in caso di cessazione del rapporto di lavoro. La richiesta delle imprese è quindi solo di ritornare alla diretta gestione del TFR, di cui non possono averne la disponibilità pur se risulta appostato tra i debiti aziendali. Non c’è quindi nessun attentato ai diritti dei lavoratori, la verità è che verrebbero a mancare i 7 MDI di euro di copertura di legge per gli impegni di cassa statali (già individuati per un triennio). Vero che in questi tempi di crisi sono fonti non altrimenti reperibili ma creare confusione con misconoscenza delle norme, e degli effetti, non è giusto, ne per la Sig.ra Marcegaglia ne per i lettori.

  2. roberto macri'

    La vicenda in un’opinione: per raggiungere l’equlibrio finanziario del sistema pensionistico vanno prima di tutto parificati i contributi rispetto al 100 di pensione attesa. Ad esempio, mi ha colpito la notizia che per i dipendenti Banca d’Italia il montante dei contributi versati genera alla fine una pensione di 101 mentre per gli operai dell’industria questo rapporto è molto più sfavorevole; se così è, vuol dire che le pensioni delle categorie privilegiate vengono finanziate in parte con i contributi delle categorie più svantaggiate. Oppure a parità di contributi c’è chi va in pensione a 50 anni e chi a 60. Se è così, prima di innalzare l’età pensionabile non sarebbe giusto parificare i trattamenti tra le diverse categorie? Una misura forse insufficiente per mettere in equlibrio il sistema pensionistico, ma renederebbe accettabile socialmente l’aumento dell’età di pensionamento se sono uguali per tutti i coefficienti contributivi e l’età. Non sono esperto della materia e sarei grato alla prof. Fornero se volesse chiarire questo aspetto, magari con una tabella che indichi per ciascuna categoria coefficienti ed età di pensinamento.

  3. Gianni Ferrante

    Premesso che condivido la sostanza dell’intervento della prof.ssa Fornero aggiungo qualche considerazione. Non solo la richiesta di utilizzo del Tfr accantonato nel "Fondo Tesoreria" finisce per gettare una luce negativa sul valore e le prospettive della previdenza complementare, ma se un ulterriore soggetto, ancorchè pubblico, si inserisce nell’utilizzo del salario differito dei lavoratori, non è legittimo il rischio che poi per rientrarne in possesso si dovrà "pagare pegno"? In secondo luogo, anche se la presa di posizione confindustriale non vi fa riferimento, esiste una lesione (ai fini dell’accumulo di un risparmio previdenziale) rappresentata dalla facoltà di lasciare il Tfr nelle aziende con meno di 50 dipendenti: se le piccole imprese non possono rinunciare al Tfr neanche i lavoratori possono rinuciare alla previdenza complementare: allo stato questa contraddizione non viene affrontata. Infine, non è vero che con la crisi finanziaria "nessuno osa promuovere i fonsi pensione". Le parti istitutive dei fondi negoziali, pur avendo ridotto il proprio attivismo, continuano ad informare i lavoratori in azienda e nei territori, proprio perchè qualsiasi rinvio nell’adesione comporta l’accumularsi di un danno non recuperabile. Sulla sospensione del contributivo ai dipendenti della Camera l’unica cosa che non farei è stendere un velo pietoso sull’argomento.

  4. Luigi Calabrone

    Sembrava che con l’ingresso nell’Unione Europea i parlamentari avessero perso il vizio di falsificare periodicamente i conti e la moneta, come era avvenuto largamente negli anni ’70 in cui era stato introdotto il rovinoso e sostanzialmente truffaldino sistema retributivo (famigerata "riforma Brodolini"), che poteva essere sostenuto solo stampando moneta (anche di qui le regolari e periodiche svalutazioni, cessate solo con l’introduzione dell’euro). Da questo episodio sembrerebbe invece i parlamentari-lupi vogliano tornare alla finanza allegra che ha già devastato il Paese (vedi il debito al 110%, di fatto inassorbito da un quindicennio). L’effetto di esempio sarà devastante.

  5. Agostino

    La Marcegaglia "ha copiato" e integrato la mia proposta sul TFR. Il 18 febbraio 2009, il Presidente degli Industriali Emma Margaglia ha chiesto che il TFR per un anno resti nelle casse aziendali e non abbia ad essere versato all’INPS. Con un certo senso di "gioia" apprezzo la proposta che "copia" e integra quanto avevo scritto in data 08/02/2009 sulle misure unatantum per fare fronte alla crisi a brevissimo termine. Oltre ad altro, infatti, scrivevo "…. ritengo che il TFR maturato nel corso del 2008 e rivalutato al 31.12.2008 debba essere messo in busta paga con lo stipendio del mese di marzo 2009". Una scelta in tale direzione da parte della classe politica, penso, ben oltre i soliti schemi di assistenzialismo, è possibile.

  6. Antonio ORNELLO

    Scorgo una sorta di scientifica ingenuità nel non voler centrare le contrapposizioni, tra contributivo e retributivo, nei diversi trattamenti previdenziali riconosciuti ai lavoratori autonomi e ai dipendenti. Non sfugga che, da un lato, si impedisce l’opzione per il sistema contributivo ai soli dipendenti di sesso maschile con più di 18 anni di contributi già versati alla data del 31/12/95, mentre, sul fronte opposto, si concede a tutti gli autonomi, oltre che ai Parlamentari, di dribblare il contributivo per accedere a calcoli pensionistici commisurati ai redditi degli ultimi anni. Così il metodo contributivo, pur essendo il più compatibile con la sostenibilità del sistema previdenziale, viene strumentalizzato a forza di disposizioni non condivise, più che ripudiato dai lavoratori.

  7. Antonio ORNELLO

    Su questo argomento, credo, il rischio più attuale non è, tanto, allontanare i lavoratori – meschini – dai fondi pensione, quanto che ci si continui ad allineare – schierati – su proposte di alterni versanti politico-economico-amministrativi aventi per scopo: discreditare ogni buon senso di equità, autorizzare Inps, fisco e imprese a svuotare le tasche dei lavoratori dipendenti, scardinare i nostri buoni principi costituzionali. A maggiore permanenza al lavoro andrebbe riconosciuto miglior trattamento pensionistico, legato ad una effettiva contribuzione individuale al sistema previdenziale; qui si continua, invece, ad obbligare i dipendenti a lavorare molto più a lungo, per poter pescare risorse finanziarie proprio nel loro futuro, legittimati da anacronistiche normative contraddittorie.

  8. giuseppe

    Sono assolutamente condivisibili le critiche rivolte dalla Professoressa Fornero ai due fatti oggetto di commento. Qualche perplessità, invece, permane in merito alla difesa d’ufficio del metodo contributivo e delle pensioni complementari (che sarebbe più onesto definire "investimenti finanziari rischiosi"). Nessun dubbio circa il fatto che l’introduzione del metodo contributivo abbia portato benefici alla finanza pubblica. Anche lo sviluppo della previdenza complementare, del resto, si propone lo stesso obiettivo [dal momento che scarica interamente addosso ai futuri pensionati i rischi della eventuale (andamento dei mercati finanziari permettendo) pensione complementare]. Sarebbe più onesto, quindi, dichiarare che grazie al metodo contributivo le future pensioni pubbliche saranno molto, ma molto modeste, probabilmente per tante persone sotto la soglia di povertà; per gli stessi motivi, d’altra parte, è inpensabile che gli stessi giovani possano permettersi di accantonare una pensione complementare. Il risultato sarà che i futuri governi dovranno in ogni caso "gestire" (portafoglio alla mano) il problema sociale che si preannuncia, con buona pace per la finanza pubblica.

  9. Bruno Pierozzi

    Sono estremamente favorevole alla proposta della Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Ho avuto modo di proporre – prima che fosse avanzata da Confindustria – la medesima proposta su uno dei forum proposti dal quotidiano il Riformista on line. Ritengo infatti che l’istituto del TFR sia uno strumento utile e da rilanciare, sia in favore dei lavoratori che delle imprese. Sopratutto in questa fase della crisi, in cui occorre una forte liquidità per sostenere le aziende il TFR è lo strumento idoneo. Ritengo che la previdenza complementare sia stata una scelta errata in quanto tesa solo a favorire le strutture gestionali che detengono e amministrano i fondi e che certamente non lo fanno per filantropia. Se il TFR fosse detassato (come sarebbe giusto) non ci sarebbe alcun bisogno di ricorrere a fondi integrativi legati tra l’altro al mercato azionario suscettibile di ogni accidente (come quello determinato dalla crisi attuale) e che quindi mette in pericolo quello che deve essere un diritto e non una opportunità, ovvero il godimento del trattamento pensionistico.

  10. andrea malatesta

    E’ sorprendente il fatto che né la prof.ssa Fornero, né i lettori che commentano il suo articolo, abbiano ricordato che il TFR è salario differito, dunque appartiene ai lavoratori. I quali hanno subito uno scippo attraverso il meccanismo del silenzio-assenso, grazie ad una mega concertazione tra governo, confindustria e sindacati confederali. La prima riforma da fare sarebbe quella di abolire la irreversibilità dell’opzione, esplicita o implicita, a favore dei fondi-pensione (il cui rendimento è clamorosamente inferiore alla rivalutazione del tfr) e dare la facoltà ai lavoratori di uscire dai fondi e tornare al tfr. Segnalo il sito http://www.beppescienza.it di un professore dell’università di Torino che da anni, in splendido isolamento, denuncia i rischi degli investimenti azionari e in tempi non sospetti ha messo in guardia anche dai rischi derivanti dai fondi-pensione.

  11. fiorenzo

    Non ho ancora capito chi versa questi soldi, i vip? I lazzaroni di giornata? Si distribuiscono migliaia di euro a tizio e caio tra giochi da terzo mondo, si oliano schifezze cinematografiche, si mantengono un numero sempre più numeroso di non sai cosa facciano. Per giunta chi bolla il cartellino deve subire l’umiliazione di perfetti incompetenti. L’unica cosa positiva per non gravare sulle generazioni future è far lavorare a livelli inferiore incompetenti, vip e lazzaroni di giornata. Tutto il resto lascia il tempo che trova. O no? Chi ha mantenuto le generazioni precedenti e gli sperperi deve rinunciare ad un suo diritto? Persino Pareto si rigirerebbe nella tomba vedesse il risultato economico ottenuto da una schiera talmente numerosa di fannulloni da far venir la pelle d’ oca.

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