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L’ABBRACCIO INSCINDIBILE TRA CINA E DOLLARO *

La Cina denuncia i pericoli di un sistema basato sul dollaro quale moneta di riserva internazionale. Più che altro, a preoccupare il gigante asiatico è una svalutazione del dollaro che comporterebbe la perdita di valore delle notevoli riserve accumulate negli anni. Ma il suo problema di oggi è l’ovvia conseguenza della strategia mercantilistica deliberatamente perseguita dai governanti cinesi. E che ha garantito una costante crescita del paese. Oggi non può sottrarsi al pagamento di un costo relativamente basso per gli enormi benefici che ne ha ricavato.

 

È tutta la settimana che la Cina fa notizia sui giornali del mondo intero, in virtù della sua proposta di rimpiazzare il dollaro con un’altra valuta come moneta di riserva internazionale. La perfetta tempistica della proposta, proprio alla vigilia del G20 londinese, ha permesso alla Cina di articolarla come una preoccupazione di sistema.

STRATEGIE CINESI

Certo, possono esserci problemi col dollaro quale valuta di riferimento del sistema finanziario mondiale. E la moneta americana può anche aver svolto un ruolo importante nell’attuale crisi. Ma i reali motivi della Cina sono ben altri e sono nazionali: teme che una brusca caduta del dollaro determini una perdita di valore delle sue riserve, che ammontano a 2 mila miliardi di dollari. E una simile minaccia è improvvisamente divenuta più concreta, a causa della drammatica vulnerabilità del bilancio Usa.
Forse che la Cina sta tentando di tenere il piede in due staffe? Vuole mostrarsi come la vittima del sistema basato sul dollaro, quando per lungo tempo ne ha beneficiato e ha contribuito a favorirlo.
Il problema attuale è l’ovvia conseguenza della strategia mercantilistica, deliberatamente perseguita dalla Cina. Per giudicare se i timori della Cina siano o meno giustificati è necessario procedere a un’analisi costi-benefici del mercantilismo realizzato dai governanti cinesi.
La strategia di sviluppo della Cina è stata semplice e focalizzata: esportare ovunque e a ogni costo. Per realizzare il suo scopo ha mantenuto un tasso di cambio sottovalutato. La strategia mercantilistica si appoggia su basi empiriche. Recenti ricerche accademiche (per esempio, quella di Dani Rodrik di Harvard) confermano che un tasso di cambio sottovalutato contribuisce a evitare il sottosviluppo e a favorire la crescita a lungo termine. Insomma, la strategia di sviluppo, messa in atto dai governanti cinesi, è stata ragionevole e sensata.
Ma i tassi di cambio sottovalutati e il conseguente rapido aumento delle esportazioni hanno anche portato a un aumento delle eccedenze delle partite correnti. Le autorità cinesi sono intervenute nel mercato dei cambi per evitare un apprezzamento della loro moneta, il che ha provocato un forte accumulo di riserve in valute estere. È importante capire che tutto ciò è la conseguenza della strategia mercantilistica di sviluppo cinese. Se avesse permesso alla moneta di rivalutarsi, la Cina avrebbe ora meno eccedenze delle partite correnti e non avrebbe tutte quelle riserve di cui  “preoccuparsi”.

I COSTI E I BENEFICI

Sono proprio i costi del mercantilismo che preoccupano oggi il governo cinese: vale a dire una considerevole diminuzione di valore delle sue riserve di valuta estera, che ammontano a 2 mila miliardi di dollari. Il rischio, sempre ritenuto inevitabile, è ora divenuto imminente, per il forte deterioramento del bilancio statunitense, che ha anticipato la data del declino del dollaro. Supponiamo che il declino del dollaro e il riequilibrio dello yuan significhino un 20 per cento di perdita di capitale. Ciò significherebbe una perdita di 400 miliardi di dollari, vale a dire circa il 10 per cento del Pil cinese.
Queste perdite finanziare sono, tuttavia, compensate dai vantaggi della crescita mercantilistica? Supponiamo che la Cina badi più alla crescita che al consumo (i nostri calcoli si rifanno alle preferenze rivelate del governo cinese). Supponiamo anche che la sottovalutazione abbia funzionato, generando – in un determinato periodo – una crescita che altrimenti non sarebbe avvenuta.
E diamo pure per scontato che negli ultimi dieci anni il mercantilismo cinese abbia portato a un tasso annuale di crescita della produttività dell’1 per cento (compatibile con le ricerche di Rodrik e di altri). Questo consistente aumento della produttività ha generato, nel giro di dieci anni, un 10 per cento in più di Pil . Con il deprezzamento delle riserve si perde un anno di crescita del Pil. Però, questo Pil più alto rappresenta un vantaggio permanente, che si ripete anno dopo anno e che si estende ben oltre il periodo dei dieci anni. Una quantificazione precisa dei benefici dipende da numerose variabili, ma l’ordine di grandezza è comunque evidente: l’incremento totale del Pil dovuto alla strategia mercantilistica è considerevolmente più elevato dei costi finanziari.
La Cina dovrebbe pertanto riconoscere di aver deliberatamente scelto una strategia mercantilistica. Tale strategia ha portato tutti gli enormi benefici voluti dalle autorità cinesi, ma ha anche comportato costi inevitabili, il rovescio della medaglia dei benefici della crescita. Pertanto, se vanno accolti con favore gli appelli della Cina a una rivalutazione del dollaro, questi non dovrebbero però trasformarsi in un tentativo di evitare i costi finanziari. Sono costi da cui non si può prescindere e, per giunta, sono piccola cosa rispetto ai vantaggi in termini di crescita che ne sono derivati.
Il mondo intero, in questo periodo, fa molta fatica ad accettare il salvataggio dei debitori. Ben diverso sarebbe dover salvare anche il più grande creditore: questo sembra infatti essere il reale obiettivo dei governanti cinesi, camuffato da richiesta di cambiare il sistema basato sul dollaro.
Cina e Stati Uniti, attraverso il commercio e il movimento di capitali, sono ora uniti come due gemelli siamesi “persi uno dentro l’altro”, per usare le parole di Salman Rushdie. La Cina ha scelto questo abbraccio a occhi aperti, come parte del contratto. Ha goduto dei suoi benefici. Ora vuol dividersi per evitarne i costi. Ciò non è auspicabile, né tanto meno si dovrebbe permetterlo.

Il testo originale in inglese su Real Time Economics

(traduzione di Daniela Crocco) 

Foto: da internet

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. renzo pagliari

    La posizione del governo cinese nei confronti del dollaro, quale valuta di riserva, è sicuramente dettata da motivi egoistici. Essa evidenzia però una situazione oggettiva che deve essere affrontata per evitare difficoltà future maggiori. L’ economia americana non rappresenta più, come negli anni del dopoguerra una percentuale rilevante se non maggioritaria dell’economia mondiale, il governo e il popolo americano sono indebitatissimi, approfittando della possibilità di pagare beni reali con mezzi cartacei. Il dollar standard non è più accettabile neanche per gli stessi americani, come dimostrano le vicende del franco francese e della sterlina al momento del crollo dei rispettivi imperi. FMI può operare come banca centrale mondiale costituita da tutti i paesi creditori/debitori, con liquidità limitata al funzionamento ed apporto di riserve auree, oggi inutilizzate. Acquista i debiti/crediti di stati verso stati e banche, a tassi diversi in funzione del debitore, e li sostituisce per i creditori con proprie obbligazioni fruttifere denominate in unità di conto stabili a tasso basso e uniforme, negoziabili solo tra questi enti evitando rischi connessi anche con un paniere.

  2. Massimo GIANNINI

    L’autore sembra mettere troppa responsabilità sul paese creditore che è la Cina, che per il fatto stesso di essere creditore meriterebbe a mio parere più rispetto. Molto meno per tutt’altri problemi non oggetto di questo articolo. Tuttavia credo che piuttosto di un abbraccio ad occhi aperti si è trattato più di un Bacio della donna ragno. Non saprei pero’ quale dei due paesi è la Donna ragno. Mi pare più gli Stati Uniti.

  3. mirco

    Il dollaro svaluterà, forse a 2 per euro, la cina pagherà pegno per le sue scelte, e la crisi è talmente globale che comunque il dollaro perderà la sua posizione dominante. L’economia del futuro, se vogliamo salvare il pianeta, non è nell’iperconsumo per pochi e nella povertà di molti. La Cina dovrebbe saperlo che comunque il pianeta fisicamente non si pùo permettere 1.500.000000 di cinesi che consumano come 250.000.000 di americani. Ha ragione al Merkel, la crisi è stata determinata da troppo denaro e non dal contrario e la vera economia sana è crescita e sviluppo duraturo fondato su scelte di ecocompatibilià e di società solidali e non su iperconsumismo.

  4. Aureliano Leone

    Condivido in pieno quanto esposto nell’articolo. Non si puo’ sposare una politica traendone grossi benefici per poi tentare di cambiare rotta quando la situazione mostra segni di cedimendo. Credo che il governo cinese voglia approfittare dello stato di allerta mondiale per trarne ulteriori vantaggi, consolidando la sua posizione, di per se gia’ molto positiva.

  5. Gabriele Battaglia

    Sono d’accordo con l’analisi, meno sulle conclusioni. La cosiddetta "chain-gang economics" (economia dei galeotti incatenati) tra Cina e Usa ha recato benefici a entrambi. La Cina ora imputa agli Usa la rottura del meccanismo virtuoso e non vuole pagarne le conseguenze. O meglio, sarebbe anche disposta a dare un contributo, ma solo in cambio di un maggiore peso politico nelle istituzioni internazionali (Fmi su tutti). Questa è la prima chiave di lettura: un segnale "politico" agli Usa, come a dire "guardate che se non condividete il potere decisionale, noi mettiamo in dubbio la vostra centralità economica basata sul dollaro". Dopo di che ci sono le reali preoccupazioni cinesi: si sono accorti di avere in mano un’enorme riserva che può diventare carta straccia, e non per colpa loro. In linea di principio non c’è nulla di sbagliato nel volersi sganciare da una moneta il cui valore non dipende da scelte economiche e politiche interne alla Cina stessa.

  6. Armando Rosal

    Il pericolo del deprezzamento del dollaro è una sorta di sindrome del cavallo vincente. Insomma la Cina ha consapevolmente puntato sul cavallo migliore, che garantiva un buon allocamento per le sue risorse. Ovviamente adesso è innervosita visto che potrebbe perdere parte dei suoi guadagni. Di conseguenza si trova non solo a dover puntare sullo stesso cavallo ma anche a dover pure allenarlo. Allora mi chiedo perché la Cina non ha (avuto) la stessa fiducia nei confronti dell’euro? E poi una regola sensata in economia ci dice che è meglio diversificare gli investimenti: perché non aumentare il consumo interno oltre che puntare sugli altri?

  7. Franco Oriti

    La Cina auspica ora una moneta mondiale? Bene, ma solo se essa diventerra’ democratica, rispettosa dei diritti umani, dell’ambiente e dell’ecologia e se a livello ONU si costituira’ un Governo mondiale democratico controllato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite eletta dai cittadini del mondo. Oggi ci stiamo preoccupando solamente di alleviare la grave crisi finanziaria ed economica gia’ in atto da diversi mesi ma chi si sta preoccupando del nostro pianeta e della disparita’ economica delle varie popolazioni, della diminuzione dell’acqua potabile tra 30/50 anni, dell’effetto serra, ecc.? Quanti debiti stiamo contraendo oggi per farli poi pagare alle generazioni future? La crisi in atto riusciremo a superarla solo se i nostri governanti sapranno adottare decisioni di lungo termine per il bene comune della comunita’ intera del pianeta.

  8. Federico Brunelli

    Condivido anch’io l’osservazione che la Cina ha evidenziato un problema che oggettivamente esiste: non si può più basare il sistema finanziario mondiale su una moneta di un solo paese, che tra l’altro è in netto declino. Il presidente della Banca Centrale Cinese dice giustamente che si deve passare ad un’unità di conto mondiale, collegata ad un paniere in cui trovano posto le principali monete. La liquidità mondiale non deve più essere collegata al surplus/deficit della bilancia dei pagamenti di un solo paese (dilemma di Triffin). In un mondo in cui non c’è più una potenza egemone, per raggiungere l’obiettivo della stabilità finanziaria mondiale serve un approccio cooperativo tra paesi per la creazione di istituzioni sovranazionali di regolazione democratiche e dotate di reali poteri. Abbiamo l’esempio della creazione dell’euro, prima moneta sovranazionale; possiamo provare a replicarlo a livello mondiale. Metto qui il link ad un paper a mio parere illuminante su questi temi: http://www.mfe.it/ufficiodeldibattito/2006/rimini_iozzo_mosconi_dedollarizzazione.pdf

  9. marco ferrara

    Chiariamo che nessuno li ha obbligati a detenere le loro riserve in dollari e che, come già diceva qualcun altro, diversificare su altre posizioni (valute o metalli) avrebbe reso meno sensibili le loro riserve: inoltre, magari utilizzando parte di quelle riserve per migliorare le condizioni di vita della parte della popolazione che ancora non può accedere alla ricchezza creata, sviluppando/migliorando il loro stato sociale o creando/migliorando delle infrastrutture nelle zone rurali, avrebbero oggi un capitale investito in modo totalmente diverso e molto meno sensibile a cambiamenti che non possono governare (così come hanno fatto tanto rigidamente con il cambio della loro moneta). Sinceramente non possono ora pensare, come probabilmente sono abituati a fare, di ottenere, imposto dall’alto, un qualsiasi tipo di risarcimento.

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