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QUANDO IL SINDACO PENSA ALLA CULTURA

Nelle campagne elettorali si sente spesso ripetere dai candidati sindaci e consiglieri del centrosinistra che le giunte comunali di centrodestra tendono in genere a sacrificare la spesa culturale. E’ vero? E più in generale, da quali variabili dipende la spesa culturale dei comuni italiani? Uno studio mostra che il colore politico dell’amministrazione non esercita alcun effetto significativo. Mentre il sindaco che corre per la seconda volta o non può essere rieletto investe meno in cultura. Forse per compiacere l’elettore mediano.

 

Con l’avvicinarsi della tornata primaverile delle elezioni amministrative, siamo tutti più esposti alle trovate elettorali di candidati sindaci e assessori uscenti delle nostre città. Molti di noi, ad esempio, giurerebbero di aver assistito, in questi ultimi mesi, a un intensificarsi delle inaugurazioni di nuove biblioteche e teatri da parte delle giunte uscenti, e a un insolito presenzialismo di sindaci e assessori a una rutilante girandola di eventi culturali sponsorizzati dai comuni, dai concerti di musica classica ai festival della scienza alle sagre eno-gastronomiche. Nelle campagne elettorali si sente inoltre ripetere dai candidati sindaci e consiglieri del centrosinistra che le giunte comunali di centrodestra tendono in genere a sacrificare la spesa culturale.
Ma è proprio vero che la spesa culturale dei comuni italiani risponde così prontamente all’orientamento ideologico delle giunte e al ciclo elettorale? E, in generale, da quali variabili dipende?

IL COLORE POLITICO NON CONTA

In Italia i comuni gestiscono biblioteche, musei, pinacoteche e teatri cittadini; finanziano un’agenda, talvolta fittissima, di eventi culturali; e organizzano mostre e festival anche di grandissimo richiamo. Lo Stato a partire dal 2000 ha provveduto a pesanti tagli alla spesa in cultura, mentre è cresciuto il ruolo dei comuni. Le disparità tra enti locali in termini di spesa culturale pro capite sono però enormi. (1) Cosa determina questa differenza?
Utilizzando i dati della spesa culturale dei 106 capoluoghi di provincia italiani negli anni 1998-2005, è possibile dare risposta a questi interrogativi. (2) Controlliamo per una serie di variabili economiche e socio-demografiche, tra cui il reddito pro capite e il tasso di disoccupazione della città in quell’anno; il livello medio di istruzione dei cittadini; la composizione demografica; la ricchezza della città in termini di monumenti e la sua attrattività turistica; l’appartenenza alle macroaree del Nord, Centro, Sud. E verifichiamo se la spesa culturale pro capite da parte delle giunte comunali è influenzata da alcune variabili politiche, tra cui l’appartenenza della giunta comunale al centrodestra o centrosinistra; la scadenza elettorale; il fatto che il sindaco uscente non si possa più candidare; la spesa privata in cultura da parte delle fondazioni bancarie locali; il numero delle associazioni culturali ufficialmente registrate e i trasferimenti statali ai comuni.
Forse inaspettatamente, l’analisi mostra che il numero delle associazioni culturali cittadine non esercita alcun effetto nel determinare i livelli di spesa culturale da parte dei comuni. La ricchezza artistica e monumentale della città è invece un importante fattore esplicativo della spesa. È interessante poi vedere come la spesa culturale da parte delle locali fondazioni bancarie eserciti un effetto positivo. Segnala un possibile effetto di complementarietà tra spesa culturale privata e pubblica, in cui quest’ultima eserciterebbe un ruolo moltiplicativo anziché di spiazzamento.
Le variabili politiche sollevano però le considerazioni più interessanti. Infatti emerge che, contrariamente all’opinione comune, l’appartenenza agli schieramenti di centrodestra o centrosinistra delle giunte comunali non esercita alcun effetto significativo sul livello di spesa culturale delle città italiane. Naturalmente l’orientamento politico delle giunte potrebbe influenzare la composizione piuttosto che il livello della spesa. È tuttavia impossibile stabilirlo, a causa dell’assenza di dati disarticolati per tipologie di spesa culturale. La sola sottocategoria presente è rappresentata dalla spesa per musei, biblioteche e pinacoteche. La nostra analisi, tuttavia, suggerisce che l’orientamento politico delle giunte comunali non sembra avere alcun peso neanche come determinante di questa sottocategoria.

QUANDO CI SONO LE ELEZIONI

Ad esercitare effetti statisticamente significativi sulla spesa culturale dei comuni sono invece le variabili che catturano il ciclo elettorale. I segni di questi effetti sono però inaspettati: l’avvicinarsi delle scadenze elettorali sembra provocare una riduzione della spesa comunale in cultura. E l’effetto è rafforzato se il sindaco non può più ricandidarsi perché ha già servito due mandati.
Il primo effetto sembrerebbe contrastare con gli studi di political economy che tradizionalmente mostrano come negli anni pre-elettorali si abbia un aumento significativo della spesa pubblica. C’è però una possibile interpretazione che potrebbe conciliare i due risultati. Con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative, i sindaci uscenti hanno un chiaro incentivo nel porsi in sintonia con gli interessi degli elettori. L’evidenza di una significativa riduzione della spesa culturale in periodo pre-elettorale non può allora che trovare spiegazione nelle preferenze dell’elettore mediano: il grosso dell’elettorato non apprezzerebbe particolarmente l’offerta culturale, e le scelte delle giunte si sostanziano quindi in riduzioni della spesa in cultura. Evidentemente i sindaci ritengono di avere a disposizione strumenti di spesa più efficaci per far presa sugli elettori.
Nemmeno il secondo effetto, secondo cui i sindaci che non possono più ricandidarsi riducono la spesa culturale, è perfettamente in linea con alcuni studi di political economy. Anche questo risultato si spiega, però, se le considerazioni sulla scarsa preferenza dell’elettorato per l’offerta culturale sono vere. Infatti, nel caso italiano, la carica di sindaco è spesso un trampolino, il primo gradino nel cursus honorum di un politico, dal quale si ambisce salire a cariche di maggior visibilità e prestigio. Compiacere l’elettorato mediano è allora ancora più importante.

(1) Si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 6 ottobre 2008.
(2) Il lavoro completo è scaricabile dal sito della collana dei Working Papers del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Brescia

Foto: di Davide Baldi

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  1. maurizio

    Vorrei vedere se ai partiti venisse tolto il finanziamento e dovesseri vivere realmente loro dei loro iscritti paganti. Tutte queste smancerie e spese inusitate sicuramente non ci sarebbero, dato che verrebbe toccata in primis la tasca personale. Io non capisco perché, essendo di destra ferrea, devo pagare anche l’opposizione e tutti i moscerini esistenti Spero che anche a questo ci si arrivi in brevissimo tempo.

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