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PROMOTORI FINANZIARI E CONFLITTI DI INTERESSE

Tutte le indagini disponibili indicano che molti investitori hanno una conoscenza superficiale dei titoli in cui investono. In linea di principio, i promotori finanziari potrebbero migliorare la gestione dei portafogli e garantire una maggiore diversificazione dei rischi tra gli investitori meno sofisticati. Tuttavia, una ricerca recente suggerisce che coloro utilizzano i promotori finanziari ottengono rendimenti più bassi, hanno un portafoglio più rischioso e con probabilità di perdite più elevate.

Il crollo dei mercati azionari e finanziari ha reso evidente che gli investitori mancano spesso degli strumenti di base per effettuare scelte di investimento consapevoli. L’esposizione delle famiglie ai rischi del mercato è cresciuta in Italia e negli altri paesi più industrializzati in parte per effetto di politiche che hanno promosso deliberatamente l’investimento nei mercati azionari, si pensi alle privatizzazioni degli anni Novanta, in parte per la riforme che hanno incentivato la previdenza integrativa e in parte perché il collocamento di prodotti finanziari da parte degli intermediari è avvenuto in modo più aggressivo che in passato. In Italia, la partecipazione diretta e indiretta ai mercati azionari attraverso fondi comuni di investimento, polizze assicurative e previdenza integrativa è raddoppiata nel corso degli ultimi venti anni. Negli Stati Uniti più di metà delle famiglie investe almeno parte della propria ricchezza in azioni; in Svezia oltre due terzi; in Francia, Italia e Germania circa un quarto.

SE MANCA LA CULTURA FINANZIARIA

La maggiore esposizione ai rischi del mercato non si è però accompagnata a una maggiore cultura finanziaria. Tutte le indagini disponibili indicano che molti investitori hanno una conoscenza superficiale dei titoli in cui investono; ignorano che un portafoglio diversificato è meno rischioso che un investimento in singole azioni; spesso non sanno calcolare un tasso di interesse o un tasso di inflazione. La scarsa cultura finanziaria ha effetti asimmetrici durante le crisi, perché gli investitori poco sofisticati sono più esposti alle fluttuazioni dei mercati e meno capaci di proteggersi dai rischi.
In linea di principio, i consulenti finanziari potrebbero migliorare la gestione dei portafogli e garantire una maggiore diversificazione dei rischi proprio tra gli investitori meno sofisticati. Delegare le decisioni di investimento consente di ripartire costi di informazione e gestione altrimenti proibitivi perché i consulenti possono dividerli tra molti investitori. Un consulente diligente dovrebbe anche essere in grado di correggere le decisioni sbagliate dei propri clienti e moderare la loro attività sui mercati. In un famoso articolo, Barber e Odean hanno mostrato che molti investitori hanno troppa fiducia in se stessi (sono “overconfident”): acquistano e vendono titoli troppo spesso e finiscono per spendere troppo in commissioni e costi di transazione. (1)
Delegare le proprie decisioni a un consulente comporta però dei costi aggiuntivi, ed espone l’investitore ai rischi dei conflitti di interesse, anche nel caso di promotori finanziari formalmente autonomi dagli intermediari finanziari. (2)
I conflitti dipendono principalmente dal sistema degli incentivi: da un lato i promotori guadagnano quando vendono determinati prodotti finanziari, ma dall’altro sono proprio loro che consigliano i clienti su cosa sia meglio fare. Purtroppo, molto spesso i promotori offrono una versione distorta della realtà e si avvantaggiano nei confronti di ignari investitori. Quando manca la cultura finanziaria e quando il sistema degli incentivi alla base dei conflitti di interesse non è noto, chi colloca attività finanziarie finisce per fare più spesso gli interessi degli intermediari finanziari che quelli dei clienti.

PROMOTORI IN CONFLITTO D’INTERESSE

In una ricerca recente ci siamo chiesti se effettivamente i promotori migliorino la qualità dei portafogli gestiti. (3) L’analisi è stata condotta con i dati di un grande intermediario finanziario tedesco che consente ai propri clienti di scegliere se seguire il patrimonio autonomamente oppure con la guida di un promotore finanziario. I dati si riferiscono a un campione di oltre 30mila clienti e gli investimenti sono stati seguiti con cadenza mensile dal 2001 al 2006.
L’analisi suggerisce che coloro che utilizzano i promotori ottengono rendimenti più bassi (al netto del costo della consulenza), hanno un portafoglio più rischioso e con probabilità di perdite più elevate. Ad esempio, i portafogli gestiti da promotori che hanno il 9 per cento di probabilità in più di registrare rendimenti annuali inferiori al -5 per cento, e il 7 per cento in più di probabilità di rendimenti negativi dei portafogli gestiti autonomamente. Inoltre i portafogli gestiti da promotori vengono movimentati più spesso, sia in termini assoluti che in relazione al patrimonio gestito.
I dati indicano quindi che, almeno per quanto riguarda il caso in esame, affidare il proprio patrimonio a un promotore non riduce, di per sé, il rischio di perdite, né migliora il rendimento. Al contrario, espone il cliente a rischi di perdite più gravi, oltre che a un aumento dei costi di gestione. L’unica soluzione per limitare i conflitti di interesse è regolare l’attività dei promotori e le relazioni tra clienti, promotori e intermediari finanziari. Ma regolare i conflitti è difficilissimo, soprattutto quando i clienti hanno una cultura finanziaria insufficiente, una scarsa percezione dei rischi dei mercati e pochissime informazioni sulla natura dei rapporti tra promotori e intermediari finanziari. L’alternativa è obbligare promotori e intermediari a proporre nel maggior numero di casi possibili prodotti finanziari semplici, standardizzati e trasparenti, evitando concentrazioni eccessive del rischio. Allo stesso tempo, occorre mettere in campo tutte le iniziative possibili, dalla formazione di base nelle scuole alle iniziative sui luoghi di lavoro, per aiutare gli investitori a limitare l’esposizione ai rischi del mercato: migliorare la conoscenza dei singoli prodotti finanziari, la struttura degli incentivi dei promotori, la natura dei conflitti di interesse tra promotori e intermediari.

(1) Barber, Brad M. and Terrance Odean (2000). “Trading Is Hazardous To Your Wealth: The Common Stock Investment Performance of Individual Investors”, Journal of Finance, 55, No. 2, 773-806.
(2)Inderst, Roman and Marco Ottaviani, “Misselling Through Agents”, in corso di pubblicazione su American Economic Review.
(3)Hackethal, Andrea, Michalis Haliassos, Tullio Jappelli (2009), “Financial Advisors: A Case of Babysitters?” CEPR Discussion Paper n. 7235.

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ITALIA MIA

14 commenti

  1. Roberto Veronese

    Nell’articolo in oggetto si parla di consulenza finalizzata alla cultura finanziaria dei risparmiatori; a proposito di questo come P.F. che svolge questa professione da oltre 15 anni, ho ben presente l’ambito della questione e soprattutto il costo economico sottostante,che ad onor del vero, pochissimi possono sostenere e a fronte di grossissimi sacrifici ed a una non indifferente onestà intelettuale, tanto che un mio collega in modo scherzoso, ma estremamente realistico di tanto in tanto mi classifica con l’apellativo di missionario, ovviamente finanziario. Un cordiale saluto a tuti voi ed un magistrale encomio per quello che fate e che avete fatto in tempi non sospetti e nei vari ambiti dell’operare sociale.

  2. marco calendi

    Negli schetch comici di Antonio Albanese, egli rappresenta l’etica e la morale con il fondoschiena di due super gnocche. Se chi fa l’ingegnere non inserisce abbastanza ferro nei suoi progetti di edifici sismici, se il direttore ai lavori non controlla l’esecuzione dell’opera, se l’impresa vuole risparmiare un euro oggi per buttarne via due euro domani, così anche il promotore finanziario può vendere i fondi più rischiosi perchè si guadagna di più, l’intermediario piazza dei prodotti strutturati al rendimento di un sottostante che nessuno capisce (neanche il direttore di banca), però raggiunge i suoi budget ecc. Poi a tutto ciò aggiungiamo l’avidità della società moderna ed il voler ottenere tutto e subito considerando che forse il futuro non ci sarà per nessuno.

  3. Vince

    Nell’articolo si parla generalmente di consulente finanziario, che a quanto pare verrebbe messo a disposizione della stessa banca, senza specificare bene chi sia tale personaggio. Esistono vari tipi di consulenti finanziari: per esemprio alcuni, molti di quelli che lavorano proprio in banca, non sono Promotori Finanziari; altri lo sono invece, ma in palese conflitto di interessi; altri ancora sono finti indipendenti; e infine ci sono quelli indipendenti per davvero e che fanno gli interessi dei clienti. Il tema trattato è importante, ma se non specifichiamo il panorama della consulenza finanziaria, l’articolo è poco utile. La conclusione, poi, è al quanto controversa: sarebbe difficile regolamentare bene il settore. Al contrario, è proprio tramite una regolamentazione rigorosa che si tutela il risparmiatore e si massimizza il benessere sociale. Ma non la si fa, erroneamente, per tutelare gli interessi delle banche. Nella mia ormai assai datata tesi di laurea (che produssi lavorando per due anni come promotore finanziario) specificavo proprio questa ovvia autodistruzione.

  4. Luciano Serbenski

    Concordo sulla necessità di fornire una " formazione di base nelle scuole " al fine di tutelare il cittadino risparmiatore dai pesanti danni che gli potrebbero derivare a causa degli investimenti suggeriti da consulenti finanziari molto più interessati a fare il proprio interesse piuttosto che quello del cliente-risparmiatore. Ma anche in questo caso l’attuale Governo procede in tutt’altra direzione. Infatti i recenti decreti approvati dal governo il 18 dicembre 2008 e contenenti i nuovi curricoli dei licei e degli istituti tecnici a partire dall’anno scolastico 2010-2011, prevedono la totale eliminazione della materia del diritto e dell’economia da ogni tipo di liceo e una forte riduzione dell’insegnamento di queste discipline negli istituti tecnici. E tutto questo avviene nel totale silenzio e completo disinteresse degli organi di informazione, anche di quelli specializzati in campo economico-finanziario e giuridico. Come spesso avviene in Italia si predica bene ma quando poi dalla chiacchera si deve passare al fatto concreto non accade mai nulla; e allora di che cosa ci lamentiamo?

  5. maria di falco

    Sono d’accordo con Calendi sull’analisi critica dei valori cui è improntata la nostra società. Aggiungo che il punto fondamentale nel settore finanziario come nella politica è il conflitto d’interessi. Se c’è conflitto d’interessi "il mercato" si blocca a vantaggio di pochi e la società viene ingessata. Nell’analisi della crisi che attraversiamo non si mette abbastanza l’accento sul fatto che i vertici delle banche che hanno cartolarizzato i mutui erano gli stessi delle società di rating che attribuivano la massima valutazione a prodotti finanziari di cui conoscevano l’alto rischio. Le società di rating più importanti sono tutte statunitensi ed io mi/vi chiedo: perchè l’Europa non ha una propria società di rating? O meglio: perchè non esiste un organismo internazionale di rating? Esiste qualche progetto in tale direzione ? Infine, sempre a proposito della crisi finanziaria che ha travolto tante persone,vorrei dire quanto stretto sia il legame tra legalità e sviluppo e quindi, a contrario, quando stretto sia il legame tra illegalità e sottosviluppo o povertà. La scienza economica non ne parla molto e mi sembra che non esistano studi approfonditi in merito.

  6. giampaolo galiazzo

    Io ritengo che nell’articolo, quando si parla di consulenti finanziari e consulenti finanziari indipendenti, si faccia in realtà riferimento ai promotori finanziari, o in ogni caso, a chi colloca servizi finanziari, magari con l’ausilio di una qualche forma di consulenza. Il consulente finanziario indipendente non percepisce incentivi dagli intermediari, viene pagato unicamente dal cliente, non vi sono dunque problemi di conflitti d’interesse (sempre ovviamente che il consulente sia davvero indipendente). Inoltre il ruolo del consulente non può essere quello del gestore, come lascia in qualche modo trasparire l’articolo: questo infatti è un lavoro diverso. Il ruolo del consulente è, o dovrebbe essere, quello di "decodificatore" dei rischi e delle peculiarità delle diverse opportunità di investimento, non in termini astratti, ma sempre con riferimento ad una situazione specifica, quella del cliente che assiste. A questo punto il cliente potrà fare delle scelte consapevoli, attribuendo una valenza positiva alla consapevolezza, nel senso che possa produrre scelte economiche che portino a risultati migliori.

  7. Gabriele Agliocchi

    Un consulente comporta ovviamente un costo in più per il suo servizio e l’obiettivo è sfruttare al meglio i rendimenti del mercato (non fare miracoli). Comporta però il vantaggio di non dover conoscere approfonditamente la materia e di poter fare altro mentre il consulente svolge le operazioni di investimento e ne monitora l’andamento. Questo nella sostanza. Il PF è retribuito dall’intermediario, che con incentivi diversi spinge a consigliare non necessariamente l’ottimo per l’investitore. Ad esempio gli investimenti che non prevedono rischi, per i quali quindi è più facile il calcolo delle commisioni, prevedono una provviginoe effimera per il PF. Il risultato è che i risparmiatori sono diffidenti e i PF hanno meno clienti potenziali. A mio avviso occorrono regole simili a quelle previste per i prestiti, costi e ricavi indicati chiaramente, così come il rischio e la disponibilità delle somme investite. Ad esempio un TAEG positivo (utilissimo da subito per i conti di deposito).

  8. GIANLUCA

    Concordo sulla necessità di spiegare le differenze tra consulenza indipendente e non. A tal riguardo, chiedo: qual’è il conflitto d’interesse del consulente indipendente ?

  9. giampaolo galiazzo

    In generale in tema di conflitto d’interessi è estremamente utile un saggio del prof. Guido Rossi: "il conflitto epidemico". Il conflitto d’interessi è in qualche modo endemico all’economia di mercato e nasce dall’asimmetria informativa dei contraenti. Il problema è quando diventa "epidemico". Nell’ambito delle informazioni necessarie alle decisioni di investimento il consulente finanziario indipendente tenta di riequilibrare le asimmetrie informative esistenti con gli intermediari/collocatori a favore del cliente investitore finale.

  10. Fred®

    Apprezzo molto i contenuti de lavoce. Questa volta però mi sembra che si faccia confusione e si rischi di "stroncare" all’origine una *professione neo-nata in Italia. 1) Da sempre esiste la figura del Promotore Finanziario (PF), con il suo Albo e le regole fissate dal TUF. In base a ciò il PF è incaricato dall’intermediario da cui dipende (Banca, SIM) di vendere "a distanza" i suoi prodotti finanziari. Cioè dove non arriva il bancario (che non può vendere al di fuori della banca), arriva il PF. Mi sembra evidente che il PF agisce *sempre in conflitto di interesse rispetto al cliente e non potrebbe essere altrimenti. 2) La c.d. "MIFID", dopo anni finalmente recepita dall’Italia, ha introdotto una "nuova" figura professionale, quella appunto del CFI (Consulente Finanziario Indipendente). E’ previsto da Consob apposito albo ed apposite Regole. Il compito esclusivo del CFI è appunto quello di fare *consulenza*, con tassativa esclusione di qualsiasi forma di vendita, così come di qualsiasi rapporto professionale con intermediari finanziari. Conflitto di interessi = ZERO. Sarei grato al Dott. Jappelli di un suo segno di assenso su quanto sopra.

  11. sgherri filippo

    Ritengo che l’articolo non specifichi molto bene la differenza fra le diverse figure che operano nel settore finanziario. Chi scrive farebbe meglio ad informarsi sulla differenza fra Promotori Finanziari e Consulenti Finanziari Indipendenti. Oltre a questo consigliamo di approfondire la differenza fra chi effettua l’attività di consulente indipendente remunerato a parcella, completamente scollegato da qualunque banca o sim e quei promotori finanziari che vendono il servizio di consulenza finanziaria della Sim per cui operano. Sarebbe molto utile per tutti i lettori del sito poter presto leggere un articolo che riesca a far maggior chiarezza.

  12. JUNKA

    Premessa: Sono un Promotore Finanziario in attività da 12 anni e quindi sono in conflitto di interessi. Queste ricerche lasciano il tempo che trovano. Il cliente che si rivolge ad un Consulente/Promotore Finanziario lo fa perchè vuole ottenere: rendimenti maggiori, informazioni e servizio personalizzato. Il periodo considerato 2001/2006 ha visto il crollo delle torri gemelle e due guerre: Afghanistan ed Iraq. Che, in un periodo negativo, il cliente che ricerca maggiori rendimenti abbia un portafoglio piu’ rischioso e subisca perdite maggiori della media è una banalità.La verità è che la qualità della consulenza prestata non viene percepita dal cliente. Fare il consulente non significa fare il guru dei mercati finanziari e chi si affida a dei guru è giusto che ne paghi anche le conseguenze. Il mio compito è quello di capire quali sono le reali esigenze del cliente. Il conflitto è creato dalle società prodotto e di collocamento. Basterebbe remunerare i prodotti collocati tutti in egual misura ed il conflitto su cosa proporre sarebbe risolto.

  13. Giuseppe G. Santorsola (Professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari)

    Il taglio di analisi certamente è interessante, ma necessita di precisazioni. Non appare ben disegnato il perimetro dell’oggetto del commento e cioè dei CF. Molti riferimenti concerno i promotori finanziari ed i consulenti "tied" e non quelli "untied". Per i primi il conflitto è implicito nel contratto di mandato che li caratterizza. Per i tied, bisogna fare opportuno riferimento alla normativa MiFID ed alla specifca normativa italiana che consente un’attività mezzanina che ingenera confusione soprattutto laddove i soggetti operano nell’ambito di sim che operano anche nei campi del collocamento e della gestione individuale o collettiva di patrimoni. I terzi invece, non possono ricevere mandati da collocatori e distributori, nè ricevere fees da costoro, bensì debbono essere pagati dai clienti. Il loro perimetro di riferimento deve essere limitato ad investitori non a risparmiatori dotati di capacitò decisionali e di patrimoni investibili capienti. Il costo della consulenza supera allora il possibile ragionevole plus di rendimento nel medio periodo. Ciò fa riferimento al concetto di adeguatezza previsto dalle norme in vigore. La normativa deve essere adattata a tale contesto.

  14. Maurizio Bufi - ANASF (associazione nazionale promotori finanziari)

    La ricerca incentrata sul mercato tedesco e focalizzata sul broker on-line, non sembra adattarsi alla realtà italiana; pertanto le conclusioni a cui giunge sono dubbie se si vogliono ricondurre all’attività professionale, che i promotori finanziari svolgono in Italia, da oltre trent’anni. Infatti, se c’é un carattere distintivo, tra gli altri, che caratterizza l’attività professionale dei promotori finanziari, questo é proprio quello di tendere ad un controllo ed una diversificazione del rischio finanziario nella costruzione dell’asset allocation per il cliente ed un suo attento monitoraggio nel tempo. Ciò avviene attraverso il metodo della pianificazione per obiettivi e per orizzonti temporali, utilizzando prevalentemente prodotti e servizi del risparmio gestito per finalità di riserva, di investimento o di previdenza, in un’ottica più ampia di tutela del patrimonio finanziario complessivo. Peraltro, le evidenze empiriche dei portafogli della clientela dei promotori, al di là della questione del conflitto di interessi – fortemente attenuato in questi anni attraverso l’offerta multibrand -.dimostra la fondatezza di queste osservazioni.

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