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SE LO STATO NON VUOLE INCASSARE IL DIVIDENDO DIGITALE

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato i criteri per la completa digitalizzazione delle reti televisive nazionali. Ma in Italia non esiste una politica coerente sulle frequenze. E mentre all’estero i governi mettono all’asta senza limitazioni quelle liberate dalla tecnologia digitale, da noi la competizione riguarda solo tre canali e sarà riservata agli operatori televisivi. Di sicuro, la delibera danneggia lo sviluppo economico e inficia il pluralismo. Perché Rai e Mediaset consolidano ulteriormente le loro posizioni.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato, l’8 aprile, i criteri per la completa digitalizzazione delle reti televisive nazionali. La delibera prevede ventuno reti nazionali e definisce le procedure per la messa a gara del dividendo digitale. Il presidente Corrado Calabrò ha aggiunto che “in linea con quanto avviene in tutta Europa, la procedura pubblica sarà del tipo beauty contest”. Il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, ha espresso la propria soddisfazione dopo l’emanazione della delibera che “rappresenta il primo passo formale di un percorso intrapreso in piena sintonia con la Commissione europea dopo mesi di intenso e costruttivo confronto. (…) Il percorso così delineato rappresenta un ulteriore stimolo all’azione lineare, coerente e costruttiva intrapresa da questo governo per lo sviluppo della comunicazione nel nostro paese, avviato con la progressiva digitalizzazione del comparto radiotelevisivo e con le misure favorevoli allo sviluppo della banda larga”. (1)

COS’È IL DIVIDENDO DIGITALE

Nulla di tutto ciò è vero. Non è vero che vi sia stato confronto. Non è vero che in tutta Europa si assegni il dividendo digitale con un beauty contest. Non è vero che queste misure favoriscano lo sviluppo della banda larga. Non è vero che nel nostro paese vi sia mai stata una linea coerente per lo sviluppo della comunicazione, in modo particolare, per quello che riguarda le frequenze elettromagnetiche.
Ma andiamo con ordine. Innanzi tutto, di cosa stiamo parlando? Il passaggio dalla tv analogica alla tv digitale permette di utilizzare meno banda grazie alla maggiore efficienza delle tecniche digitali rispetto a quelle analogiche. Dunque, gli attuali canali, quando trasmessi con tecniche digitali, hanno bisogno di minori frequenze, liberando le vecchie, che possono essere assegnate ad altri usi e utilizzatori: è questo il cosiddetto “dividendo digitale”.

COSA ACCADE ALL’ESTERO

Le norme comunitarie, in verità molto generiche, impongono trasparenza e neutralità tecnologica nell’uso dello spettro. In concreto, ciò consiste in procedure a evidenza pubblica e non sottoposte a discriminazione nell’assegnazione.
Il Regno Unito ha deciso di allocare due terzi delle frequenze legate al passaggio dall’analogico al digitale a servizi radiotelevisivi, ma le procedure di assegnazione non sono note. Il restante terzo, un blocco comunque assai sostanzioso di 112 MHz, sarà messo all’asta senza vincoli sulle tecnologie o sugli utilizzi. L’analisi del governo britannico ha infatti concluso che quelle frequenze sono molto preziose e potenzialmente appetibili anche agli operatori mobili, o ai operatori fissi per la banda larga, o ad altri ancora. In mancanza di informazioni precise sui singoli business plan dei vari operatori, il governo farà l’unica cosa che abbia un senso economico: un’asta, senza restrizioni, assicurando che i diritti di proprietà siano rispettati e non si abbiano interferenze.
Anche la Francia sicuramente consentirà agli operatori mobili di concorrere per il dividendo digitale: uno studio commissionato dal governo stima a 25 miliardi di euro il beneficio di non limitare l’allocazione ai soli servizi televisivi. Il governo tedesco ha da poco annunciato che parte del dividendo digitale sarà utilizzato per offrire servizi wireless a banda larga. Per entrambi i paesi, tuttavia, non sono ancora note le modalità di assegnazione.
Negli Stati Uniti, circa un anno fa, sono state vendute all’asta frequenze a 700 MHz, molto vicine a quelle di cui stiamo parlando ora in Italia. In quell’asta sono stati incassati 19 miliardi di dollari per licenze vinte soprattutto da Verizon e AT&T, ma anche da nuovi operatori. Si trattava comunque della settantatreesima asta tenuta dalla Fcc a partire dal 1994 e oggi siamo già arrivati a settantanove: ecco un esempio di politica seria e capillare sulle frequenze. (2)

IL CASO ITALIA

E l’Italia? Continuiamo con le solite critiche al nostro paese? Purtroppo sì, e a ragion veduta. In Italia non esiste una politica coerente sulle frequenze. Pur senza entrare nel merito del far west delle tv private e delle continue procedure di infrazione che la Comunità europea ci commina, non si è mai voluto comprendere il valore economico delle frequenze elettromagnetiche e il costo legato a una loro assegnazione inefficiente. Si sono effettuate due aste: una nel 2000 per l’Umts e una l’anno passato per il Wi-Max. Ma sono due casi che purtroppo non hanno fatto scuola. Il 40 per cento delle frequenze è in mano al ministero della Difesa che non paga nulla per il loro utilizzo. E potrebbe anche non utilizzarle affatto. Nel Regno Unito, per esempio, il ministero della Difesa paga per le frequenze, il che ha comportato risparmi e la restituzione di quelle inutilizzate. Eppure, seguendo alcuni passi elementari, lo Stato italiano potrebbe incassare 2 miliardi di euro all’anno, oltre a liberare risorse che favoriscono lo sviluppo economico. (3)
La delibera sul dividendo digitale prevede che quattro canali siano dati a Rai, quattro a Mediaset, tre a Telecom Italia, due a ReteA e uno a Europa TV. Quanto ai restanti cinque canali, alcuni dettagli  portano a pensare che a Rai e Mediaset sarà assegnato un ulteriore canale a testa. Restano quindi solo tre canali su cui sarà effettuato un beauty contest limitato a operatori televisivi. Nulla di preciso si sa a proposito delle frequenze per le 500 tv private, anche se è facile prevedere che si troveranno anche quelle prima o poi, sempre gratis o quasi.
La delibera danneggia sicuramente lo Stato e dunque i cittadini: non porterà ad alcun incasso, salvo briciole. Danneggia lo sviluppo economico, perché non abbiamo alcuna idea di come sono stati selezionati gli operatori prescelti. Di sicuro, colpisce tutti gli operatori che non siano televisivi, perché gli operatori mobili, ad esempio, non potranno concorrere per ottenere frequenze di cui sono assetati. Di certo inficia il pluralismo, visto che Rai e Mediaset consolidano ulteriormente le loro posizioni.

(1) Vedi anche Beauty contest per l’assegnazione delle frequenze in linea con gli altri Paesi Ue.
(2) http://wireless.fcc.gov/auctions/default.htm?job=auctions_home.
(3) C. Cambini, A. Sassano e T. Valletti (2007), Le concessioni sullo spettro delle frequenze, in U. Mattei, E. Reviglio e S. Rodotà (a cura di), “Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica”, Il Mulino, Bologna.

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10 commenti

  1. Ulisse

    Anni fa ci fu un referendum per levare una tv ai semi-monopolisti pubblico e privato, all’epoca non c’era ancora la cappa informativa che può ormai manipolare qualunque cosa, eppure la maggioranza scelse di mantenere lo status quo, fu una scelta irresponsabile, ma fu libera e democratica, quindi let it be…

  2. Paolo

    Nell’articolo viene ripreso il fatto che la Commissione Europea ha attivato diverse procedure di infrazione per le inadempienze in materia di trasparenza e pluralismo nell’assegnazione delle frequenze. In effetti quanto sono costate effettivamente nel tempo queste infrazioni al contribuente italiano? E’ un’informazione che non ho mai rintracciato, interessante in un periodo di risorse scarse.

  3. giuseppe

    Sta’ a vedere che le differenze evidenziate fra l’Italia e l’estero fanno capo a qualche conlitto di interessi…

  4. lucio

    Torna prepotente alla ribalta il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio di cui però gli elettori ne erano a conoscenza al momento del voto e che i precedenti governi di centro-sinistra avevano lasciato irrisolto ritenendo forse che potesse costituire una grave vulnerabilità elettorale per Berlusconi. Purtroppo è inutile lamentarsi, fino a quando l’opposizione continuerà a essere velleitaria e inconcludente, gli italiani continueranno purtroppo o per fortuna a votare per il grande prestigiatore che non avrà alcuna remora a mettere i suoi interessi in alta priorità.

  5. Roberto ERTOLA

    Vorrei ricordare 3 dati: Grossi gruppi industriali entrarono nel mondo della Tv commerciale e se ne liberarono con grosse perdite:da Agnelli a Tanzi da Rusconi ai Ferruzzi. Agli inizi degli anni 2000 il mercato delle telecomunicazioni sembrava il più promettente per sviluppi e prospettive poi vennero le gare per le frequenze Umts e i grossi player si trovarono indebitati e con un business che si rivelò un flop. La recente gara sul Wifi si è rivelata anch’essa meno remunerativa del previsto. Caro Tommaso non pensi che scrivere di sicuro sia leggermente ottimista, seppur molto di sinistra. E poi dopo aver fatto i referendum ad personam, che hanno generato le leggi ad personam perchè proporre le tasse ad personam?

  6. Bruno Stucchi

    Ci sono piu’ canali liberi, a disposizione, che soggetti desiderosi di buttarsi nel business della televisione. Piu’ offerta che domanda; ci sara’ pure una ragione.

  7. Cristian

    Mi accodo ad un commento precedente al mio; sarebbe molto utile sapere a quanto ammontano le multe commutate dalla commissione europea al nostro stato per la violazione delle norme sul digitale – il caso rete4 per capirsi. Inoltre, qualche tempo fa si parlava del caso dei monopoli di stato, che sono debotori nei confronti dello stato italiano di 98 miliardi; era un caso vero oppure era solamente uno scoop giornalistico infondato?

  8. torlonia

    In Italia sembra esserci un disinteresse totale (i più maligni potrebbero dire disinformazione) quando si tratta di utilizzare bene risorse scarse, e ancor meno quando si potrebbe farle rendere a vantaggio dello Stato. Le frequenze radiotelevisive sono uno dei tanti esempi di rendite private ottenute con risorse di proprietà pubblica. Il demanio (spiaggie) è un altro caso che andrebbe studiato

  9. Bruno Stucchi

    L’Italia non ha pagato un centesimo di multa targata UE. Cosi’ come nessun altro Stato europeo ha mai pagato nessuna multa. Sono solo parole in libertà e faccia cattiva.

  10. Luca Schiavoni

    L’Italia in effetti non ha ancora pagato nessuna multa, perche’ non e’ stata chiusa la procedura d’infrazione. I tempi si allungano anche perche’ a dicembre il governo ha assegnato ad Europa 7 una frequenza, che pero’ e’ largamente insufficiente per un canale nazionale degno di tal nome. Quando si chiudera’ la procedura vedremo, nel caso la multa sara’ retroattiva ed il rischio e’ di pagare 300,000 € al giorno a partire dal 2004, anno di approvazione della Gasparri. E’ tutt’altro che da escludere un simile epilogo, dato il pronunciamento della Corte di Giustizia europea del gennaio 2008, che sostanzialmente dichiara illegittima la proroga concessa a Rete4 in questi anni. E’ poi ovvio che ci siano pochi soggetti interessati ad entrare nel mercato televisivo, stante la presenza di due colossi che hanno molto minori ‘costi affondati’ e possono agevolmente assicurarsi i contenuti piu’ attrattivi, tagliando le gambe in partenza ai ‘newcomers’ costretti ad accontentarsi delle briciole. In questo senso, l’assegnazione di ulteriori canali agli incumbents e’ facilmente definibile come uno schiaffo alla concorrenza, e per altro verso anche ad un sano pluralismo dell’informazione.

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