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QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE SUI REFERENDUM

A pochi giorni dal voto, la cortina di silenzio sui referendum è sempre fitta. E tra i non molti italiani che sanno della loro esistenza, regna la confusione sulle conseguenze che potrebbero produrre. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il primo e secondo quesito aboliscono la possibilità di formare coalizioni per ottenere il premio di maggioranza. Ma un eventuale successo non cambierebbe di molto le cose rispetto alla legge elettorale attuale. Il terzo impedisce ai leader di presentarsi in più circoscrizioni. Un meccanismo indifendibile, ma praticato da tutti i partiti.

A pochi giorni dal voto, molti italiani non sanno nemmeno che domenica e lunedì prossimi si terranno tre referendum elettorali. Anche tra quanti sono coscienti della loro esistenza, sembra esserci notevole confusione sui risultati pratici che avranno. Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza.
I referendum elettorali sono tre. Il primo elimina la possibilità di formare coalizioni per conseguire il premio di maggioranza a livello nazionale per la Camera. Il secondo fa lo stesso per i premi di maggioranza regionali al Senato. Il terzo elimina la possibilità, usata principalmente dai capi-partito, di candidarsi contemporaneamente in più circoscrizioni. La poca attenzione finora prestata ai referendum si è incentrata sul primo e sul secondo. Voglio qui andare controcorrente, iniziando la discussione dal terzo.

IL REFERENDUM SULLE CANDIDATURE MULTIPLE

L’attuale sistema elettorale prevede liste chiuse, ossia gli eletti di un partito o coalizione vengono determinati dall’ordine in cui appaiono in lista. Dato che l’ordine è a sua volta determinato dai dirigenti del partito, questo fornisce loro un enorme potere. Tale potere sembrò però insufficiente agli estensori della legge elettorale. Dopotutto, alla fine, quanti deputati e senatori elegge un partito viene ancora determinato dal numero di voti ricevuti; anche se tutti hanno una idea approssimativa dei voti che un partito può prendere, sorprese negative o positive sono possibili. Ne segue che, almeno occasionalmente, il candidato designato può non essere eletto o il candidato non particolarmente desiderato può farcela. Come fare per rendere più ferreo il controllo dei capi-partito sugli eletti?
La risposta è: candidature in più collegi. Questa possibilità, concessa dalla legge elettorale, viene normalmente sfruttata dai capi-partito per decidere ex post chi eleggere. Il succo del meccanismo è il seguente. Supponiamo che il partito X si aspetti di ottenere due seggi nel collegio 1 e due seggi nel collegio 2. A esser sicuri del risultato, basta mettere persone gradite ai capi-partito nei primi due posti della lista nel collegio 1 e nel collegio 2. Ma può accadere che ci siano sorprese, e in almeno un collegio i seggi siano tre, oppure uno. Si rischia in tal modo di ottenere l’elezione di qualcuno che non è stato unto dai capi-partito, o si rischia di far mancare la poltrona a qualcuno cui è stata promessa.
È qui che entrano in gioco le candidature multiple. Sostanzialmente, si mette il capo del partito come capolista nei due collegi, e dietro un paio di nomi di fedelissimi. Supponiamo ora che nel collegio 1 il partito ottenga due seggi e nel collegio 2 ne ottenga tre. Senza candidature multiple c’è il rischio che il terzo seggio del collegio 2 finisca a qualcuno non designato dai vertici, a cui magari era stato promesso un posto marginale in lista, come contentino. Ma con le candidature multiple il problema scompare. Ora dietro al capolista, lo stesso nei due collegi, stanno due candidati controllati dall’oligarchia in ciascun collegio. Il capo-partito, una volta visti i risultati, opta per il collegio 2. Finiscono quindi eletti i numeri due e tre nel collegio 1 (i fidati messi dietro al capolista) e i numeri uno, due e tre nel collegio 2 (il capolista più i due fidati). Chiaramente, se invece è il collegio 1 quello che genera la sorpresa dando più seggi del previsto, il capolista opterà per quello. In sostanza solo enormi sorprese, con variazioni impreviste degli eletti in molti collegi allo stesso tempo, possono rovinare i piani dei capi-partito. In tutti gli altri casi una sapiente scelta ex post del collegio in cui essere eletti consentirà ai capi-partito di mantenere un ferreo controllo degli eletti.
Il meccanismo è così indecente e spudorato che è difficile immaginare un qualunque argomento in sua difesa. Infatti, nessuno lo difende, o almeno io non ho visto un singolo articolo in sua difesa. Salvo poi non fare assolutamente nulla in Parlamento per eliminare la possibilità di candidature multiple e utilizzare puntualmente il meccanismo elezione dopo elezione. Al cittadino esterrefatto non resta che l’arma referendaria. E forse nemmeno quella, vista la cappa di silenzio che è stata imposta.

I REFERENDUM SUI PREMI DI COALIZIONE

I referendum sui premi di maggioranza aboliscono la possibilità di formare coalizioni per ottenere il premio di maggioranza. Se i referendum avranno successo, il premio di maggioranza nazionale per la Camera andrà alla singola lista che ottiene il maggior numero di voti, e i premi regionali per il Senato andranno alle liste che arrivano prime in ciascuna regione.
È bene non illudersi troppo sugli effetti di tale cambiamento. L’obiettivo iniziale del comitato referendario era quello di stimolare il dibattito parlamentare sulla legge elettorale. Ho anche cercato di argomentare l’estate scorsa che una buona riforma elettorale era possibile nel nuovo Parlamento, dato che era nell’interesse delle principali forze politiche presenti, Pd, Lega e Pdl. Ma non si è mai abbastanza pessimisti quando si analizza la politica italiana. Una discussione sulla riforma elettorale avrebbe richiesto un minimo di lungimiranza e buon senso. Avrebbe inoltre richiesto di agire con calma e per tempo. Apparentemente questo è chiedere troppo; si è atteso fino all’ultimo momento (e anche un po’ più in la: è stata necessaria una leggina per allungare i termini massimi entro cui andava indetto il referendum) per poi agitarsi scompostamente e secondo i propri ristrettissimi e ultra-miopi interessi di bottega.
Detto questo, un po’ di chiarezza sugli effetti dei referendum va fatta. Si è cercato di far passare l’idea che il referendum consegnerebbe l’Italia a Silvio Berlusconi, che renderebbe possibile governare anche con percentuali di consenso minime. Il ministro Calderoli ha addirittura detto che il risultato del referendum sarebbe di “assoluta dissonanza con la democrazia”. Non accadrebbe nulla di tutto questo. Di fatto, purtroppo, accadrebbe troppo poco.
Chiariamo anzitutto che anche con la legge attuale è perfettamente possibile che un partito con una quota elettorale ridotta ottenga il premio di maggioranza. Questa non è in alcun modo una novità del referendum. Chi afferma che la legge che uscirebbe dal referendum è antidemocratica sta quindi implicitamente dicendo che l’attuale legge è antidemocratica. Cosa succederebbe se passassero i referendum? Essenzialmente, anziché avere differenti simboli a supporto di un candidato  presidente del Consiglio, come accade ora, i partiti dovranno accordarsi ex ante su un unico simbolo e una unica lista. Questo può avvenire mediante l’inclusione di diversi simboli in un unico cerchio o mediante un nuovo simbolo. Non sarebbe una pratica nuova nel panorama italiano, tutt’altro. Per esempio, nel 2006 i Ds e La Margherita si presentarono sotto il comune simbolo dell’Ulivo per la Camera, ma con simboli separati per il Senato. Tutto questo per dire che la distinzione tra "coalizione di liste elettorali" e "lista elettorale" è alla fine assai meno netta di quel che può apparire a prima vista, per l’elementare ragione che i partiti rivedono la propria strategia elettorale a seconda della legge. Se passa il referendum vedremo, al tempo stesso, meno liste elettorali e liste elettorali più eterogenee. Ma, alla fine, i cambiamenti saranno minimi.
Per mettere concretamente i piedi nel piatto: se Berlusconi diventa sufficientemente forte da poter vincere senza la Lega, allora, anche con la legge attuale, può presentarsi da solo e guadagnare il premio di maggioranza. Da questo punto di vista, i referendum sono sostanzialmente ininfluenti. Può essere utile guardare ai numeri usciti dalle ultime elezioni politiche e dalle ultime Europee per avere un’idea più precisa di ciò che può succedere.

Partito % Voti Camera 2008
   
Pdl 37,39
Lega 8,3
Pd+Radicali 33,17
Idv 4,37
Udc 5,62
Sinistra Arc. 3,08
Mpa 1,13

 

Partito % Voti Europee 2009
   
Pdl 35,27
Lega 10,20
Pd 26,13
Idv 8,00
Udc 6,52
Prc-Pdci 3,39
Sin. & Lib. 3,13
Radicali 2,43

 

Se il Pdl si fosse presentato da solo alle ultime politiche sarebbe stato battuto da un listone Pd-Radicali-Idv, ossia, la coalizione che si formò alle politiche del 2008. Lo stesso sarebbe successo se i numeri rilevanti fossero stati quelli delle ultime Europee: un listone Pd-Radicali-Idv avrebbe ottenuto il 36,56 per cento dei voti, contro il 35,27 per cento del Pdl. La sconfitta del Pdl sarebbe stata ancora più netta se alla coalizione Pd-Radicali-Idv si fossero aggiunti pezzi sulla sinistra o sulla destra.
Ovviamente, quello che ci dicono questi numeri è che, anche se passassero i referendum, il Pdl non si presenterebbe da solo, rischiando in tal modo la sconfitta. Quello che ci possiamo aspettare, se passa il referendum, è una lista unitaria Pdl-Lega, presumibilmente con un simbolo composto dai due sotto-simboli appaiati, la cosiddetta "bicicletta". Nulla di trascendentale, quindi. Il Pdl o il Pd riusciranno a governare da soli solo se aumenteranno i consensi o se le forze che li avversano saranno sufficientemente divise e rissose. Questo è vero con il sistema attuale e resterà vero con il sistema che potrebbe uscire dai referendum. Non è un caso che Berlusconi abbia così prontamente sacrificato i referendum appena la Lega ha fatto la voce grossa. Sapeva che non aveva gran che da guadagnarci.
Perché tanto agitarsi allora? Perché la Lega ha minacciato addirittura la crisi di governo per far fallire i referendum e ha imposto un notevole esborso ai contribuenti per evitare l’accorpamento dei referendum alle elezioni europee? Perché Antonio Di Pietro, dopo aver raccolto le firme, si è schierato contro i referendum? Ho analizzato altrove, più in dettaglio, le ragioni di tale opposizione. Qui è sufficiente dire che tutto questo isterico agitarsi mostra solo quanto i nostri rappresentanti siano ferocemente abbarbicati anche alle più piccole fette di potere. Essenzialmente si teme che, una volta costretti a fare liste elettorali uniche con i loro alleati principali, i partiti diversi da Pdl e Pd perdano riconoscibilità e quindi potere. Questo nonostante il fatto che comunque si voterà alle elezioni comunali, provinciali, regionali ed europee con sistemi che rendono possible la presentazione del proprio simbolo.

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MERCATI DEL LAVORO SULL’ORLO DELLA CRISI

19 commenti

  1. GA

    1) Questo referendum non incide in nessuno dei punti controversi della legge elettorale: in particolare quello di scegliersi il candidato (preferenze). Ci sarebbe da chiedersi quando mai il cittadino si è scelto il candidato (ma forse Mosca è un autore troppo vecchio per essere letto. 2) Mi chiedo quale sia l’evidenza empirica secondo la quale i governi a partito unico (che brivido pronunciare questa frase) siano più efficienti delle coalizioni di partiti (non mi sembra che la GB stia godendo di un momento di particolare favore economico essendo l’epicentro della crisi) 3) Mi chiedo quale giustificazione democratica stia alla base della trasformazione di un circa 30% di voti in 55% dei deputati (anche qui ricorda molto la legge elettorale del 1924) 4) Sartori si è detto agghiacciato dai possibili esiti del referendum 5) Secondo la teoria dell’efficacia governamentale, magistralmente espressa da Huntington nella conferenza della trilateral commission del ’74, ci dovrebbe essere un forte sviluppo economico, noi sappiam vero quali sono le forme di governo che più si avvicano al paradigma?

  2. Flaviano

    Nel suo articolo ha dimenticato un piccolo particolare che fa comprendere immediatamente perché Lega, Idv, Udc, Sinistra e simili sono contro il referendum: il meccanismo del finanziamento pubblico ai partiti. Attualmente, se non sbaglio, il finanziamento viene dato in ragione dei voti presi dai partiti. Sia nel caso della bicicletta (Pdl-Lega) che del tri/quadri-ciclo (Pd-Idv-Radicali-Sinistra) i singoli partiti scomparirebbero e i finanziamenti verrebbero presi dal nuovo soggetto politico. Soggetto che poi a posteriori potrebbe (o potrebbe non) distribuire questi fondi ai singoli partiti. Lasciando così un enorme potere di interdizione ai partiti maggiori e non a quelli minori!

  3. Ivano Gregorini

    Io sono propenso a credere a Giovanni Sartori e trovo, vista l’attuale situazione dei partiti in Italia, che questo tipo di legge elettorale metterebbe a sero rischio la "democrazia di fatto" intesa come "effettive dinamiche politiche". L’italia partiticratica diventerebbe ad autocrazia partitica? Questo referendum ha dentro di se troppe motivazioni e secondo me questa grande carica politico-emotiva ha fatto perdere di lucidità i tecnici. L’Italia va riformata dal paese reale attraverso politiche mirate. Dare più forza all’establishment dei partiti è un rischio colossale: il rischio che se i delfini di Berlusconi siano bravi a gestire l’eredità di papà "Ilvio" il pd – se ce ne sarà ancora uno – riprenda a vincere fra due generazioni.

  4. Goffredo

    I partiti è una fortuna che ci siano, perché semplificano la politica e la dovrebbero rendere accessibile a tutti. Se i partiti non vengono finanziati dallo stato devono cercarsi i finanziamenti altrove e da questo "altrove" diventare dipendente e ricattabile, quindi meglio che sia lo stato a farlo. Il problema è che se i cittadini non partecipano è difficile che la democrazia possa funzionare bene. Cioè i partiti hanno come obiettivo massimizzare il loro potere che gli derivi dai cittadini o dalle clientele per loro conta il "miglior offerente". Se la qualità della democrazia è pessima la colpa non è solo dei partiti ma anche, e soprattutto, dei cittadini che farebbero meglio a "militare" e a smettere di lamentarsi.

  5. Lorenzo

    Gli italiani hanno già lasciato capire che non vogliano il bipartitismo votando Lega e Idv. E il motivo mi sembra piuttosto ovvio: con meno partiti ci sono meno scelte e il più che necessario cambio di classe politica diventa ancora meno probabile. Un buon esempio di cosa succederebbe in Italia col bipartitismo è la Grecia [http://en.wikipedia.org/wiki/Greek_legislative_election,_2007]. Due persone/famiglie che si alternano al potere da decenni.

  6. Ivano Gregorini

    Il ruolo mortifero dei partiti esiste indipendentemente dal cittadino, che è impotente nella sua militanza. Basta informarsi leggendo un politologo a caso: Salvatore Vassallo. Includo anche la bibliografia all’amico, in maniera che si possa documentare con profitto della discussione: S.Vassallo con S. Fabbrini "Gli esecutivi nelle democrazie contemporanee". Oppure andiamo indietro nel tempo, nel 1968, c’è il testo di Samuel Huntington "Politcal Order in Changing Societies", appena rivisto dalla Yale University Press con una introduziondi di Francis Fukuyama, il capitolo di riferimento è il settimo: PARTIES AND POLITICAL STABILITY. Con il tipo di mediazione fra istanze dal basso ed istituzioni offerta dai partiti oggi è criminale consegnare l’Italia al bipartitismo e la militanza è tristemente, ma realmente e completamente inutile sul piano reale! Meglio, i problemi dei partiti non si risolvono con la militanza della base.

  7. Mirco

    I referendum sono inutili. L’italia attualmente ha un parlamento dimezzato perchè eletto con una legge che non dà al popolo la possibilità di scegliersi i deputati e i senatori con le preferenze. Se ci fossero due partiti potrei essere anche daccordo ma a destra occorrerebbe un partito liberale deberlusconiozzato e a sinistra un partito socialista europeo non una accozzaglia di cattocomunisti aciapile. In Italia attualmente il sottoscritto si sente sotto dittatura.

  8. Concetto Rossitto

    Riflettiamo sugli scenari: se il referendum sarà vanificato, il porcellum risulterà di fatto legittimato.Esito sgradevolissimo e da evitare! Se invece passa il referendum, i partiti minori (messi a rischio dalle soglie previste per senato e Camera) saranno costretti a confluire nel partito-listone meno distante dalle loro posizioni. E questo sarà indotto ad accogliere i cespugli e ad assimilarli per risultare il partito più consistente e conquistare il premio. I partiti intermedi, pur sentendosi sicuri di superare la soglia, dovrebbero ugualmente confluire in un partito contenitore unico, perché, correndo separatamente, rischierebbero di rimanere minoranza affiancata ad altra minoranza. Il referendum quindi, in caso di esito positivo, costringerebbe alla formazione di due partiti-contenitori contrapposti. Il referendum, operando per soppressione e non per aggiunta al testo esistente, non reintroduce la preferenza… tuttavia questa sarebbe subito reintrodotta per legge, poichè sarebbe impossibile ai padroni dei partiti costituire a priori liste more porcellum, predeterminanti, senza tener conto della consistenza variabile dele correnti/articolazioni.

  9. Alessandro Zanardo

    Anche i partiti attuali sono influenzati da determinati gruppi di pressione. I finanziamenti pubblici (pardon: rimborsi delle spese elettorali! I finanziamenti sono stati abrogati nel ’93 dal 69,3% degli aventi diritto) semplicemente fanno risparmiare, e in tempi di crisi, guai perdere questa opportunità! Se i finanziamenti fossero privati, e resi noti, forse conosceremmo tutti meglio i nostri candidati… Sulla capacità di semplificazione die partiti: chi prova ad entrarci impara presto come questo non sia più da tempo uno "strumento" di accesso alla politica; ben lo sanno GA e chi come lui ha studiato il modello affermato di "catch-all party"… Infine: in Italia la varietà culturale e di tradizione, ad oggi, non è rappresentabile con una separazione netta in due partiti; tuttavia come accade in UK (2 partiti, più Liberal e i sempre più forti Verdi), una legge elettorale maggioritaria, come anche quella in vigore, non è affatto antidemocratica. Il problema è come viene aggirata.

  10. vincenzo borra

    Dall’analisi del voto l’autore dell’articolo non tiene conto che, se la CDL si fosse presentata da sola, sicuramente la Lega si sarebbe coalizzata con il PD con sicura sconfitta della CDL. Non sono contrario alla proposta dei referndatari, ma attualmente con l’On.Berlusconi, che ha un concetto tutto personale di democrazia e istituzioni democratiche, al comando di un partito, è meglio rimandare.

  11. Pasquale Messali

    Non è solo il governo che boicotta il Referendum, ma un po’ tutti i partiti che, nella realtà, non vogliono cambiare affatto l’attuale legge elettorale. E non potrà essere riformata perché i partiti politici non sono in grado di trovare un accordo in quanto mirano esclusivamente agli interessi di parte piuttosto che a quelli della collettività, che invece dovrfebero prevalere su tutto.

  12. tobia desalvo

    Diciamo che se i partiti si fossero presentati alle politiche con la legge che emergerebbe in caso di vittoria del si cosi come alle scorse europee, la coalizione di governo sarebbe quasi ai 2/3 del parlamento: premio interamente al pdl, più la lega dite che è inutile… mah sarebbe un altro brutto colpo per la nostra democrazia parlamentare.

  13. padanus

    il SI significa resuscitare la Balena Bianca e dire addio a riforme, progresso istituzionale e trasparenza. Infatti Lega e Idv dovrebbero confluire in partiti calderone diventandone correnti interne. Pensare che a diverse tornate elettorali, diciamo la Lega, possa alternativamente passare da CDL a PD e quindi dare luogo ad un’alternanza è illusorio. Fatto il "listone" una volta, la visibilità degli eletti è nulla, (per ovvie ragioni gli eletti sono fedeli al partito che li contiene) passare da un ribaltone all’altro non è assolutamente possibile. Chi come cittadino si può dichiarare rappresentato da una "corrente" di un partito? Per favore non toglieteci la possibilità di scegliere… partiti deprecabili ma chiaramente identificabili. Nel bene o nel male i partiti minori rappresentano parti (sociali e/o geografiche) del paese, che negoziano i loro interessi con i partiti maggiori, apertamente ed con indipendenza. Se passa il SI torniamo indietro di 20 anni… per favore NO!

  14. Massimo GIANNINI

    Ma c’è ancora qualcuno che crede nell’istituto del referendum? Ma qual’è il cittadino "normale" che sa e ha capito cosa e come votare e che si legge la scheda (l’avete vista?) ? Sono tecnicismi da azzeccagarbugli e inutili. Talmente inutili che il Presidente della Repubblica l’anno scorso decise che si potevano rimandare e non fece fare il referendum. Ora frega a pochi e ci sarebbe da stupirsi se raggiungesse il quorum. Bei tempi quando si votava per divorzio, aborto, finanziamento ai partiti, nucleare…

  15. Francesco

    Grazie davvero all’autore per la sintesi chiara ed efficace. (Solo) ora posso dire di sapere qualcosa di più sul voto che sono chiamato ad esprimere. In effetti, trovo davvero sconsolante la mancanza di qualunque seria informazione (anche) sui referendum da parte di quasi tutti i mezzi di informazione “tradizionali”.

  16. Fabio Degli Angeli

    Mi pare che all’analisi dell’articolo manchi una considerazione che aiuta a spiegare il no di Lega e Idv: se ad esempio alle ultime europee la Lega e PdL si fossero presentati con due simboli in un’unica lista (come avrebbe richiesto la legge elettorale modificata dal referendum) in realtà, se ho capito bene, la Lega (analogamente per IdV) non avrebbe potuto rivendicare il successo elettorale e tutto quello che ne consegue perché non sarebbe stato possibile scindere i contributi dei due partiti al risultato … vi pare poco?

  17. irene del prato

    La cosa che più mi terrorizza, da parte di chi sostiene questo referendum, è sentirmi dire che con due soli partiti a spartirsi il governo "l’opposizione non potrebbe più mettere i bastoni tra le ruote e impedire che si facciano le leggi". Siamo all’epilogo per la democrazia: si preferisce che un solo partito decida per tutti, nel bene e nel male. Ma vi siete dimenticati che già oggi Berlusconi riesce senza sforzi e con la connivenza dei più a far passare leggi inammissibili in qualunque altro paese? Io mi auguro che si torni ad avere quante più voci possibili in parlamento e che tutti noi riprendiamo ad impegnarci perchè – quello si che è fondamentale – in parlamento siedano persone oneste!

  18. FrancescoD

    Quando siamo andati ai banchetti per firmare, ci era stato detto che questo referendum doveva spazzar via la "porcata" di calderoli, il cui aspetto più indigesto era la cancellazione delle preferenze. Negli attuali quesiti di tutto questo non c’è traccia. Allora se dovesserp vincere i Si, si approverà una nuova Legge Acerbo simi a quella del ’23, se dovessero vincere i NO questi "signori" saranno prionti a dire che la voltontà popolare ha respinto le modifiche alla "porcata". L’unico quesito per il quale vale la pena di andare a votare è il terzo.

  19. giuseppe pucci

    Il problema sostanziale, e da sempre ignorato e che, chi ne paga le conseguenze dell’ inefficacia dell’informazione, siamo sempre noi cittadini. In Italia ogni volta che ci si trovi in prossimità’ delle elezioni , i media e le istituzioni non fanno il proprio dovere e non si prodigano affinché il messaggio e il concetto che il voto positivo e/o negativo dei referendum possa apportare alla società e alla salute della democrazia. Il problema cruciale è la bassa chiarezza del contenuto dei referendum e dei periodi in cui vengono proposti , il che è la causa principale del "non voto" e della caduta della democrazia. Finché tutti non saranno informati allo stesso modo, i governi di turno avranno la supremazia sul popolo.

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