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PERCHÈ LA BCE NON VUOLE LA TASSA SULL’ORO

La Bce ha dato parere negativo all’imposta sulle plusvalenze sulle riserve di metalli preziosi per uso non industriale, prevista nel decreto anticrisi. La norma metterebbe a rischio l’indipendenza finanziaria della Banca d’Italia, con ripercussioni negative sulla conduzione della politica monetaria dell’intero eurosistema. E potrebbe consentire l’aggiramento del divieto imposto dal Trattato al finanziamento dello Stato da parte della banca centrale nazionale. Un ripensamento sulla politica di riserve ufficiali potrebbe esserci alla scadenza del Gold Agreement.

 

La Banca centrale europea ha espresso un parere negativo sulla norma, inclusa nel decreto anticrisi del governo, che introduce un’imposta sostitutiva, non deducibile dall’Ires, con un’aliquota del 6 per cento, sulle plusvalenze, iscritte in bilancio, sulle riserve di metalli preziosi per uso non industriale. Il parere è stato emesso perché in base al Trattato dell’Unione Europea la Bce deve esprimersi su norme che incidano sulla situazione patrimoniale delle banche nazionali che fanno parte dell’eurosistema. Anche se non è menzionata espressamente, la norma del decreto si applicherebbe quasi esclusivamente alla Banca d’Italia, le cui riserve auree, per effetto della rivalutazione, sono passate da 44,8 miliardi di euro nel 2007 a circa 49 miliardi di euro nel 2008; se valutate dall’inizio dell’Ume nel 1999, le plusvalenze sono pari a 29,6 miliardi di euro. Il successivo maggior investitore in oro in Italia è la Banca Etruria, per ciò in relazione alla sua attività con il comparto orafo dell’aretino (nel bilancio 2008 risultano circa 39 milioni di euro in oro).

UN PARERE DETTAGLIATO

Il parere negativo è dettagliato, con un’argomentazione puntigliosa sia su come un governo di un paese dell’Ume dovrebbe interagire con l’eurosistema e con la banca nazionale che ne è componente, sia sul merito contabile e fiscale del provvedimento. Le critiche, in sintesi,  riguardano i rischi che la norma farebbe sorgere circa l’indipendenza finanziaria della Banca d’Italia, con ripercussioni negative sull’indipendenza nella conduzione della politica monetaria da parte dell’eurosistema, e il possibile aggiramento del divieto del Trattato al finanziamento dello Stato da parte della banca centrale.
L’utile della Banca d’Italia, al netto delle imposte sui redditi societari, si divide in base allo statuto, in tre componenti: una componente simbolica di remunerazione agli azionisti (banche, assicurazioni, enti pubblici), una quota pari a circa il 40 per cento al rafforzamento patrimoniale, con accantonamenti alla riserva ordinaria e straordinaria, e la parte restante (circa 3/5) retrocessa allo Stato (vedi tabella per il periodo Ume).
Il gettito di 1 miliardo di euro previsto dalla relazione tecnica al decreto legge per il primo anno di applicazione della nuova imposta è quasi pari alla somma delle retrocessioni che hanno avuto luogo dal 1999 al 2008, ovvero pari a un multiplo da 6 a 40 volte l’utile netto dal 2002. (1) Se questo non  fosse capiente per pagare l’imposta sostitutiva, la Banca d’Italia, che non può stampare moneta, dovrebbe modificare la sua politica di accantonamenti a riserve o vendere attività per la parte eccedente i dividendi distribuiti e le retrocessioni allo Stato, intaccando così il proprio patrimonio e di conseguenza quello dell’eurosistema. Si realizzerebbe di fatto un trasferimento di risorse finanziarie allo Stato, in relazione a un’imposta che tassa plusvalenze non realizzate, e presumibilmente non realizzabili, dato il ruolo dell’oro nella politica sulle riserve ufficiali, in oro e in valute estere, della banca centrale.
L’Italia è al quarto posto nel mondo, dopo Usa, Germania, Fmi, quanto a tonnellate d’oro possedute: 2452, una quantità prossima a quella già posseduta nel 1968. Deriva dalla scelta strategica di disporre, a garanzia del rischio di credito del paese, di un’attività con rendimenti largamente indipendenti da quelli di attività finanziarie, tanto che nella crisi del 1976 l’Italia ottenne un prestito dalla Bundesbank dando in pegno il suo oro. Il 26 novembre 2009 scade l’accordo quinquennale, il cosiddetto Gold Agreement tra diciassette banche centrali e organismi internazionali come Fmi e Bri, in base al quale sono concordati tra gli aderenti piani di vendita dell’oro, con vincoli sulle quantità complessive e su quelle relative a ciascun anno, in modo da evitare bruschi cali nei prezzi, data la proporzione tra lo stock e la produzione corrente del metallo. Nel quinquennio 2004-2009 sono state vendute 1.428 tonnellate di oro da parte di alcune banche centrali della eurozona: 557 da parte della Francia, che ora ha quasi le stesse riserve auree dell’Italia. Ove si ritenesse opportuno un ripensamento sulla politica di riserve ufficiali del paese, il rinnovo dell’accordo potrebbe essere l’occasione in cui, con il pieno coinvolgimento e accordo della Banca d’Italia, potrebbe essere definito un piano di riduzione, realizzando le relative plusvalenze.

IL PRECEDENTE DEL 2002

Il parere della Bce richiama le preoccupazioni espresse in quello a proposito del concambio di titoli pubblici su iniziativa dal Tesoro nel 2002. Nel dare un parere positivo, perché sul piano tecnico lo swap tra titoli non negoziabili con altri negoziabili migliorava la trasparenza della situazione contabile dell’eurosistema, la Bce esprimeva la preoccupazione che l’obiettivo potesse essere in realtà secondario rispetto a quello di realizzare per via contabile una riduzione una tantum del debito pubblico. La minusvalenza di oltre 21,5 miliardi di euro, corrispondente alla riduzione ottenuta sullo stock del debito pubblico, fu allora compensata nel bilancio della Banca d’Italia da una riduzione delle riserve per rivalutazione dell’oro fino all’inizio dell’Ume e intaccando altri fondi rischi. Inoltre, venne prevista la deducibilità della minusvalenza, da usufruire entro un periodo ventennale, iscrivendo imposte attive per un valore vicino ai 6 miliardi di euro (importo ottenuto applicando l’aliquota dell’Ires alla minusvalenza). Questa voce all’attivo è giustificata se, date le prospettive reddituali della banca centrale, è ragionevole presumere imponibili sufficienti a usufruire delle perdite fiscali pregresse. Nel 2005 la scadenza è stata eliminata, ma è stato posto un vincolo alla deducibilità sino alla metà dal reddito imponibile. Di fatto, alla fine del 2008, la posta delle imposte differite attive è rimasta pressoché invariata. Il valore attualizzato del beneficio fiscale è dunque ridotto rispetto al 2002, con un conseguente danno patrimoniale per la banca centrale. Questa inoltre non può compensare neanche parzialmente i nuovi oneri fiscali, vista la non deducibilità dell’imposta dall’Ires.
È comprensibile come questo precedente alimenti le perplessità della Bce sulla nuova imposta. Le perplessità non sono certo fugate dall’emendamento parlamentare proposto il 15 luglio, dopo la ricezione del parere. Non risponde infatti ai punti di merito sollevati dalla Bce, perché trasforma l’imposta da permanente a una tantum, riduce dal 6 all’1 per cento l’aliquota, riferita esplicitamente allo stock di plusvalenze alla fine del 2009, con un introito di circa 350 milioni di euro, tenuto conto anche delle plusvalenze maturabili nel 2009. Èstato dunque opportuno che il presidente della Camera abbia dichiarato non ammissibile l’emendamento, con una decisione analoga a quella presa nel 2002 da parte di un suo predecessore nei riguardi di un emendamento riguardante le riserve valutarie “in eccesso” della Banca d’Italia

Utile netto della Banca d’Italia e sue destinazioni (milioni di euro)

(1) L’aggettivo non deve ingannare: almeno per la parte relativa alla norma in esame è arduo raccordare le stime con i dati di bilancio della Banca d’Italia, così come indeterminate rimangono le caratteristiche dell’imposta. A titolo d’esempio, l’introito previsto di 1 miliardo nel primo anno viene calcolato applicando l’aliquota del 6 per cento a plusvalenze pari a 17 miliardi, indicate alcune righe prima in 19, quando quelle nel bilancio BI sono 29,6; nessuna previsione è fatta sugli anni successivi.

Foto: da internet

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

11 commenti

  1. mirco

    Il vero problema è: si vuole affrontare la crisi e governare finalmente l’economia con una visione unitaria europea? Per fare ciò ci vuole una unione politica che si rapporti con la banca centrale europea e svolga la funzione mancante ma gemella di politica economica che non puo svolgere la bce( politiche fiscali, investimenti pubblici europei, emissione di titoli di debito pubblico europei, governo della cosa pubblica e decisioni conseguenti) visto che la bce puo solo governare la leva monetaria. Se ciò non avverrà anche ababstanza presto, magari con la creazione di una unione europea ristretta politica solo fra i partecipanti alla moneta unica, i popoli europei si stancheranno e saranno guai . Ora come ora la BCE non può fare altro che protestare tutte le volte che i governi tentano di fare da se svincolandosi dagli obblighi .

  2. Paolo

    Voglio fare i miei compliementi per l’ennesimo articolo di questo sito che spieghi le cose come stanno scendendo nel concreto e rendendo relativamente accessibili informazioni su materie così complesse e incautamente ignorate della maggior parte della gente.

  3. brigate grosse

    Perché quando si tratta di banche centrali e riserve auree si rimane nell’ambiguità? quello che l’articolista non dice chiaramente è che: A) le banche centrali europee sono istituzioni private perché i suoi azionisti sono organismi privati B) Con l’eliminazione del golden standard nel 1971 da parte di Nixon che legava ancora il dollaro all’oro (accordi di Bretton Woods) Esso non svolge ufficialmente alcuna funzione di riserva per la copertura aurea di base monetaria. le riserve attualmente in capo alle varie banche (centrali o meno) rivestono più che altro funzione di copertura patrimoniale alle loro attività. C) Siamo sicuri che l’indipendenza nella conduzione della politica monetaria da parte della bce e relativi trattati dell’eurosistema godano attualmente del favore della maggioranza dei cittadini della UE? E se si facesse un referendum sul ruolo della bce, siamo sicuri che l’attuale sistema ne uscirebbe confermato? O non finirebbe come per i referendum sulla costituzione europea e sul trattato di lisbona, sonoramente bocciati ogni volta che sono stati sottoposti al voto popolare e non dei singoli asserviti parlamenti?

  4. Ulisse

    Ho letto la vostra arguta interpretazione sul megafinanziamento della Bce alle banche… una triangolazione per finanziare gli stati. Poi leggo di questa tassa sull’oro che al di là dei tecnicismi e del diritto viaggia nella stessa direzione.. il Debito Pubblico di molti stati primo fra tutti l’Italia sta diventando sempre più rischioso.. nel 2012 forse ne vedremo delle belle.. speriamo di no.

  5. daniel

    Nell’introduzione alla newsletter si scrive “riserve di metallo prezioso degli italiani” con riferimento alle riserve d’oro della Banca d’Italia. Ma la Banca d’Italia non è di proprietà pubblica, bensì privata. Le riserve sono dunque pubbliche o private? Appartengono ai cittadini italiani o alle banche azioniste della Banca d’Italia?

  6. Cicci di Gongo

    E’ un fatto complicato sotto il profilo giuridico. Il trattato istitutivo della BCE prevede che le quote di partecipazione alla BCE non possono essere trasferite se non in forma riservata. Quindi molto probabilmente non si può conoscere chi sia l’effettivo percettore dei redditi di finanziamento principale. In teoria lo Stato Italiano, se tassa le plusvalenze sulle riserve auree, potrebbe trovarsi a tassare un soggetto estero magari situato in un ulteriore e differente stato estero. In pratica, è come se chiedesse le tasse ad un cittadino francese per redditi sviluppati nelle isole Svalbard. E’ vero che il reddito potrebbe essere, in teoria, sviluppato sul territorio nazionale e quindi soggetto a tassazione locale, ma l’eventuale cessione delle quote si suppone sia stata acquistata dall’avente causa e nulla vieta che sia stata anche trasformata in un ulteriore veicolo soggetto alla tassazione del posto dove ha la sede principale, oppure semplicemente pignorata.

  7. Franco Franchi

    E’ veramente interessante notare come il Presidente della Repubblica e tutto il Centro Sinistra si schierino contro questa "nuova tassa" che di fatto riporta, anche se di pochissimo, un pò di sovranità monetaria al popolo italiano e non alla banca privata denominata BCE (e Banca d’Italia in qualità di fettina della torta BCE). Guardando anche gli articoli sui giornali nazionali, si evince quale sia la vera natura del potere in questo paese, ma non solo, in tutta Europa e in tutto il mondo; il potere dei signori della moneta e della creazione della moneta e del debito che tiranneggia tutti i popoli. Vi faccio i complimenti per i vostri commenti articolati e molto tecnici che come al solito non vedono e non vogliono vedere la sostanza! Ovvero che la famosa indipendenza della BCE e della Banca d’Italia è di fatto un abominio ed è del tutto incostituzionale, in quanto la sovranità monetaria spetta al popolo e non ad un gruppo di privati.

  8. Sergio

    Rilevo una inesattezza per quel che riguarda l’utile delle banche private partecipanti al capitale della Banca d’Italia: all’ultima pagina del bilancio del 2009 del sito della stessa Banca d’Italia risulta che gli utili per le suddette banche private ammontano in totale a quasi 60 milioni di euro e non a 15.600. Inoltre, alla pag. 344 si legge che: "La voce rendite da partecipazioni aumenta di 204 milioni (da 13 a 217) e comprende esclusivamente la quota spettante alla Banca d’Italia del reddito da signoraggio della BCE sulle banconote". Non sono riuscito a verificare se questi 217 milioni rientrano nel bilancio del 2009 o in quello del 2010.

  9. alias

    Buongiorno, l’oro si è apprezzato in poco più di 30 anni di quasi 30 volte, forse nessuna altra attività finanziaria ha reso altrettanto. Valeva infatti 35 dollari l’oncia, ancorchè virtuali, nel 1973, e ne vale oggi 900/1000. Il grosso dell’apprezzamento lo si ebbe, in verità negli anni ’70 e ’80, tanto che qualche economista illuminato voleva alimentare il flusso degli aiuti al Sud del mondo con la vendita di riserve ufficiali d’oro. In piccola parte lo si fece (FMI). Un motivo ragionevole per farlo era che il rincaro premiava chi l’oro già ce l’aveva in cassaforte; e questi ultimi (tra i quali l’Italia) rispondevano che vendere oro avrebbe creato inflazione, senza sviluppo. Oggi il ministro Tremonti non potrebbe ricordare quel dibattito, e provare a far sembrare la sua tesi un pò meno bizzarra agli Eurocrati della BCE?

  10. ARX

    E’ palese la preoccupazione della BCE quando si accenna alla tassazione sulle plusvalenze generate dalle riserve auree della banca d’Italia da parte dello Stato. Sarebbe un modo per fare tornare dei soldi ai cittadini italiani tassando, di fatto, le stesse banche private azioniste sia della Banca d’Italia che della BCE. Con questa tassazione il ministro Tremonti potrebbe contribuire ad alimentare le casse dello Stato togliendo utili ai banchieri. Pensate che ciò potrebbe essere concesso dal presidente della BCE contro gli interessi dei suoi amici di banchetto? "Il Trattato al finanziamento dello Stato da parte della banca centrale nazionale" è veramente "paradossale" non credete? Oramai si sono arrogati tutto il potere che gli serviva per sottomettere l’intero sistema creditizio e generare continuo debito pubblico, che se dovesse continuare a crescere così come sta avvenendo in questi ultimi anni manderà tutti quanti gli stati UE in default. Questo sta diventando sempre più un assioma.

  11. alias

    Mi scuso della parafrasi del Postino di Neruda (parlava di poesia), ma non trovo di meglio. Ricapitolando, è giusto discutere se usare l’apprezzamento dell’oro per finanziare debito, o forse investimenti publici, o forse aiuti allo sviluppo; ma bisogna anche pensare che se l’Italia iniziasse a far così, gli altri aderenti al sistema si sentirebbero legittimati a far altrettanto. E, banalmente, il prezzo inizierebbe a scendere, e i vantaggi (di capitalizzare sui 900/1000 dollari l’oncia) comincerebbero a scemare. Sul punto la BCE ha ragione. Un secondo aspetto morale o etico è che l’enorme inflazione di prezzo dell’oro non ha fondamenti sufficienti per giustificare, a livello internazionale, una mossa spregiudicata da parte di una nazione con grosse riserve. Sarebbe (si passi l’espressione) come se un grossista di Cali, o del Triangolo d’oro dell’oppio, decidesse di far cassa svendendosi il magazzino. Sicchè l’unico utilizzo legittimo dell’ "oro degli italiani" sarebbe di venderlo (a chi? Ai nuovi ricchi russi? Ai rimpatriandi scudisti fiscali? Ai vincitori del superenalotto?) e di ri-finanziare, finalmente, un poco gli impegni della cooperazione allo sviluppo.

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