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BASILEA 2 NEI RAPPORTI TRA BANCA E IMPRESA

Rivedere il rapporto di relazione informativa e operativa fra banche e imprese è fondamentale se si vogliono fronteggiare le sfide della crisi economica e finanziaria. Proprio adesso è cruciale arrivare a una corretta allocazione del credito che sappia dimostrarsi il più possibile equilibrata e meritocratica. Le regole di Basilea 2, pur da rivedere in alcuni aspetti, rappresentano un fondamentale passaggio per rendere la relazione più funzionale e moderna. Nell’interesse dei disegni imprenditoriali sia delle banche che delle aziende.

A margine dall’assemblea dell’Unione industriale di Torino, il suo presidente, Gianfranco Carbonato, si è soffermato sulla (scarsa) capacità delle banche di valutare il merito di credito delle imprese e sulla conseguente necessità, peraltro più volte invocata dai vertici di Confindustria, di congelare l’applicazione delle regole di Basilea 2.

UNA MORATORIA SU BASILEA 2?

Approfittare della crisi per dare una “spallata” a regole che aumentano il rigore e l’efficienza allocativa del sistema bancario è una tentazione più che comprensibile, per alcuni aspetti anche legittima.
Sia chiaro, la nuova normativa di Basilea 2 ha non pochi difettie lacunea cui si sta cercando di porre rimedio. Èin corso un’iniziativa della Commissione europea volta a modificare la direttiva sui requisiti patrimoniali delle banche su importanti aspetti critici come il trattamento dei rischio di liquidità e di mercato. La concreta applicazione di Basilea 2 può poi introdurre alcuni elementi di pro-ciclicitànell’offerta di credito che vanno certamente stemperati anche con una certa urgenza. Tuttavia crediamo che in questo momento proporre una moratoria su Basilea 2 non sia una buona idea e che da essa dovrebbero guardarsi gli industriali per primi. E ciò per tre ordini di ragioni: il passato, il futuro e una visione strategica che regga alle prossime sfide del dopo crisi.
Cominciamo dal passato. Chiedere una moratoria su Basilea 2 significa riproporre un rapporto banca/impresa in cui la prima ritorna a svolgere un ruolo da istituzione pubblica, scarsamente dotata diautonomia imprenditoriale, con una capacità di offerta di prodotti e servizi più o meno indifferenziata, sostanzialmente subalterna al settore produttivo. Una vasta letteratura, tra l’altro, ha dimostrato che, in tale approccio, quantità e costo del denarosono fondamentalmente funzione della dimensione economica della controparte e del tasso di sofferenza del sistema; vale a dire della forza negoziale del prenditore e della ripartizione mutualistica delle perdite. Un modello che certamente non serve alle imprese, oltreché ai risparmiatori e agli investitori che, pur loro, hanno voce in capitolo, e di cui non si avverte certo il bisogno.
E poi il futuro. Le imprese hanno bisogno di finanza, non solo di soldi. Per crescere, per innovare, rischiare, ingrandirsi, investire, diversificare. Sono cose che non si possono fare solo col credito. Per di più abbarbicati (sovente) a equilibri imprenditoriali che non sembrano ancora diffusamente capaci di aprirsi a sollecitazioni esterne, a sinergie, ad alleanze, ad assetti proprietari più funzionali alla crescita, con strategie a somma positiva. Questa crisi non è forse quella che chiuderà la prima era “globale” ma, di sicuro, è la pietra tombale sul modello di sviluppo seguito alla lunga espansione del dopoguerra. In quella fase di ricostruzione, prima, e di crescita, poi, pochi capitali di rischio sono stati sostenuti da molto capitale di credito. Probabilmente questa crisi è anche la fine di quel modo di intendere la finanza. Anche quella d’impresa, non solo quella dei finanzieri.
Infine: la visione. L’impianto di Basilea 2 (che è entrato recentissimamente in vigore) ha un pregio fondamentale: impone alla banche di dotarsi di competenzeprofessionali e di una strumentazionepotente e oggettiva per valutare il merito di credito di un’impresa. Spinge la banche a potenziare il proprio “cuore” industriale, ovvero la capacità di selezionare i prenditori e di misurare e controllare la qualità del portafoglio creditizio. Elementi fondamentali tanto per la competitività della singola impresa bancaria, per la solidità del sistema bancario nel suo complesso, quanto per la selezione (faticosa ma necessaria) degli assetti finanziari delle imprese e della loro tenuta di fronte alle sollecitazioni dell’economia reale.
Appare dunque paradossale, nel momento in cui si sollecitano le banche a esprimere una maggiore capacità di valutazione del merito di credito delle imprese, auspicare al contempo una moratoria su Basilea 2, ovvero sulle regole internazionali che impongono alle banche cospicui investimenti proprio sulle competenze e sulle strumentazioni tecniche per valutare al meglio il merito di credito delle imprese.

IL RAPPORTO BANCA-IMPRESA

Mario Draghi ha affermato che alle banche occorrerà chiedere più capitale, più regole, minor leva, più trasparenza. Negli equilibri tra diritti e doveri, tuttavia, dalle imprese occorre aspettarsi più sistema e più squadra, più filiera, più capitale di rischio, più trasparenza nei bilanci, più strategia, più competenze distintive.
Banche e imprese non potranno che puntare su rapporti di lungo periodo fondati su relazioni informative e operative più aperte, più ricche, più simmetriche. Si uscirà dalla crisi con maggior specializzazione, con maggior scambio di informazioni, con maggiorecondivisione di disegni e di obiettivi comuni, sposando una logica di partnership e non di contrapposizione. Sarebbe inutile, e oltremodo dannoso, chiedere ai modelli di non fare più il loro mestiere, che è quello di descrivere correttamente il rischio. Sarebbe come affannarsi intorno al tachimetro dell’automobile invece che sui fattori di potenza del motore: possiamo forse farci prendere dall’illusione per un giro di prova, ma la gara è persa, per meccanici, piloti e supporter, per tutti.
Per questo motivo, condividendo le recenti parole di Mario Draghi all’assemblea dell’Abi, occorre saper integrare le risultanze dei modelli di rating, con il confronto nel merito sulle strategie industriali in grado di sostenere la crescita e la redditività d’azienda nel medio periodo, senza adottare rigidi automatismi ma mettendo compiutamente a frutto il radicamento territorialedell’industria bancaria e le economie di prossimità con il cliente, estraendo in tal modo tutto il valore di una relazione compiutamente fiduciaria fra banca e impresa.
Sotto questo profilo appare avvilente constatare come, di fronte alla gravità di una crisi finanziaria ed economica di portata storica, che mette in discussione le stesse strategie industriali delle banche e delle imprese, che spinge verso una riconsiderazione profonda dei reciproci assetti competitivi, il dibattito sul rapporto banca/impresa sia invece così povero di elementi su cui fondare la costruzione di un rapporto fiduciario più funzionale a superare l’attuale delicatissima situazione, evitando che le debolezze del sistema del credito interagiscano tra di loro e amplifichino le debolezze del sistema delle imprese.

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L’ENNESIMA ULTIMA SANATORIA

  1. Elisa Sturaro

    Dopo anni di lavoro nell’ambito di B2 non posso che dirmi in totale accordo nel considerare che una moratoria delle suddette regole avrebbe senza dubbio effetti peggiori rispetto ad una sua applicazione sempre più vasta nelle prassi gestionali delle banche, e che anzi, tale applicazione crei incentivi sempre maggiori alla trasformazione delle banche da semplici prestatori di credito a prestatori di servizi a tutto tondo per lo sviluppo della finanza aziendale. E’ pur vero però che, se da una parte B2 fornisce gli strumenti per poter discriminare in modo meritocratico tra prenditori sani e non, dall’altra ha prestato la sponda per deresponsabilizzare i deliberanti a qualsiasi livello: nonostante ciò che la normativa recita, la strategia di applicazione della stessa è stata, per la stragrande maggioranza delle banche, quella di affidarsi in modo sempre maggiore ai risultati automatici che scaturiscono dai modelli, dimenticando l’analisi approfondita di bilancio anche in relazione alle prospettive del settore in cui opera l’azienda, il suo posizionamento competitivo, le sue prospettive di crescita, i dati previsionali e via dicendo, informazioni che sole sono in grado di apportare maggiore affidabilità alla decisione finale di erogazione, soprattutto in un periodo di forte crisi quale l’attuale.

  2. roberto cravero

    Alla fine le banche scaricano tutti i maggiori costi sulle PMI e sulle aziende start-up, alle quali, prima ancora di partire, vengono gia’ richieste garanzie senza valutare il business plan iniziale. Mentre alle grosse imprese le banche continuano allegramente a prestare soldi ben sapendo che prima o poi lo stato iniettera’ denaro a fondo perduto alle imprese che poi ritornera’ tranquillamente nei caveau.

  3. Luigi Mancini

    Premettendo che mi trovo concorde con le valutazioni riportate nell’articolo, mi pongo una domanda: i fautori del congelamento di Basilea cosa dicono o hanno detto sulla non indifferente parte di rimodulazione e ri-regolamentazione delle agenzie di rating che del merito creditizio dovrebbero essere gli arbitri ( e quindi fondamentale parte in causa )? In particolare per la questione ovviamente della proprieta’ delle stesse da parte dei controllati, in primis le banche in questo caso? Perche’ mi risulta difficile criticare le regole di Basilea senza tener conto dell’effetto distorsivo di questa realta’ generalizzata. Criticare un motore quando invecve che benzina si tenta di mandarlo avanti a carbone, anche se quest’ultimo è sicuramente un combustibile, non sarebbe corretto a mio modesto avviso.

  4. AC

    Valutazione, sviluppo… se poi qualcuno mi spiega la ratio di prestare 6 miliardi di euro a Romain Zalesky per acquistare partecipazioni…ad usum et sostenium del prestatore ! Con 6 miliardi di euro sapete quante piccole e medie aziende potrebbero "fare sviluppo"?

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