Questa crisi pone seri problemi per la professione di economista. Bisogna chiedersi in quale misura gli economisti si fossero resi conto che la finanza era su un percorso insostenibile, perché non hanno incluso le variabili finanziarie nei modelli macroeconomici, perché la grande maggioranza ha ignorato i segnali d’allarme lanciati da alcuni solitari accademici. E ancora: gli economisti quanto hanno influenzato le azioni e le omissioni dei politici e dei regolatori del mercato?
Dopo la crisi, criticare gli economisti è diventato uno sport di moda. Se alcune accuse possono essere dismesse, perché irrilevanti o intellettualmente volgari (ad esempio che gli economisti non hanno saputo prevedere le tempistiche della crisi o che i loro modelli e le loro teorie sono troppo astratti), ci si deve chiedere se vi siano responsabilità più serie. Anche se alcuni studiosi hanno avviato meditati esami di coscienza, l’umore prevalente sembra essere che continuare come se nulla fosse accaduto sia la migliore risposta alle critiche. Eppure è innegabile che questa crisi solleva seri problemi per la professione. Nel CEPR Policy Insight No. 38 ne ho esaminati alcuni che qui riassumo brevemente.
CHE COSA È MANCATO
In primo luogo ci si deve chiedere in qual misura gli economisti si fossero resi conto che il sistema finanziario aveva intrapreso un percorso insostenibile che alla fine avrebbe condotto ad una crisi.
Si deve ammettere che, in generale, questa consapevolezza è mancata: perfino dopo l’inizio della crisi molti ci hanno messo un bel po’ di tempo per capire che cosa stava succedendo. Si riconosceva l’esistenza di una bolla immobiliare destinata a sgonfiarsi, come previsto da Robert Shiller; ma le interazioni con i mercati finanziari nel nuovo modello di trasferimento del credito non furono mai compiutamente analizzate. Né la letteratura sulla crisi del 1997-98, né quella sugli squilibri globali, né la recente generazione di modelli di crisi offrivano contributi utili per indirizzare l’attenzione sulla crescita del credito, della leva finanziaria e dell’esposizione al rischio che stavano creando le condizioni per il crollo imminente. I segnali di allarme di coloro che avevano capito che cosa si stava preparando (Raghuram Rajan nel suo paper presentato nel 2005 a Jackson Hole, gli economisti della BRI, Nouriel Roubini) sono stati ignorati; un interessante filone di letteratura sui bilanci delle banche, sui cicli della leva finanziaria degli intermediari, sugli effetti di improvvise variazioni della liquidità non ha mai trovato posto adeguato nei modelli macroeconomici.
In secondo luogo, si può sostenere (come fanno alcuni) che, se vi è colpa, essa riguarda gli economisti ma non la disciplina? Secondo questa tesi, gli economisti, se solo avessero voluto, avrebbero potuto impiegare una vasta gamma di strumenti dalla agency theory all’analisi delle informative per comprendere le patologie dei mercati finanziari: non lo fecero per pigrizia mentale o perché afflitti da cattura cognitiva.
UNA SISTEMAZIONE TEORICA DELLA CRISI
Tuttavia manca ad oggi uno schema generale in cui tutti questi importanti pezzi di teoria possono essere assemblati per produrre, almeno ex post, una plausibile sistemazione teorica della crisi e delle sue dinamiche. I modelli più in voga, come quelli del tipo DSGE, ignorano le attività finanziarie e gli intermediari e non possono ammettere l’esistenza di agenti eterogenei, asimmetrie informative, problemi di agenzia, carenze di coordinamento e così via (per questo si è detto che non vi è nulla in quei modelli che possa interessare i banchieri centrali). Non è agevole spiegare la mancata inclusione delle variabili finanziarie nei moderni modelli macroeonomici: forse la comoda accettazione della ipotesi forte di mercati efficienti e dei teoremi di neutralità; forse l’illusione che la volatilità dei mercati finanziari fosse giunta al termine con la Grande Moderazione; forse i problemi pratici derivanti dalla necessità di mantenere i modelli gestibili e facili da utilizzare.
L’ultima questione è se le inadeguatezze degli economisti, oltre ad un costo di reputazione per la professione, abbiano avuto anche un costo sociale: ossia se le loro dottrine e atteggiamenti abbiano in qualche modo contribuito a creare un ambiente favorevole per lo scoppio di una crisi.
Anche a prescindere dalla teoria della finanza, che è il sospetto più ovvio, si deve riconoscere che gli economisti hanno contribuito a creare una sorta di Zeitgeist che ha influenzato le azioni e le omissioni dei politici e regolatori: per tale ragione ricade su di essi ricade una qualche responsabilità per ciò che è accaduto. I regolatori, sorpresi dalla crisi con gli occhi chiusi, avevano opposto resistenza ai tentativi di mettere la regolamentazione al passo con le innovazioni finanziarie, come dimostrano molti esempi. Ciò era coerente con le credenze prevalenti: che i mercati si auto-regolassero e richiedessero un intervento dello stato il più leggero possibile; che il perseguimento dei propri interessi portasse a una corretta valutazione del rischio; che lo sviluppo finanziario fosse sempre bene favorevole alla crescita, comunque avvenisse. Ogni rispettabile economista naturalmente sapeva che la validità di tali proposizioni dipendeva da un gran numero di condizioni e ipotesi molto restrittive. La necessaria cautela tuttavia, veniva sovente meno nel processo di trasformazione dei risultati di rigorose ricerche in prodotti per il consumo immediato. Più in generale, pochi si sono opposti alla versione volgare del loro dottrine, quale era richiesta dalle congregazioni a cui erano indirizzate le loro prediche, che includevano soggetti dell’industria finanziaria con ben precisi interessi.
Pensare con occhi nuovi, con una certa umiltà e senza difendere passate posizioni di rendita potrà essere di grande beneficio alla disciplina. I più giovani e i più svegli devono capire che dei problemi ci sono stati – altrimenti non avremmo visto Hyman Minsky diventare un personaggio popolare nelle lettere degli analisti del settore privato ai loro clienti.
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Giuseppe Coco
Condivisibile come sempre l’articolo del Prof. Spaventa sulle colpe degli economisti, anche nei corretti distinguo (non tutta la categoria- alcune voci e non esattamente degli ultimi si erano levate- aggiungerei Joe Stiglitz) e nell’appello finale. Tuttavia credo vadano aggiunte delle postille. I recenti attacchi alla professione da parte di chi ha responsabilità maggiori nella crisi sono a dir poco indecenti. E hanno come obiettivo sganciare definitivamente la gestione della politica economica da quel poco che sappiamo sul funzionamento delle economie, per restituire totale discrezionalità a chi gestisce le leve. La teoria economica contiene elementi per giustificare praticamente tutto. Teniamo comunque distinti gli strumentalizzatori dagli strumentalizzati (per quanto consenzienti). I primi sono i veri responsabili. Inoltre vorrei ricordare che un’allarme autorevole sul rischio economico connesso alle bolle ‘seriali’, non basato su critiche moralistiche, era stato lanciato almeno da 10 anni da un settimanale che non si chiama ‘Il Giurista’ o ‘Lo Storico’ ma ‘The Economist’.
Davide
A titolo informativo, qualche link su delle "proposte di riflessione". Spero che spunti di questo tipo aumentino. sulle due lettere di alcuni accademici britannici alla regina sul processo di convertizzazione a danno di approcci economici non ortodossi.
Giovanni
Caro professore, lei predica l’umiltà per i politici e fatica a riconoscere l’arroganza di una disciplina che da tempo ha smesso di avere a che fare l’azione umana. Definisce volgari le critiche di coloro che contestano l’astrattezza della modellistica economica e poi ammette con un certo imbarazzo che i modelli macroeconomici ad oggi utilizzati non comprendono variabili fondamentali per la comprensione della realtà. Ma crede davvero che la realtà sia aggredibile apartire dai modelli? I modelli non devono rappresentare la realtà! Al massimo, quando sono ben strutturati, possono rappresentare uno stumento di misurazione della realtà, ma mai raffigurarla.
Fabrizio Villani
C’è troppa astrazione di modelli matematici complessi… L’economia deve farsi un esame di coscienza e decidere la sua vera natura, scienza sociale o scienza pura? La risposta è che è una scienza sociale e come tale deve adeguarsi, non si può prevedere tutto, il margine di manovra è buono ma non onniscente.
antonio puglisi
La vera responsabilità della crisi è delle irresponsabilità di un sistema, che si autogoverna senza pensare al futuro.Gli economisti, hanno di sicuro fatto quanto era in loro potere, ma il bastone del comando è nelle mani di chi controlla il mercato.e spesso di gente che di sicuro, non ha come obiettivo, il benessere della società e neanche della loro stessa società. L’economia liberale è sostanzialmente immorale, perchè guarda esclusivamente o deve guardare esclusivamente, agli interessi individuali, mentre vive la sua realtà sociale. Qui consiste, semmai la loro contraddizione, che contraddittoriamente non è percepita dalla coscienza dei cittadini e quindi non può avere alcuna rilevanza politica ed economica. Una colpa gli economisti, quelli da lei menzionati, possono comunque addebitarsi ed è quella che con la loro capacità di analisi e quindi di previsione del futuro, non abbiamo in nessun dibattito o tesi inserito l’elemento sociale, quale componente di valore, trattando il tutto sotto l’influsso del feticismo della merce, In sostanza si sono limitati non a studiare e quindi a capire, ma a celebrare come sacerdoti fanatici, il Dio profitto.
mirco
Ho una laurea conseguita a Bologna in economia ad indirizzo economico, ormai scaduta vista la mia età ma non sono economista nel senso che non esercito la professione. Credo che per esercitare la professione di economista debba essere obbligatorio l’esame di storia delle dottrine economiche e l’esame di storia economica.( storia del capitalismo) come insegnava il buon Zangheri (ex sindaco di Bologna). Allora si capirebbero molte cose e molti giovani rampanti non commetterebbero l’errore di considerare la disciplina economica solo come una serie di formule matematiche finanziarie orientate alla crescita quando invece l’economia è una scienza sociale quindi non esatta che andrebbe studiata con i concetti basilari di ciclo-sviluppo.Ma quello a cui stiamo assistendo è ancora capitalismo? Non credo io lo chiamerei Feudalesimo finanziario, grandi fondi sovrani che spadroneggiano in varie parti del mondo. Ma pecunia non olet e come un medico potrebbe commettere il delitto di infrangere il giuramento di ippocrate… figuriamoci cosapotrebbe inventarsi un economista magari una speculazione sul grano e fame per molti….economista come capitano di ventura che serve il suo signore.
porta
Caro Spaventa, la leggo sempre con molto interesse. Mi pare che il punto centrale della tua disamina, là dove parli di uno Zeitgeist ‘assassino’ o anche soltanto perverso, ponga il problema centrale, che è culturale e non analitico. E’ a questo livello che si colloca (così a me pare) la disamina che tu fai; e poi bisogna anche tirarne le conseguenze. Che cosa insegnamo? Quali sono le concezioni degne di essere studiate? Quali ne sono le caratteristiche e le radici? Tutte cose di cui troppi economisti hanno smesso da troppo tempo di interessarsi, spesso confondendo abilmente il piano tecnico del discorso col piano culturale. Certo attira molto di più stabilire graduatorie di impact factor piuttosto che occuparsi di quelle questioni un po’ metafisiche. E non dico certo che sia inutile o dannoso far quelle graduatorie; è però certamente insensato farne un assoluto. Capisco bene che il problema è universale. Ma consentimi di aggiungere che proprio la mia città (la milano-mahagonny di cui ha parlato qualcuno in questi giorni) è divenuta un po’ una sede di questa perversione culturale. Ma questo non sarebbe accaduto senza anche grossi aiuti dall’esterno.
Gerardo Fulgione
Scrivo solo per complimentarmi con l’analisi attenta e precisa del prof. Spaventa sul ruolo degli economisti ed alcune possibili "distorsioni" avute nelle loro analisi. In particolare trovo interessante e magari da poter approfondire meglio la questione della regolazione dei mercati, soprattutto quelli finanziari, ed in particolar modo della "catturabilita’ " degli organi preposti a tale controllo, ovvero come riuscire a superare queste anomalie (poichè tali dovrebbero essere). Credo inoltre sia pacifico che un sistema di liberismo economico non esclude, ma anzi include in maniera rigorosa l’intervento pubblico in campo economico, un intervento non "diretto" ma di regolazione, ovvero "indiretto".
giovanni ingrosso
Questo sembra il gioco dello scarica barile, i politici danno la colpa agli economisti, gli economisti alla teoria scientifica insufficente, e così via; ma io chiedo , c’è bisogno di sofisticati modelli matematici per dire che se io presto soldi ad uno che non può restituirmeli sto rischindo di non averli mai più indietro? Ci vuole un modello matematico sofisticato per dire che più lunga è la catena di prestiti fra gente che non può restituire quello che riceve e più è facile che tutto vada a carte 48? Altro che errori degli economisti quì c’è stata della bella e buona malafede!
Pietro Palermo
Sono laureato in Economia ed amo moltissimo la materia, ma ho dovuto constatare anch’io come molti ambienti accademici ci sia disinteressati di quanto l’Economia teorica avesse prodotto in tema di teoria dell’agenzia, teoria dei giochi e simili e questo fallimento (perché di fallimento si tratta) non può che essere ascritto agli economisti. Non di meno, penso che la crisi, prima ancora che dagli errori degli economisti, sia nata dallo snaturamento dell’economia reale. La teoria dello scambio, infatti, cerca di descrivere un mondo "sensato" ove domanda e offerta di beni (e di moneta) sono "reali" cioè nascono dall’esigenze di individui concreti di soddisfare i propri bisogni o di massimizzare un’utilità dei beni (moneta) che possiedono, mentre nell’ economia reale la domanda di beni può essere speculativa (vedi materie prime e petrolio) e l’offerta pure (vedi lo short selling di azioni). A meno di non voler ribasare la teoria economica sull’assunto che il baricentro dell’esistenza (e degli studi) debba essere il profitto dei singoli enti economici e non lo scambio inteso in modo "sensato", sarà difficile disegnare modelli economici descrivano (anche solo ex-post) quanto accaduto.
ciro daniele
Temo che il prof. Spaventa abbia una concezione troppo elevata del proprio mestiere. La posizione di un economista è molto diversa da quella di un medico, che cerca (quasi) sempre di dire la verità al paziente. Un economista (applicato), invece, è solo un avvocato che difende le tesi di un cliente sfruttando tutte le informazioni, la teoria e la retorica a sua disposizione. Il problema vero è che non ci sono abbastanza clienti disposti a pagare per sentirsi annunciare crisi strutturali ed altre sventure. Una volta questo ruolo veniva svolto da istituzioni pubbliche indipendenti, ma mi sembra che ormai si tratti di una specie in via di estinzione.
Claudio Robbiati
Mi pare di ricordare che un grande economista avesse dichiarato che l’economista molto bravo è quello che sa spiegare bene quanto è successo ma, non è in grado di prevedere quanto succederà. La pretesa di utilizzare modelli economico matematici complessi per ottenere previsioni che poi vengono utillizzate sul campo degli investimenti si è sempre dimostrata fallimentare nelle grandi aziende dove questi strumenti venivano utilizzati, come potessero servire su scala universale nessuno è in grado di spiegarlo se non con la "fede". Chi opera in settori così delicati deve sempre ricordare che l’economia è una "scienza" che ha ragione di esistere perchè studia come utilizzare risorse "scarse", proprio come tutti gli scienziati che vogliono spiegarci quale sarà il futuro devono comunque sempre ricordare la 2° legge della termodinamica E>0. Grazie prof. Spaventa.
alfredo rosini
Ci sono vari tipi di economisti: – l’economista che lavora per il mondo della finanza, che ha come scopo principale quello di creare prodotti, modelli e strutture per far guadagnare soldi nel breve periodo agli investitori (solitamente traducendo il tutto nell’invogliare ad investire e far guadagnare il proprio datore di lavoro). – L’economista che lavora per la politica che solitamente esprime un orientamento politico di settore. – L’economista che lavora per gli organi di controllo (dalla BCE, alla Consob, Banca d’Italia ecc ecc) che vigila e interviene con soluzioni solitamente non cogenti. – L’economista "indipendente" che scrive la sua opinione fuori dalle logiche di potere, questi sono quelli inascoltati di cui parla Spaventa anche se su 100 che scrivono 1 manifesta una reale compenteza imparziale sull’argomento. Di questi tipi di economista di chi è la colpa? Insomma c’è qualcuno che ha fatto male il suo mestiere o viviamo talmente in un sistema bacato da non avere nemmeno la possibilià di evitare la prossima crisi?
giuseppe faricella
Onestamente non riesco a capire perché affermare che gli attuali modelli teorici dell’economia sono superficiali e semplicistici significhi fare attacchi "intellettualmente volgari" alla disciplina. Sono laureato in economia (tesi in matematica finanziaria, sulla valutazione della performance di un fondo comune azionario) ma sono da sempe un appassionato di fisica e matematica (materie che studio per diletto su testi di livello universitario): beh, penso di essere nella condizione di poter testimoniare che esiste una incredibile distanza in tema di rigore e capacità di analisi e approfondimento (oltre che di conoscenza degli strumenti matematici) tra le scienze "pure" e quelle "sociali". Su uno degli ultimi numeri di Le Scienze c’era un articolo di economia sperimentale e neuroscienze applicate al comportamento economico che metteva in dubbio l’assunto di razionalità degli attori economici: devo dire che l’articolo mi ha ancora di più convinto che il futuro dell’economia sia proprio nella convergenza verso le scienze "del cervello" e nell’adozione dei (futuri) modelli matematici applicati alla descrizione dei processi cognitivi.
luca iozzelli
L’unico esame sistematico e che non si ferma agli aspetti finanziari della crisi, ma ne ricerca le cause più profonde che l’ha offerto, almeno in Italia, Tommaso Padoa Schioppa http://www.lucaiozzelli.com/index.php?lng=it&mod=notizie&pg=indice&c=3 . Cordiali saluti Luca Iozzelli
Marco Bellarmi
L’articolo è tra i migliori nel suo genere e l’autore è noto per la sua competenza ma più mi interesso di "scienza economica" più mi convinco che sia una sorta di religione, destinata a chi ha "fede"; con i suoi miti (il "mercato"), i suoi sacerdoti (gli economisti), le sue Sacre Scritture ed i suoi Vangeli Apocrifi (I limiti dello sviluppo, per esempio). E con la religione condivide un’altra cosa: il fine del controllo sociale. Se tutto ciò è "intellettualmente volgare" mi chiedo come si possa definire la morte per fame di 20.000 bambini all’anno quando l’umanità ha tutti i mezzi per evitarlo, solo che è economicamente più vantaggioso produrre bio-carburanti. E si potrebbero fare centinaia di altri esempi. Cordiali saluti
Ivan
Chissà perchè molti economisti indipendenti avevano previsto con largo anticipo la crisi e le sue modalità, dando anche soluzioni pratiche e percorribili sia dalla società che dai governi. Chissà perchè quando s’intervistano personalità come De Bortoli, Draghi, Bernanke, Greenspan, che la crisi non l’avevano minimamente prevista, queste sono presentate come esperti e guru, mentre quando s’intervista coloro che hanno previsto tutto e descritto con largo anticipo le dinamiche della crisi (esempio Lyndon Larouche o in Italia Eugenio Benetazzo), questi sono presentati alla stregua di apprendisti stregoni. Se l’economia fosse veramente una scienza e gli economisti fossero veramente scienziati, dovrebbero partire proprio da costoro per capirci qualcosa, mettendo alla porta chi non ci ha capito nulla, sempre che il metodo scientifico abbia ancora un senso in questi tempi bui…
Alfredo
Gentilissimi Lettori, ma questa crisi c’è stata veramente? O è solo una montatura mediatica? Che significa crisi? L’impossibilità di comperare frutta e verdura? Non poter fare la spesa. Io sinceramente faccio fatica ancora a capirla, praticamente vedo che il Raccordo Anulare di Roma è sempre intasato con migliaia di autovetture che vanno e che vengono spendendo per un solo litro di benzina verde 1,3 Euro! Ristoranti pieni zeppi di persone che spendono mediamente 30-50 Euro per una pizza!! Sicuramente qualche azienda ha chiuso, qualche lavoratore è rimasto senza lavoro, ma sembra più un cambiamento dei tempi che un crisi economica in cui si è impossibilitati a vivere.
Disperato
Il fatto è che un’economia che basa (ad esempio, tra l’altro) la propria moderna ragion d’essere sullo scambio in tempo reale delle azioni di società che da un millisecondo a quello successivo dovrebbero aver visto variare il motivo per cui sia suggeribile comprare o vendere.. è un’economia dove il rapporto tra realtà-merce-scambio e la pura speculazione tecnofinanziaria finalizzata al massimo profitto immediato è sempre più slegato; e non esisterà mai un economista al mondo in grado di modellizzare alcunchè. Lo stesso motivo per cui la matematica finanziaria acquista senso e valore (stupidamente: io compro o vendo non perché ad esempio- il bilancio me lo suggerisce ma perchè me lo indica un programma preminentemente statistico e quindi a-reale) include il motivo dellaumento dell’entropia e quindi della inesorabile non predittibilità del futuro economico. Come sempre, siamo schiavi dell’ingordigia.
ENRICO QUARTA
Articolo interessante del Professore Spaventa ma non esaustivo, poiché non affronta il cuore del problema ed il problema è il seguente: la maggioranza degli economisti si è formata studiando la Matematica. Finanziaria., Smith e Marx e tutte le scuole di pensiero economico da loro derivate. Queste scuole di pensiero non tengono conto della Termodinamica .Questa maggioranza, non è riuscita a definire modelli scientifici di analisi d’impatto di questa branca della fisica, sui processi economici . La Termodinamica è la madre di tutte le leggi diceva Einstein e Frederick Soddy (nobel per la chimica nel 1921) a sostegno di tale asserzione sosteneva che: il punto di rottura del paradigma meccanicistico avviene, quando non si riesce più a riconvertire il debito composto (debito+interessi) e alloare entra prepotentemente il paradigma entropico (tassazione da rapina,aumento disoccupazione,aumento della criminalità,rivoluzioni,aumento dell’inflazione ecc..) Gli economisti devono fare una scelta univoca , collaborare con i fisici, perché la scienza e la magia sono in antitesi. Saluti E.Quarta
Inkognitus
L’intero edificio delle "moderne" teorie economiche e finanziarie è semplicemente un castello di carte (leggasi Hoppe, Mandelbrot e Taleb al riguardo) e sta facendo la fine che meritava di fare. Naturale che chi fa l’astrologo faccia cilecca quando si tratta di astronomia. Peter Schiff aveva previsto tutto con anni di anticipo (!) ed è stato ridicolizzato in ogni talk show a cui ha partecipato- cercate su Youtube ‘Peter Schiff was right’. Schiff non aveva la sfera di cristallo, non è un economista ma ha studiato l’economia austriaca, l’unico approccio sensato al riguardo…per quanto definito ‘pseudo scienza’ dall’Accademia. Una bella rivincita, non c’è che dire.
rosanna sapori
Nell’articolo di Luigi Spaventa sono citati tre nomi di economisti che avrebbero (inascoltati) previsto la crisi mondiale. Vorrei per correttezza citare anche un "piccolo" trader di borsa indipendente che in tempi non sospetti (2005) con la pubblicazione di alcuni libri come: duri puri: blackgek aspettando un nuovo 1929e per il resto vi rimando al suo sito http://www.eugeniobenetazzo.com, anche lui aveva previsto quanto poi è accaduto sia in America che in Europa. Ho avuto il "fiuto", se così si può dire, di ospitarlo nelle mie trasmissioni televisive in onda dall’emittente veneta Telenordest. L’ho fatto perchè insospettita e spaventata da quanto andava prevedendo. I politici che insieme a lui animavano le mie trasmissioni se ne andavano definendolo un pazzoide skizzato. Benetazzo è il nostro piccolo Roubiuni, preso per pazoi da molti e definito un catastrofista senza ritorno, salvo poi rivalutarlo a posteriori. Grazie per l’attenzione. ROSANNA SAPORI GIORNALISTA TELEVISIVA Telenordest – Antenna3Nordest
marcello
In questa estate di processi agli economisti, appare singolare che nessuno faccia riferimento a uno dei maggiori, ma troppo spesso dimenticati, economisti viventi: H. F. Hahn. Se non si biasimerà mai abbastanza l’ottuso attegiamento dell’accademia svedese che nega a questo grandissimo economista il giusto riconoscimento (qualcuno ricorda gli equilibri congetturali o l’analisi della moneta nei modelli a generazione sovrapposta?), si può tuttavia indicare la ri-lettura in chiave interpretativa dei compiti di un economista di: In Praise of Economic Theory LUC 1984 (Elogio della teoria economica Mulino 1989). F. Hahn dice che l’economia, che si fonda su un metodo logico-matematico-deduttivo, assume alla base del comportamento umano l’esistenza di un principio di razionalità: ciascuno sa ciò che vuole e dato un insieme di scelte possibili, agisce secondo là degli economie sue preferenze. Da questo principio generale, che può essere indebolito per ri-comprendere la razionalità limitata, l’incompletezza informativa ecc., deriva un’arte più che una scienza che può descrivere ma non predire, così come la tettonica a zolle ci dice perché e come avvengono i terremoti ma non quando accadranno.
onaocn
Le grandi banche, hedge fund e paradisi fiscali, si sostengono grazie ai soldi dei loro clienti, per accontentarli operano coi futures delle materie prime come "criminali", facilitano l’evasione fiscale, prendeno soldi "sporchi". Fanno soldi con sistemi illegali, vedi "High Frequency Trading". E accedono alle casse dello stato quando per i loro errori, vanno in fallimento, liberismo? Professore, vorrebbe farci credere che non è al corrente di tutto ciò, ma, ai suoi allievi che insegna a credere a babbo natale, mentre invece una volta laureati saranno assorbiti proprio dalle grandi banche e dovranno sottomettersi alle loro "regole"?
Armando Pasquali
Di quanta finanza abbiamo bisogno? E di quale finanza? Solo nel 2007 le persone che soffrono di denutrizione cronica sono aumentate di 75 milioni, in massima parte per effetto dell’incremento dei prezzi degli alimenti. Si ritiene che una parte di tale aumento (che però non si sa quantificare) possa essere dipesa dall’espansione della speculazione sui futures dei prodotti agricoli. Sono questioni che dovrebbero essere al centro dell’attenzione degli economisti, ma naturalmente non lo sono. E’ ormai evidente a tutti che questa generazione di economisti ha fallito. Il problema è che non possono essere sostituiti. Se un lavoratore commette errori di tale portata, perde il posto. L’economista no.
luigi zoppoli
Il Porf. Spaventa ha proposto alcune riflessioni degne di nota. Mi pare però utile aggiungere, con tutta la modestia e l’umiltà del caso, che chi ipotizza che l’economia preveda il futuro ha sbagliato indirizzo o parla d’altro come ognuno che in questi tempi grami faccia il ministro dell’economia. Da maghi con palla di vetro al seguito ad economisti c’è un abisso. Che agli economisti vada attribuita una dose di reponsabilità è evidente. Tutto il resto è fuffa. luigi zoppoli
baldini giancarlo
Il commento parte da un italiano medio, di cultura media lontana, dalla cultura finanziaria e bancaria. Ho pensato alle domande da lei poste, ma le spiegazioni richiederebbero troppe pagine utili all’analisi di tale “fenomeno”. Volendo rispondere in modo sintetico ed omnicomprensivo penso di poter riassumere la risposta in quattro punti: 1- mancanza assoluta di controlli condotti con onestà di intenti. 2- Come conseguenza, disonestà nell’applicazione delle norme esistenti. 3- Stesura di leggi o di regolamenti che vengono manipolati dalle lobby di settore. 4- Mancanza di volontà politica per mettersi veramente in gioco poichè è piu’ facile vivere “senza problemi” (non avendo nè senso civico nè senso etico) e molto piu’ comodo vivere nel paese dei balocchi e sicuramente piu’ conveniente. Per ogni punto citato si potrebbe scrivere un libro ed anzi qualcuno lo ha già scritto: inutilmente.
Marco Di Marco
Le teorie economiche, cioè i veri prodotti dell’attività degli economisti, si traducono in decisioni politiche e/o manageriali solo attraverso un processo di divulgazione e interpretazione, che comporta anche banalizzazioni. Forse tutto è cominciato quando qualcuno ha disegnato la curva di Laffer sul tovagliolo di un ristorante (scherzo, ma non troppo ;-). Non è però facile mettere tutti gli economisti in un calderone di responsabilità collettiva. Si dovrebbe essere più precisi. Penso per esempio agli analisti di mercato che "prevedevano" che il prezzo del petrolio avrebbe "necessariamente" toccato i 200 $ al barile. Magari non erano del tutto disinteressati a mettere in piedi una delle solite profezie che si autorealizzano, in contemporanea con manovre speculative. Ma questo tipo di informazioni sono previsioni nel senso scientifico della parola?
enzo
Ricordo una barzelletta che recitava così: tre scienziati, un fisico,un chimico, un economista si trovano su un’isola deserta alle prese con l’unica scatoletta di cibo da aprtire; il chimico ed il fisico propongono soluzioni,che ora non ricordo, con le quali applicando le loro conoscenze si potrebbe reggiungere l’obiettivo di aprire la scatoletta, poi chiedono all’economista: "secondo te? " l’economista risponde: "supponiamo di avere un’apriscatole…". Al di là della barzelletta il problema dell’economia è che tutte le teorie sono giuste partendo da un presupposto indimostrato dato da deduzioni logiche, ciò nonostante gli economisti si affannano a comportarsi da scienziati agrappandosi ai loro modelli dimenticando che dipendono tutti da postulati intuitivi. Forse, dopo l’immane figuraccia, sarebbe salutare riportare l’economia al suo rango di scienza umana paragonabile alla filosofia, la cui esatezza dipende dal buon senso e dalle intuizioni piuttosto che dalle dimostrazioni matematiche, rinunciando ad atteggiamenti da matematici puri che stavano precipitando l’economia a nuova teologia del mondo occidentale.
giuseppe
Anni fa un autorevole Barone della medicina fece girare questo aforisma:il malato è guarito nonostante l’intervento del Medico. A noi giovani laureandi i Docenti anziani non si stancavano di ripetere: primo,non nuocere. Ora spero che i mercati sappiano trovare un equilibrio nonostante l’intervento dei regolatori,cioè politici con il loro seguito di economisti compiacenti,tutti insieme impegnati alla ricerca del consenso e alla difesa dei grossi interessi finanziari. Quello che secondo me è mancato agli Economisti in buona fede, forse troppo immersi nella loro dottrina, è stato il buon senso comune.Una grande economia che basa il proprio PIL per il 70% sui consumi non può crescere all’infinito a tassi superiori al 2-3 % all’anno senza accumulare debiti inestinguibili. Questo forse gli Economisti dovevano spiegare, invitando a contenere questa orgia di consumi che ha drogato consumatori, imprenditori e finanzieri. Altro che inondare il mercato di soldi facili, per poter riprendere a spendere allegramente, fino alla prossima inevitabile, più grave crisi.
Inkognitus
Per cortesia, date un’occhiata al video che ho indicato nel post precedente e ditemi che differenza vedete fra Arthur Laffer e il mago Otelma. Laffer era pure consigliere di Reagan….
Enrico Motta
Io non sono un economista, conosco invece il modo di ragionare degli scienziati in campo medico-biologico (anche se io faccio il medico pratico, non il teorico). La grande differenza che noto è che gli economisti costruiscono previsioni a breve e anche a lungo termine (2-3 anni) utilizzando non dati empirici, ma variabili del tutto arbitrarie, ipotetiche, e che le previsioni non sono poi espresse in termini di probabilità, ma come dati certi. I medici pensano: se si prende questa pillola ci sono 85% di probabilità che la pressione sanguigna scende. Rimisuriamo la pressione tra 1 settimana. Gli economisti pensano e, ohimè, dicono: prendiamo questi provvedimenti, e l’anno prossimo ci sarà questo risultato, sul PIL, o sull’inflazione, o su qualche altra grandezza macroeconomica. Se sbagliano i primi, saranno chiamati a rispondere; se sbagliano i secondi se la prendono con fattori contingenti, che sono stati totalmente ignorati all’inizio.
giuseppe silvagni
Appunto, in tanti ci chiediamo perchè! Non è certo il cittadino comune che può rispondere ai quesiti su esposti. Qualcuno una buona volta dovrà pur rispondere del danno prodotto a milioni di persone in buone fede che pensano alla propria famiglia ed al lavoro chi ancora ha la fortuna di averlo. Possibile che in questo sistema nessuno mai paghi pubblicamente per i danni che produce? Un cittadino comune come può continuare ad avere fiducia in persone deputate a garantirne i suoi diritti il quale difficilmente riesce a sottrarsi ai suoi doveri verso il sistema? Resta alta la fiducia verso le istituzioni, ma non si può tradirla.
Antonio Salvati
Si verificheranno sempre episodi di forte sviluppo correlati a fasi di contrazione violenta. Non sono marxista ma sicuramente, e la storia lo prova, questa "intuizione" è sicuramente valida. E’ altrettanto vero che il sistema economico basato sul libero mercato, con elementi di "tutela" sia il migliore sperimentato sinora. Possiamo migliorare il sistema attuale ma scogiurarne gli elementi di cricità appare, a mio modesto avviso, impossibile. Dobbiamo conviverci più o meno come i giapponesi convivono con il terremoto. Per quanto attiene al fatto che gli economisti non abbiamo saputo prevedere la crisi c’è un approccio sbagliato al problema: da un lato gli economisti non sono dei veggenti, dall’altro mi chiedo quali economisti?Partendo dal fatto che da 30 anni ad oggi quando si parla di economisti si parla di monetaristi. Abbiamo una BCE che per determinare la sua politica monetaria ha, nel periodo 07-08, utilizzato l’equazione di fischer come se l’inflazione del periodo in esame fosse un inflazione da domanda aggravando con politiche monetarie restrittive un processo di crisi che era già in atto! Una maggiore considerazione di altre politiche economiche avrebbe mitigato la crisi.
Al Vincenti
Trattasi di crisi politica, anche se si è manifestata come Finanziaria. IL debito pubblico degli U.S.A. con quello delle imprese, delle famiglie e con l’estero è sostenibile fino a quando l’economia cresce. I derivati vari, senza Cassa di Compensazione, i CDO, ABS, CDS etc. hanno creato finta ricchezza. Emettere cambiali senza scadenza non poteva durare all’infinito.