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UN QUANT DI RESPONSABILITÀ

Nel mondo della finanza si è da anni consolidato il ruolo dei cosiddetti quan, persone che hanno ottenuto un PhD in una materia scientifica e che prestano i loro servizi all’industria. Sono stati additati tra i responsabili della crisi per i disastrosi errori che hanno commesso. Soprattutto, però, c’è bisogno di una matematica nuova per una finanza nuova. E gli scienziati nel mondo finanziario sono chiamati a fare il loro mestiere, ottenendo così credibilità e, di conseguenza, la responsabilità dovuta nel processo di investimento.

 

IL QUANT: CHI È COSTUI?

Nel mondo della finanza si è da anni consolidato il ruolo dei quant (da quantitative analyst), persone che hanno ottenuto un PhD in una materia scientifica, di solito matematica o fisica, e che prestano i loro servizi all’industria. I quant – chi scrive è uno di loro – hanno contribuito alla crisi attuale prendendo cantonate epocali nella misura dei rischi effettivi di mercato e sono stati per questo additati come colpevoli, sia pure non unici. Discutere il loro ruolo, le loro responsabilità e gli strumenti matematici che usano non è di poco conto se si vuole che i mercati finanziari funzionino meglio in futuro. 
I quant, in genere, si occupano di gestione degli investimenti, creazione o quotazione di derivati e prodotti strutturati, gestione del rischio. Nella realtà, tutti questi mestieri sono estremamente simili, sono solo le finalità a essere diverse. Il tutto si riduce, di fatto, alla modellazione di uno o più aspetti dei mercati finanziari, individuando quali siano le fonti di rischio, incertezza e quant’altro, per poi passare i numeri attraverso un qualche tipo di ottimizzatore, implicito o esplicito, arrivando infine all’output necessario per operare, sia esso un ordine di compravendita, il prezzo di un derivato esotico o una tabella che descrive (certi aspetti de) i rischi di un portafoglio.

UNA MATEMATICA PRESA A PRESTITO

All’interno della comunità quant, in questi mesi, si è cercato di capire cosa sia andato storto e come si possa migliorare, proponendosi con più credibilità sia nei confronti dell’industria, sia del mondo esterno. Un’idea piuttosto radicata è che la matematica finanziaria sia una sorta di scienza sperimentale: si osserva un fenomeno, lo si modella e si sperimenta (attraverso, in genere, back-test o simulazioni) per verificare la bontà del modello. Le tecniche matematiche usate sono spesso piuttosto avanzate, ma, sorprendentemente, non esistono teorie matematiche vere e proprie nate da esigenze finanziarie. Si usano quasi sempre strumenti nati in ambiti completamente diversi, senza neanche badare troppo a come mai una tecnica propria, ad esempio, della fisica possa aver senso in finanza. Proprio l’utilizzo di tecniche non pensate ad hoc, ma prese in prestito, spesso acriticamente, da altre discipline scientifiche è la causa principale del fallimento dei modelli durante l’ultima crisi. La matematica finanziaria non è, allo stato attuale, una scienza sperimentale, ma una branca dell’ingegneria. Il problema è che senza una valida teoria, la pratica ingegneristica si ritrova a essere priva di fondamenti e non sta in piedi.

IL CONTRIBUTO DEI QUANT ALLA CRISI

Nell’agosto 2007, allo scoppio della crisi dei mutui, ci sono stati i primi importanti cedimenti dell’edificio quant. Il rischio del credito subprime, si è pensato, si può ammortizzare in un paniere di credito in cui la parte più rischiosa viene compensata da una parte meno rischiosa, non correlata. Ma è stata proprio questa correlazione a crescere a dismisura, facendo fallire miseramente il modello. Non esistono modelli adeguati per trattare le brusche impennate della correlazione. In realtà, è proprio l’idea della centralità della correlazione a essere sbagliata e più in generale il non riuscire a superare i limiti (evidenti) posti dai modelli lineari. Più avanti nella crisi, ha giocato un ruolo fondamentale il VaR: una misura della perdita massima possibile entro una data soglia probabilistica: ad esempio, nel 95 per cento dei casi non si perde più del 3 per cento. Questa misura, nelle sue innumerevoli varianti, è stata usata in modo estensivo nell’industria (e ancora viene usata, sorprendentemente) con risultati a dir poco disastrosi. Il calcolo del VaR presenta due tipi di problemi: da un lato è per sua natura inaffidabile dato che si cerca di dare un valore a una quantità di fatto non conoscibile; dall’altro nulla dice su cosa succede oltre la soglia data (quello che è successo col crollo di Lehman non rientra nel novantacinquesimo né nel novantanovesimo percentile – i percentili rilevanti per il calcolo del VaR). Le dimensioni degli investimenti decise in base al VaR sono risultate inadeguate (troppo rischio sul tavolo) e le perdite conseguenti ingenti, compresi i fallimenti di banche d’affari.

UNA MATEMATICA NUOVA PER UNA FINANZA NUOVA

Gli esempi di errori disastrosi dei quant non si limitano certo all’utilizzo della correlazione e del VaR. Il bisogno di una matematica nuova per una finanza nuova è impellente: gli scienziati nel mondo finanziario facciano gli scienziati, ottenendo così la credibilità necessaria e, conseguentemente, la responsabilità dovuta nel processo di investimento.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

27 commenti

  1. GT

    Premetto che non sono né un matematico né un economista. Detto in termini semplici, e per quanto ho potuto capire, la questione è stata di sommare tanti "piccoli" rischi nell’ipotesi che non potessero concretizzarsi le perdite se non su un piccolo gruppo di casi. Ma questo partiva dall’ipotesi che i rischi fossero indipendenti tra loro. Nella realtà questa ipotesi era falsa, sia a priori (se la gente non paga i mutui, può fallire la società che li ha emessi – quindi se io ho quote di mutui e obbligazioni della soecietà emittente…), sia a posteriori (costruzione di strumenti finanziari che contenevano altri strumenti analoghi). In pratica, quindi, la crisi dei mutui ha generato un vero e proprio "effetto domino" che ha concretizzato il caso peggiore di molti dei "piccoli rischi non correlati", che in realtà erano correlati eccome. Dal punto di vista scientifico-matematico, è semplice: essendo venuta meno una ipotesi (fondamentale – e in realtà era falsa fin dall’inizio), la teoria decade completamente… Il problema, semmai, era che sostenere che sommando rischi elevati si ottenesse un rischio minore, nonostante questo facesse a pugni col banale buon senso, è irresponsabile.

  2. Giuseppe

    Caro Federico, premetto che sono un ragazzo di 26 anni con laurea in economia, master in finanza, e che lavora in una famigerata Investment Bank londinese. A mio modo di vedere, il problema riguardo la questione da te sollevata risiede nella mancanza, nella maggior parte delle persone con PHD in Maths, di un solido background economico. Si tratta spesso di persone che hanno conseguito una laurea in matematica e poi ancora un PHD in matematica; come ho più volte avuto modo di constatare, si tratta spesso di persone che non sanno e/o non capiscono nulla di Economia. Questi professionisti dovrebbero rappresentare un aiuto per le decisioni, non la guida. Le decisioni di investimento sono state e vengono tuttora lasciate a queste persone… forse è questo il problema. Come diceva Hayek, senza la teoria non si va da nessuna parte…ma sicuramente queste persono con PHD in Matematica non sanno chi sia Hayek.

  3. Carlo

    L’autore trascura un aspetto altrettanto rilevante: sono piene di quant anche le facoltà di economia, dove i giovani matematici finanziari "brillanti" sono anch’essi fisici o matematici puri, che non hanno mai studiato economia e che non si confrontano, se non raramente, con i colleghi economisti. Negli ultimi anni hanno anche avuto l’opportunità di formare gli studenti più brillanti, attratti dalle opportunità di essere pronti per un mercato del lavoro che promette grandi guadagni in un futuro prossimo. Auguri.

  4. Mario Alemi

    Sono un fisico, e sono fuggito dal VaR dopo un anno, nel 2006, perche’ mi sembrava chiaramente un castello di carta. Le "tecniche matematiche" usate per il VaR sono in realta` banali. Ma in un mondo in cui durante una riunione in banca non si puo` dire "deviazione standard" senza ricevere occhiatacce, e` difficile "fare della scienza". E` verissimo che noi matematici e fisici (e ingegneri) manchiamo di educazione economica (ed e` per questo che spesso la studiamo mentre lavoriamo). Ma e` anche vero che la matematica come viene usata nelle banche farebbe spesso (non sempre) inorridire il peggior studente di fisica. Ho aneddoti di managers che chiedono allo stagista il 200% di 120, perche’ a mente non lo sanno fare, e lo stagista che apre excel e se lo calcola. L’ignoranza c’e`, ma e` diffusa su tutti i fronti ahinoi! L’onesta` intellettuale di una persona e` inversamente proporzionale alla correlazione delle proprie azioni con il logaritmo del conto in banca.

  5. Marco

    Sono d’accordo con Giuseppe su un punto: le analisi dei quant sono sostanzialmente delle consulenze e il problema non è solo nelle previsioni sbagliate, ma in chi ne ha fatto un uso sconsiderato (loro stessi magari, appunto), spinto dal fatto che gli dicevano quello che gli faceva più piacere credere.

  6. Antonio Aghilar

    Non sono d’accordo con le tesi dell’Autore e, in generale, con le premesse di fondo dell’articolo. Sono laureato in economia ed ho un master in matematica applicata: anche se dopo non ho lavorato nell’investment banking non ricordo di aver mai letto da nessuna parte, nei testi di finanza matematica, che i modelli presentati avessero la pretesa di descrivere il comportamento del sistema macroeconomico: i modelli matematici usati in finanza hanno come oggeto d’indagine esplicito (e unico) il comportamento del singolo portafoglio, non del sistema economico nel suo complesso. Se a questo aggiungiamo il moral hazard indotto dalla necessità di fare profitti immediati (questa è l’unica cosa che deve contare per un quant..) ecco allora che tutto si spiega. Insomma, questa crisi è certo un amaro risveglio per quanti credono nelle virtù del libero mercato ma bisogna che ci si rassegni: il mercato va regolamentato (bene), altrimenti non funziona…Bisognerebbe quindi cercare di evitare la tentazione di voler scaricare sui quant e sui gestori reponsabilità che in, fondo, sono tutte e sole politiche: la responsabilità della governance del sistema macroeconomico spetta infatti ai Governi.

  7. Stefano

    Innanzitutto vorrei farle notare che la presentazione sull’home-page del sito non rende giustizia ne’ a lei ne’ all’articolo, che condivido in pieno: quando l’ho letta ho pensato "ecco il solito economista che se la prende con i matematici senza capirci nulla"… ma ovviamente non è così, vista la sua biografia. Un commento che mi sorge spontaneo è che matematici e fisici sono costretti a fare il mestiere degli economisti perchè questi ultimi conoscono molto poco la matematica; sapranno anche chi è Hayek, ma non chi è Sobolev, e questo è grave se ci si occupa di finanza. Sicuramente avranno commesso degli errori, ma dopotutto non era il loro mestiere. La soluzione? Forse un taglio più scientifico-matematico e quantitativo ai corsi di laurea in economia, così i futuri economisti avranno gli strumenti giusti per sviluppare teorie matematiche "sulla" finanza e non "per" la finanza.

  8. Piero

    A mio parere si sta dando troppa responsabilità alla Matematica… ma cosa può fare la Matematica che di per sé è Rigida : guardare cosa è successo in passato quando si avveravano certe condizioni, scomporre il passato in cause/effetto, e dire che in futuro se si ripresentano alcune di quelle cause con un certo grado allora si riprodurranno effetti simili: ma l’economia è fatta di uomini irrazionali governati più dall’inconscio che non dalla loro parte razionale.. provate ad assumere psicologi 🙂 Ma poi c’è un altro punto: la Malafede, se i vostri capi assumono Rischi Ingestibili consapevolmente (es. mutui subprime), se vi dicono di costruire High Frequency Program per fregare milioni di buoi in giro per il mondo, che colpa ne ha la Matematica? Essa diventa solo il Mezzo per il Fine : utili a qualunque costo.

  9. AlexZiller

    Mi occupo di fisica (non di finanza ne di economia), ma leggendo questo post un paio di considerazioni mi sorgono spontanee: 1. é falsa l´affermazione: PhD in matematica = Scienziato 1b. chi non ha esperienza (e rispetto) della complessità del reale non può dirsi Scienziato. Sfortunatamente un PhD in matematica può non bastare. 2. Uno Scienziato usa la matematica come strumento per comprendere la complessita del reale. 3. Uno Scienziato prostituito al mondo finanziario non necessariamente fa ciò detto al punto 2. 4. Uno Scienziato può per inclinazione professionale essere un teorico puro. In questo caso il suo ruolo deve essere di consulente non di un decision maker. Se il decision maker (o il sistema) si fida ciecamente del parere di un matematico, mostra lí tutti i suoi limiti ed è lui il responsabile del disastro, non il matematico. sintesi: non credo sia colpa di chi conosce la matematica (in particolare la statistica e i suoi limiti) e la fisica, ma di chi ha imposto il denaro come mezzo, fine e mito superiore nella nostra societá. In questo contesto gli scienziati sono una minoranza debole al servizio di qualcuno, che li ha comprati.

  10. Marco

    Importante il richiamo alla necessità di un sapere scientifico specifico della finanza, che implica la necessità di integrare conoscenze eonomiche e quantitative, come già richiamato da un precedente commento. Vorrei ricordare però che il contesto oggetto di studio della matematica finanziaria è "adattivo", cioè si evolve e modifica i propro comportamenti, se non addirittura le proprie leggi, anche in conseguenza dello stesso studio della materia. Il fatto che l’uomo abbia creato macchine volanti non ha modificato la legge di gravità, mentre fattori importanti quali correlazione tra rendimenti di attività differenti o volatilità dei mercati possono modificarsi anche in conseguenza della conoscenza dei fenomeni finanziari e della diffusione di questa conoscenza. Immagino che questo stato di cose comporterà sempre necessariamente un grado di incertezza elevato. Comunque al di sopra di tutto questo si pone un problema di eticità: se ogni singolo operatore del mercato fosse cosciente di avere una responsabilità verso la collettività e non solo un personale obiettivo di business, si avrebbe un sistema più equilibrato e più capace di stimare la presenza di rischi eccessivi.

  11. giuseppe saccomandi

    Per quanto ingenui si possa essere pensare che sia la finanza matematica ad aver creato la crisi è più infantile che credere a Babbo Natale e alla Befana. Un sistema bancario spregiudicato dove il consumatore è solo carne da macello è sotto gli occhi di tutti anche dei ciechi. Prendiamo, per esempio il caso Italia dove le banche per anni hanno vissuto nella bambagia assumendo le persone più incompetenti (vi siete scordati dell’abitudine: padre in pensione figlio assunto?) e che oggi massacrano tutto e tutti meno che i loro manager strapagati. Tutto questo grazie alla finanza matematica o ad una legislazione amica che permette di scaricare sui consumatori i costi di una cronica inefficienza e di una malafede criminale?. Per poi non parlare del credito al consumo. La finanza matematica possiede i suoi limiti, ma in questo caso ha permesso solo di dare un contesto culturale e di maggiore esoterismo ad operazioni che sono state sempre fatte e che sono possibili solo perché il controllore è proprietà dei controllati. Basta pensare a chi appartiene la Banca di Italia.

  12. renato maino

    Credo che nello spazio concesso da questi articoli sia difficile essere completi e sintetizzare con equilibrio quanto si vorrebbe dire. Mi sembra che l’autore consideri solo una parte del problema, vale a dire i modelli di trading. Due punti, dunque. Il primo riguarda il fatto che i modelli utilizzati in finanza non riguardano solo il trading ma anche i libri d’investimento e d’intermediazione. In questo caso i fallimenti dei modelli sono stati molto inferiori e sono da attribuire più ai processi con cui sono utilizzati che non al loro risultato. Non parlerei di fallimento, anzi, di robustezza e notevole miglioramento gestionale rispetto agli approcci tradizionali. E sono modelli di finanza, non di fisica. Secondo: i modelli in uso non sono tutti quelli prodotti e proposti. Si compete per modelli e finora ha fatto comodo, perché profittevole, usare certi approcci spacciandoli per assolutamente scientifici. La crisi è anche di un certo modo di far modelli e quindi lascia spazio a generazioni diverse di modellisti e di approcci quantitativi. E le basi per ragionare in modo diverso e meno meccanico ci sono tutte; la finanza ha una propria base teorica solida.

  13. Rossella

    Consiglio ai quant e aspiranti tali di leggersi Keynes se non ci capiscono niente o si addormentano al secondo capoverso è meglio che lascino perdere la finanza.

  14. mattia

    come si fa a dare la colpa ai quant? il problema è che nelle banche i quant non sono abbastanza valorizzati: il potere politico è nelle mani dei sales che pur di incassare venderebbero anche le loro madri per 10 bps.

  15. Francesco

    Non comprendo il punto dell’intervento,a meno che l’autore non abbia voluto suggerire a se stesso(e farcene partecipi) la voglia di cambiare lavoro. I modelli usati in finanza sono "modelli", provano a spiegare l’evoluzione di alcune variabili e fenomeni.Nessuno ha la pretesa di assumere l’infallibilità degli stessi.I problemi dei 2 semplici esempi presentati dall’autore,ed in specie l’uso del VAR, sono noti a tutti i practitioners e purtroppo l’uso del VAR sopravvive perche’ al management (non sempre avvezzo a questioni quantitativi) e agli azionisti/creditori serve una misura semplice e riassuntiva dei rischi che si prendono. Per quanto riguarda i prodotti legati alla correlazione, la possibilià che un bond AAA (dimentichiamo come si arrivi al rating, il vero problema) paghi più di un titolo di stato è proprio dovuto al fatto che la correlazione si muove e cresce quando tutto va a rotoli ("no free lunch" vale ancora). I modelli economici hanno fallito miseramente in questa crisi, incapaci di spiegare come crisi creditizie possano sfociare in altri settori. Professori e Nobel hanno fallito miseramente in finanza, nonostante avessero prodotto ricerca credibile altrove!

  16. AB

    La colpa alla matematica? Ho studiato per conto mio finanza matematica e quello che si può dire è solo che sono dei modelli e come tali vanno applicati nell’ambito in cui sono applicabili. Inoltre, i modelli hanno dei parametri da stimare correttamente perché il modello funzioni e in questo sembra siano stati commessi molti errori. La colpa, semmai, è di chi ha avuto troppa fede in questi modelli. Ricordiamoci però che questa crisi nasce, prima di tutto, dalla speculazione che, promettendo a tutti il mutuo per comprarsi la casa, ha fatto schizzare il prezzo delle case stesse finché i tassi non si sono alzati e i mutuatari hanno smesso di pagare le rate. La matematica può al massimo aver amplificato la gravità di una malattia già di per sé grave. Che si debba fare una revisione di questi modelli matematici è sicuro, ma non è certo meno fondamentale fare una riflessione generale su come deve funzionare la finanza e più in generale l’economia. Questi anni sono stati caratterizzati da gravi disuguaglianze in vari ambiti su ogni scala dal locale al globale. La matematica avrà avuto il suo peso in questa crisi, ma non esageriamo a darle troppa importanza e troppe colpe.

  17. Umberto Cherubini

    Come laureato in Scienze Politiche non mi posso definire un quant secondo l’articolo, ma poiché formo quant vorrei fare qualche commento. Non condivido che la finanza usi modelli matematici fatti per altre applicazioni. Bachelier è precedente ad Einstein (mi scusino i miei coautori fisici). Il modello CGMY e quelli di cambio di tempo sono espressamente nati per descrivere la dinamica dei prezzi. E poi,nessuna altra disciplina scientifica dispone di una doppia dimensione di informazione, storica e implicita, di smile e skew di volatilità e correlazione. Veniamo alla contesa tra scienziati e economisti. Un quant può fare tre attività: il pricer, l’asset manager, il risk manager. Chi fa i prezzi usa medie di probabilità risk-neutral. Chi gestisce i portafogli attribuisce probabilità a scenari di mercato. Chi si occupa di rischio misura la distribuzione dell’esposizione ai fattori di rischio (oggi con Expected Shortfall più che con il VaR). Come si vede, non c’è scienza e economia ovunque, né matematica finanziaria, ma ovunque c’è “probabilità”. Un quant è un probabilista, peccato che nel paese di De Finetti, né probabilità né finanza abbiano dignità di discipline autonome.

  18. Kirgia

    E’ vero che molti quant non hanno conoscenze di economia sufficienti, d’altra parte la modellizzazione dell’andamento dei portafogli o di pricing di non arbitraggio con metodo montecarlo spesso sono difficili da maneggiare per un economista. Lo dico da studente di economia finanziaria che ha seguito molti corsi tenuti da fisici e matematici e che pur capendo i modelli farebbe certamente più fatica di un matematico/fisico a capirne gli aspetti più formali o a produrne di propri. Forse il quant che modellizza e l’economista dovrebbero lavorare fianco a fianco, il primo per gestire gli aspetti formali e di "calcolo", il secondo per tenere sotto controllo la continuità delle ipotesi "economiche" alla base del modello. Per esempio, non conoscendo bene l’economia, il fisico potrebbe prendere come verità assoluta il fatto che le azioni seguano un browniano geometrico e questa sarebbe il suo dato primitivo; mentre l’economista conosce meglio i rapporti di causa effetto tra macroeconomia e prezzi degli asset. Il vero problema sono le ipotesi sulle distribuzioni di probabilità, che ricaviamo dai dati empirici passati senza nessuna garanzia che si ripetano in futuro.

  19. gp

    Concordo con Cherubini: è sicuramente un problema di probabilità. Come si può vedere dai commenti tutto ciò non è ripreso e questo lo trovo preoccupante. Credo però che il problema non siano tanto il Var od il sicuramente migliore Expected Shortfall quanto i modelli di stima delle variabili sottostanti. Il vero problema (irrisolvibile?) è che le scienze statistiche sono state sviluppate prevalentemente per essere applicate alle scienze naturali e quindi in un ambiente di rischio. Nelle scienze economiche e sociali è fondamentale proprio l’effetto umano che stravolge le “leggi” che determinano l’andamento delle variabili (solitamente stabile nelle scienze) ovvero ci si trova in un ambiente di “incertezza”. In tal senso quindi che il secondo campo da indagare profondamente sia quello delle ipotesi che stilizzano il comportamento degli agenti economici. Dovrebbe essere ormai assodato (Kahneman docet) che la razionalità alla Von Neumann/Morgenstern è poco più che una favoletta per bambini, che nessun individuo ha riceve tutte le conoscenze necessarie per massimizzare la sua utilità e che i prezzi non poi così tanto informativamente efficienti. Ci vuole più interdisciplinarietà.

  20. Antonio Aghilar

    Appassionante e….anche se impostata secondo me male, questa discussione è utilissima. Personalmente credo che una formazione quantitativa solida sia necessaria agli economisti almeno quanto una solida formazione di chimica è necessaria ai medici anche se, purtroppo, molti non la pensano così. E’ doveroso però rimarcare che i modelli usati in finanza non sono stati inventati per descivere il funzionamento del sistema ma le performance rischio-rendimento del singolo portafoglio. Per la macroeconomia esistono altri modelli, sconosciuti pare alla maggior parte dei comuni mortali, tipo i DSGE, che utlizzano il calcolo stocastico così come fanno i modelli di finanza, anche se qui viene il bello, perchè se per i modelli di finanza è lecito assumere che l’evoluzione della combinazione rischio-rendimento sia "indipendente" dall’azione dei singoli agenti (il chè è un certo un limite, se ad operare sono i colossi…) non altrettanto si può dire per le variabili dei modelli di equilibrio. Da questo punto di vista, secondo me l’approccio che fornisce la Teoria dei Giochi è il migliore e credo che se i Governi riservassero a questi modelli più attenzione, forse molti guai si eviterebbero.

  21. Paolo M.

    L’autore ha fondamentalmente ragione, soprattutto la questione della correlazione lineare è un nodo critico da risolvere. Credo altresi che nessuno dovrebbe mai fidarsi al 100% del proprio modello, perchè sono ovviamente semplificazioni della realtà. Ma è più facile a dirsi che a farsi dato che abbiamo bisogno di certezze e non di ulteriori punti di domanda. Un grande problema sono le innumerevoli variabili che entrano in gioco. Le più "strane" sono proprio le variabili umane che forse dovrebbero essere analizzate maggiormente con la teoria dei giochi e la psicologia, che con la statistica o meglio.. con una specie di ibrido tra le 3 materie, che non ho la minima idea se sia possibile realizzarlo, passo la palla ai matematici.

  22. Federico Giri

    Il problema dei modelli matematici usati a fine di previsione è molto semplice: funzionano molto bene (che poi è da vedere) quando tutto fila lascio come l’olio ma ovviamente non sono in grado di prevedere degli shock nel sistema… ma rifletteteci bene: se io fossi in grado di creare un modello capace di prevedere anche eventi imprevisti (ovvero prevedere il futuro) sicuramente non sarei qui a leggere la voce.info ma sarei alle maldive a godermi i milioni guadagnati… morale: bene i modelli matematici ma lasciamoci sempre guidare dal buon senso e dalla teoria economica.

  23. Gianni

    Il fatto è che la matematica non può essere applicata all’economia per innumerevoli ragioni Il primo luogo è bene notare che essere scientifici non vuole dire essere matematici e o empiristi a meno di aderire acriticamente ad assunti positivistici senza alcuna giustificazione Ma più in dettaglio l’economia studia azioni e comportamenti umani e l’uomo non è un atomo che fa sempre la stessa cosa o un pollo che al massimo ha un set predeterminato di comportamenti a disposizione cioè agisce per istinto. La matematica cattura costanti mentre l’uomo agisce in base a relazioni di causa ed effetto. In realtà l’uomo muta continuamente il suo comportamento perché dispone di una cosa che nessun altra entità nell’universo conosciuto ha a disposizione: la conoscenza. E questa evolve continuamente Queste considerazioni inoltre spiegano perché non ha alcun senso parlare di empirismo e di verifica sperimentale in economia visto che è impossibile isolare il comportamento umano come quando si compie un esperimento

  24. giuseppe faricella

    L’oggetto della fisica (matematica) sono, in ultima analisi, le particelle elementari e le loro interazioni (ad esempio, un corpo solido è dato dalla forte interazione elettromagnetica tra molecole, a loro volta prodotte dalla interazione eletromagnetica di atomi, a loro volta risultato dell’interazione di tipo quantistico tra elettroni e nucleo, il quale è stabile grazie alla interazione forte tra quark, etc…). Detto questo, quello che, secondo me, sbagliano i matematici che si occupano di economia è l’individuazione dell’oggetto dell’osservazione: in finanza, ad esempio, l’oggetto non è costituito dagli strumenti finanziari e dai loro rendimenti (stazionari, correlati, white noise, e chi più ne ha più ne metta), ma è costituito dalle scelte degli investitori! In ultima analisi, la matematica economica e finanziaria non andrebbe applicata a costi, ricavi, domanda aggregata, etc, ma alla mente degli esseri umani e al suo funzionamento. L’economia "scientifica" del futuro non potrà fare a meno delle conoscenze e dei loro progressi nel campo delle neuroscienze e della biochimica. Gli economisti più giovani dovrebbero, secondo me, cominciare a porsi il problema.

  25. BRUNO

    Fa piacere vedere che un quant si soffermi a riflettere sulle mancanze della sua categoria. E’ di sicuro un ottimo punto di partenza per migliorare. Credo che non solo i quant – ma un po’ tutti all’interno del nostro mondo devono interrogarsi su cosa va cambiato. Una matematica presa a prestito. Vero che la matematica che si usa in finanza è stata prevalentemente attinta dal mondo della fisica. Tuttavia l’utilizzo di questa matematica ha trovato una solida giustificazione teorica in termini economici. Non credo quindi che il fatto che la matematica usata non sia stata inizialmente "pensata" per la finanza abbia in alcun modo contribuito alla crisi. Vero e’ che un focus sugeccessivo li aspetti quantitativi della materia possono portare a perdere la visione d’insieme del sistema finanziario. IL "VAR" Sono d’accordo – i sistemi di analisi del rischio non si sono evoluti di pari passo con gli strumenti finanziari. Il Risk-Management è stato ampiamente snobbato sia in ambito accademico che professionale. Non la vedo però come una colpa esclusiva dei quant – sono state le istituzioni per prime a non cercare di portare avanti la conoscenza di questa materia.

  26. giuseppe pazzaglia

    A proposito della crisi ritengo opportuna una precisazione. Non si tratta infatti di accusare gli economisti per non aver preveduto e prevenuto la grave crisi. Si tratta di dire a chiare lettere che loro sono stati a causarla. Non è vero forse che il presidente degli Stati Uniti si è sempre servito nella gestione dell’economia degli economisti più famosi, addirittura dei premi nobel? E non è altrettanto vero che i governi europei nella gestione dell’economia hanno sempre seguito i pareri dei massimi economisti autori di pubblicazioni di ogni tipo? Se è vero, quindi, che l’economia degli stato è stata sempre governata da economisti, non si può che dare a loro la responsabilità della catastrofe. Ne prendano atto e per favore per un po di tempo la smettano di dire stupidate. La smettano di creare catastrofi. Prendano atto che la cosiddetta scienza economica scienza non è chi riesce a mettere in bello stile stronzate non è uno scienziato ma un pennaivendolo volgare.

  27. giuseppe pazzaglia

    Una vera e propria mistificazione messa in atto solo per acquisire titoli o cattedre. Ecco i numeri che danno…numeri utili solo da giocare a lotto. Devo stimare il valore di un’azienda? Ebbene prendo il suo reddito passato e lo proietto per un certo numero di anni; prendo il tasso di capitalizzazione da me stimato e lo utliizzo per completare lintruglio. La frittata che ne viene, è un numero che rappresenterebbe il valore da assegnare all’azienda. Certo è un numero che ha la certezza del numero ma non del valore, il valore obiettivo dell’azienda, che è tutt’altra cosa. E se l’economia metematica utilizza integrali e derivate ed equazioni di terzo grado per mescolare dati a capocchia, tira fuori capocchiate. Che potrebbe fare a meno di rendere pompose. I concetti chiari possono essere spiegati senza ricorso ad alchimie matematiche.

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